3 Dicembre 2024
MILANO IN TRAM
Un libro che racconta una gloriosa vicenda tutta milanese

È uscito un bel libro dedicato ai tram, ma non un libro ferroviario di quelli che entusiasmano cultori delle strade ferrate e anche del modellismo bensì un libro di racconti, immagini e soprattutto itinerari scritto a più mani da molti autori (Pier Vittorio Antoniazzi, Roberto Arsuffi-Urbanfile, Mauro Boselli, Ilaria Burgassi, Giacinta Cavagna di Gualdana, Roberta Cordani, Luca Crovi, Silvia De Biasi, Elisa del Mese, Lorenzo De Simone, Silvia Donghi, Dario Maria Dossena, Mam Gagliani, Federico Giani, Ettore Giulia, Pietro Ichino, Marco Iezzi, Sara Invernizzi, Paolo Maggioni, Francesco Menegatti, Martino Migli, Luigi Mignacco Giovanna Mori, Claudio Nelli-Urbanfile, Elisabetta Oropallo, Gianni Pola, Laura Poletti, Sergio Seghetti, Rosa Teruzzi, Silvia Zeni) e accompagnato da uno splendido apparato iconografico, la curatrice è Roberta Cordani, l’editore Celip.
Perché un libro sui tram lo spiegano il prefatore De Bortoli: “Ecco quello che per noi milanesi è un tram. il tram è una parte della famiglia” e la presidente ATM “Il tram è lo specchio sociologico di Milano, in cui si riflettono storie e anima oltre gli stereotipi da sempre associati alla città: l’essere sempre di corsa, la passione per il lavoro, l’amore per l’eleganza e la raffinatezza”, ma i tram sono anche parte fondamentale della vita politica e amministrativa della città.
Il primo collegamento “tramviario” è del1840, quando in occasione dell’inaugurazione della ferrovia Milano-Monza viene istituito un servizio di collegamento tra la stazione ferroviaria di Porta Nuova ed il centro cittadino. Si tratta del primo servizio tranviario milanese, denominato omnibus e costituito da vetture trainate da un cavallo.
Nel 1876 vengono inaugurate la prime ippovie su binari e successivamente in occasione della Expo Nazionale del 1881 (allora come oggi ci vuole un grande evento per realizzare infrastrutture paralizzate dalla burocrazia e dai dissensi politici) l’assessore Cusani dichiarò: “l’introduzione dei tramways s’impone per le circostanze, non è dannosa per il movimento stradale ne pericolosa ai passeggeri” ma soprattutto “riesce di un utile sensibile all’erario cittadino” perché per molti anni il trasporto urbano generò utili; nel 1899 il numero dei passeggeri trasportati fu di 57 milioni e 400mila con un utile di un milione di lire nel 1903 82 milioni di passeggeri e un milione e mezzo di utili, il che per un comune perennemente sull’orlo della crisi economica non era poca cosa.
Secondo l’assessore la scelta dei percorsi “diminuirà l’ingombro in piazza del duomo e il deturpamento prodotto dal continuo e lungo stazionare dei cavalli degli omnibus che specialmente nella stagione estiva è causa di esalazioni mefitiche” (il centro verrà parzialmente chiuso ai cavalli solo nel 1926).
Con il solito bauscismo milanese nel 1892 quando sono in esercizio 39 chilometri di binari, il comune mette per iscritto il suo giudizio: “Milano ha incontestabilmente il miglior servizio tramviario d’Italia” e nel 1893 viene avviata la prima tranvia elettrica gestita anche in questo caso da privati: la Edison. In città circolano 50 tramvie, 179 vetture pubbliche grandi, 476 piccole, 209 vetture con stemma, 2009 senza stemma, 531 cavalli di lusso, 3245 cavalli industriali.

Tre anni più tardi, nel 1896, viene istituito l’Ufficio Tramviario Municipale per il controllo delle linee urbane, tra i primi problemi che dovette affrontare quello degli incidenti provocati dall’alta velocità dei tram a trazione elettrica, tanto che il principe di Molfetta Gian Carlo Gallarati Scotti consigliere comunale chiese ripetutamente al sindaco di intervenire ma questi rinviò la responsabilità ai ragazzi che giocavano attorno alle vetture provocando incidenti e diede mandato ad una commissione di studio di ragionare sul da farsi. La commissione non dovette produrre alcunché se nel febbraio del 1900 altri consiglieri avanzeranno analoga protesta e l’assessore Morosini dopo aver ricordato che la velocità massima dei tram è di 15 km orari ma di 8 nelle zone più trafficate rimanda ad un’altra commissione di studio.
Oltre alla velocità più volte discussa in consiglio comunale fu la questione delle fermate fisse o fermate a richiesta, con le sinistre schierate per le fermate fisse che agevolavano il lavoro del tramviere e i moderati favorevoli alle fermate a richiesta perché come disse l’assessore Baroni nel 1909 “le città nelle quali i trams non hanno fermate fisse sono precisamente quelle dove i trams danno maggiore reddito”, tesi invero curiosa.
Se divergevano sulle fermate, destra e sinistra in consiglio comunale (ma soprattutto la sinistra) protestavano per il “disordinato caotico e spesso incivile servizio dei veicoli in genere e delle tramvie in specie; in particolare il gotha del socialismo milanese (Turati, Filippetti, Bonardi, Majno) interpellava il sindaco nel 1910 sui cittadini “urtati, travolti e massacrati da tramvie…”.
Lungimirante, anni dopo l’assessore fascista Dino Alfieri (sarà anche ministro della stampa e propaganda) che nel 1924 vaticinò: “è evidente che in un avvenire prossimo il centro di Milano non dovrà più avere trams, perché è assolutamente impossibile che la viabilità si svolga regolarmente se viene mantenuto il servizio tramviario…”.

Ai tram è legata anche l’istituzione del più alto grado di civica benemerenza che andò nel 1898 a Francesco Minorini che altri non era che chi per la posa dei binari.
Fino al 1917 le linee sono gestite da privati prima dalla Società Anonima degli Omnibus (costituita il 28 giugno 1861) poi dall’Edison che gestì per un certo periodo anche la rete elettrica.
Nel 1917, il Comune di Milano guidato dal sindaco socialista Caldara opta per la municipalizzazione e decide di gestire in proprio le linee tranviarie urbane delegandola alla X° ripartizione.
La municipalizzazione di fatto delle tramvie è uno dei capisaldi della politica riformista sempre e ancor oggi ribadita; scrive il Nasi: “Le tramvie urbane, quelle suburbane restano alla Edison, vengono valutate 11800000 lire ed ulteriori 13 milioni dovranno andare in investimenti mentre gli utili vengono ipotizzati in più di un milione e mezzo annui.” I dipendenti sono 3599 con due rimesse in via Messina e in via Custodi ma come dice il sindaco Caldara “noi siamo lieti non solo pel vantaggio economico che ne potrà derivare, quanto per l’alto significato morale che nel nostro atto è affermato. Attuata questa parte del nostro programma …noi potremo rivolgerci ai nostri mandanti e dire loro abbiamo tenuto fede, anche in tempi difficili al programma che voi approvaste. Giudicateci”. Stessa rilevanza la decisione la ebbe per le opposizioni che denunciarono l’espropriazione dei diritti decisionale del consiglio comunale e gridarono al golpe bilancistico. Possiamo affermare che la municipalizzazione del trasporto urbano fu la madre di tutte le municipalizzazioni.

Il mondo ATM diventa una vera e propria comunità dando vita a cooperative per la casa, ad una cooperativa di consumo, alla Cassa Mutua e Malattia, alle colonie estive per i figli dei dipendenti, alla cassa di previdenza; il tranviere (scrive Lorenzo Marazzi) “dispone di un vantaggio, dal momento che alla categoria dal 1906 viene assicurato lo stesso trattamento riservato ai dipendenti delle ferrovie dello Stato, il così detto equo trattamento che, fra l’altro, prevede la stabilità di impiego. La certezza del posto di lavoro e la garanzia di una sicura paga settimanale consentono ai tranvieri di programmare i risparmi ed assumere impegni a lungo termine. Ciò costituisce una molla che, in un contesto storico in evoluzione, fa scattare alcuni meccanismi tali da garantire una sicurezza per il futuro di chi lavora; questa situazione si differenzia nettamente dalle forme caritative allora in uso per le classi operaie e per i meno abbienti”. In altri tempi si sarebbe parlato di aristocrazia operaia.
Anche per questo non sfuggirono alla repressione politica fascista che per prima cosa colpì i leader della Lega tramvieri Urbani aderente alla Camera del Lavoro in particolare il suo segretario Giovanni Buscaglia che viene licenziato dopo che era stato fermato insieme ad altri sovversivi tra cui Nenni nella sede dell’Avanti!.
La vicenda del licenziamento approderà in consiglio comunale con il Buscaglia difeso da Gonzales, Rigola, D’Aragona, Pini, Vigorelli e Mondolfo e acquisterà una rilevanza anche nazionale perché per i fascisti è una questione di principio non solo cancellare il recente passato socialista delle amministrazioni comunali ma anche imporre una disciplina che faccia della ATM milanese un modello di normalizzazione per tutta l’Italia, soprattutto colpendo quei sindacalisti che avevano guidato gli scioperi.
Riammesso al lavoro il Buscaglia verrà di nuovo licenziato per aver partecipato nel 1936 ai funerali dell’ex sindaco Filippetti e con lui altri 15 tramvieri che hanno dimostrato partecipando al funerale “palese insufficienza …nell’adempimento delle funzioni del proprio grado”, saranno salvati per l’amnistia per la proclamazione dell’impero. Nel dopoguerra Buscaglia sarà consigliere comunale socialista confermando quella continuità ideale tra la giunta Caldara e quelle di Greppi e Ferrari.
Figura chiave della narrazione politica dell’ATM Attilio Oldani un bigliettaio, del deposito di via Messina, nativo di Borghetto Lodigiano, che il 27 giugno 1924 era stato aggredito a bastonate (morirà in ospedale) da un gruppo di fasciste del quartiere mentre passeggiava a tarda sera con il suo cagnolino, nei pressi della sua abitazione in via Canonica 24, accusato di essere un organizzatore di manifestazioni pro Matteotti.
Non mancò voluta dal primo podestà una commissione di inchiesta, molti furono licenziati altri si dimisero spontaneamente ma un progetto di privatizzazione fu presto accantonato (nel 23 fu chiesto un referendum) e anche il fascismo rafforzò la dimensione “famigliare” per i dipendenti di quella che nel 1931 diviene azienda autonoma con il nome di Azienda Tranviaria Municipale (ATM), ampliando le colonie per i figli dei dipendenti, favorendo le cooperative edilizie che costruirono caseggiati in via Primaticcio, Brioschi e Teodosio organizzando gite e feste e gare di pesca al laghetto Redecesio.
Nel 1938 i dipendenti sono 7830.
Ma nonostante la politica del bastone e della carota nel marzo 1944 i tramvieri furono i protagonisti di uno sciopero di tre giorni che bloccò gran parte delle 800 vetture.
Lo sciopero dei tranvieri di Milano ebbe notevole risalto anche all’estero e venne ricordato anche da Radio Londra: “Grande sciopero dei tranvieri milanesi, la parola d’ordine è: via i tedeschi! Abbasso la repubblica di Salò. I lavoratori dei tram hanno dimostrato una perfetta identità di sentimenti con la popolazione milanese. Da Radio Londra inviamo un caloroso e fraterno saluto ai tranvieri per la dimostrazione di fede delle forze democratiche contro il nazi-fascismo” e da “La Voce dell’America: “Grande entusiasmo ha provocato la notizia che i tranvieri milanesi hanno proclamato uno sciopero generale, in piena occupazione militare nazi-fascista. Tutta la stampa americana esalta il coraggio e il patriottismo di questi lavoratori addetti al servizio pubblico cittadino, sfidando la prepotenza degli eserciti occupanti. Le astensioni dal lavoro sono al 100%. Si vedono per Milano tram condotti da giovinastri volontari delle forze armate nazi-fasciste, provocando gravi incidenti con morti e feriti. Viva i tranvieri milanesi!”
E il racconto potrebbe continuare perché la storia della città è tutt’uno con la storia dell’ATM ma sarà per un’altra volta.
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Il tram come evidenziano anche le bellissime fotografie di questo volume Milano in Tram Alla scoperta della città Celip editore, è il vero simbolo della città per i milanesi, più della aristocratica Scala, più del monumentale Duomo e del panettone; il tram è scritto nel volume: “diventa così un luogo di socializzazione, dove le vite dei milanesi si incrociano e si mescolano. A differenza delle auto private, il cui viaggio è spesso solitario, o della metropolitana, dove il contatto è fugace, il tram favorisce l’incontro e la condivisione”.
Walter Marossi
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