17 Settembre 2024

IL PARADOSSO DI UNA CITTÀ CAPOLUOGO DI CITTÀ

Per un riesame critico a dieci anni dalla legge Delrio


Copia di copertina 6

Il naufragio della riforma costituzionale Renzi del 2016 ha lasciato relitti, carcasse tuttora galleggianti abbandonate alla deriva. Vedi il caso della legge Delrio del 2014, propedeutica alla soppressione delle Province e tuttavia sopravvissuta a tutt’oggi per inerzia, con le stesse ridotte a enti burocratico-amministrativi residuali.

Stessa sorte per quelle province denominate Città metropolitane, non abolite nella riforma Renzi (altrimenti l’Europa, dove esistono da decenni, cosa dice!) ma paradossalmente debilitate ancor più delle normali, nelle quali il presidente viene eletto quantomeno in secondo grado dalla platea dei consiglieri comunali.

Nelle Città metropolitane secondo Delrio invece il sindaco metropolitano coincide automaticamente con quello del “comune capoluogo” – che ovviamente è una città – creando un controsenso logico prima che politico-istituzionale. Può una città essere capoluogo di una città? Giù la maschera!  I capoluoghi sono propri delle province, o dei comuni rispetto alle frazioni, non certo delle città!

Prova ne sia che la attuali città metropolitane, al netto di una stentata autonomia statutaria, hanno le stesse marginali competenze tecnico-burocratiche delle restanti province, sopravvissute al referendum del 2016. Inoltre la incauta velleità “costituente” renziana ha prodotto, sfidando il senso del ridicolo, un altro paradosso. Poiché la soppressione avrebbe riguardato appunto le province ma non le città metropolitane, è scattata la corsa delle prime a farsi riconoscere formalmente come le seconde.

Pertanto se le vere aree metropolitane nel bel Paese sono tre (Roma, Milano e Napoli) o forse quattro (Torino, col limite di sconfinare verso le vette alpine) il buon Delrio, col criterio del “todos caballeros”, ne ha sfornate ben quattordici! A beneficio di biglietti da visita e carta intestata da esibire nelle pubbliche relazioni e nella corsa verso più prestigiosi incarichi.

Col risultato che l’isoletta di Alicudi sperduta nel Tirreno appartiene ad una Città metropolitana, mentre Monza che dista 4 km da Milano invece no! Perché qui si aggiunge un’altra dolente nota. Nei primi due decenni della sconclusionata “seconda repubblica” si era infatti  sviluppata la tendenza schizofrenica a moltiplicare le province contemporaneamente alla loro invocata abolizione quali emblemi della “casta”. Una evidente dicotomia occultata tuttavia dall’unanime omertà di pressoché tutti i partiti!

La linea più ragionevole di ridurre, non di  abolire le province, tentata per decreto non convertito dal governo Monti, ha lasciato il campo appunto alla demagogica linea Delrio: confermare tutte le province, comprese quelle nate per partenogenesi, svuotate di poteri e prestigio politico ma utili per la moltiplicazione delle cariche “provinciali”: dagli ordini professionali, alle associazioni di categoria, sportive, ricreative, varie; nonché nell’amministrazione periferica dello Stato (Prefetture, ecc.).

Venendo all’oggi, si affaccia lo spauracchio dell’autonomia differenziata. Giusto contrastarla ma l’opposizione risulterebbe più efficace e credibile se si inquadrasse in una visione positiva ed alternativa dell’ordinamento regionale e sub-regionale complessivo. Certo questo deve comportare la rimozione di alcuni “scheletri nell’armadio”, con l’onestà intellettuale di riconoscere gli errori commessi e possibilmente rimediarvi.

Avere pertanto il coraggio di rimuovere la parte perversa della modifica del Titolo V° del 2001 (gli art. 116 e 117) ed invece dare attuazione alla parte virtuosa (art. 114 e 118) mai considerata ovvero applicata in modo improvvisato e distorto: vedi appunto la legge Delrio.

Forze di opposizione dotate di una cultura di governo non possono limitarsi a politiche puramente rivendicative, agendo solo sul lato della domanda (sanità, istruzione, lavoro, ambiente, ecc.) bensì dotarsi di una visione organica anche sul lato dell’offerta (coerenza e razionalità dell’impianto istituzionale ed efficienza/efficacia dell’organizzazione amministrativa).

Dai “temi e nomi” ai “semi” per coltivare la qualità politica ed il buon governo della cosa pubblica.

Valentino Ballabio



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