30 maggio 2023

125 ANNI FA NASCE LA STRATEGIA DELLA TENSIONE

Quando la Storia si ripete


La_cultura_moderna_-_Milano_1898._Bersaglieri_e_cannoni_all'arco_della_pace

Graziano Tomasetti medaglia d’argento al valore militare soldato del 92° di fanteria è un nome poco noto anche tra i cultori di storia milanese. Morì domenica 8 maggio tra porta Garibaldi e via Moscova secondo alcuni colpito da una fucilata secondo il Corriere della sera per una caduta di comignolo sul capo, secondo Paolo Valera forse il primo giornalista d’inchiesta italiano era stato invece freddato sul luogo per disubbidienza dai suoi commilitoni

Curiosamente di quello che avrebbe potuto essere un martire esemplare per i militari e per il governo si parlò pochissimo e le stesse motivazioni della medaglia d’argento si perdono nei meandri degli archivi. Perché? Siamo probabilmente di fronte alla nascita di uno dei grandi classici della politica italiana:  la strategia della tensione.

Moti_del_1898_-_Pubblicità_fotografie

Tra il 6 e l’8 maggio 1898 Milano fu messa a ferro e fuoco.

Tutto era iniziato per l’aumento dei prezzi del pane che neppure la riduzione del dazio aveva potuto frenare. I comizi socialisti ma anche quelli radicali repubblicani anarchici mobilitavano folle sempre più numerose e tra i borghesi si diffondeva la paura tant’è che il 2 maggio il presidente del consiglio Starabba marchese di Rudinì comunicò che: “Quando per gravi persistenti disordini che si estendano ad una intera città o a più luoghi stessa provincia siensi verificate colluttazioni con forza pubblica e intervento truppa non sia riuscito a ristabilire immediatamente ordine autorità politica potrà per maggiore prontezza ed unità di azione affidarne il ristabilimento all’Autorità Militare.”

Il 5 maggio a Pavia venne ucciso Muzio Mussi figlio di uno dei leader del radicalismo Giuseppe Mussi.

IL 6 maggio gli operai della Pirelli e delle altre fabbriche diedero l’assalto alla caserma di via Napo Torriani per liberare un loro compagno fermato, la truppa sparò e vi furono i primi morti. Il giorno successivo vi furono cortei, serrate ed altri scontri in Corso Venezia, a mezzogiorno il prefetto affidò al generale Bava Beccaris la gestione dell’ordine pubblico.

Torelli Viollier direttore del Corriere (che si dimetterà proprio quel maggio) non prese con troppa angoscia le varie barricate che si costruirono in città: “Tutte però barricate rettoriche, reminiscenze della commemorazione delle Cinque Giornate fatta nel marzo. Si cominciava a fare la barricata, ma all’apparire della truppa la si abbandonava. La truppa la squarciava ed appena s’era allontanata la si rifaceva, ed il gioco ricominciava. A che potevano servire le barricate, giacché non c’erano armi da fuoco per difenderle? […] Intanto, per le strade, moltissimi curiosi. La rivoluzione era considerata come uno spettacolo divertente. Perciò laddove si fece fuoco caddero parecchi innocenti. I curiosi discorrevano co’ rivoltosi; discorrevano co’ soldati, davano consigli, motteggiavano, chiedevano schiarimenti a’ costruttori delle barricate. La grande maggioranza dei rivoltosi, donne e ragazzi.”. Un clima non proprio insurrezionale.

Le informazioni dei militari parlavano invece di vasto movimento rivoluzionario al punto che il governo dichiarava Milano e provincia in stato d’assedio.

Domenica 8 maggio furono smantellate le barricate e vennero sparati diverse cannonate che provocarono altre vittime; “A Porta Ticinese ed a Porta Garibaldi scrisse il generale del Mayno riuscite inefficaci le cariche a fondo della cavalleria e l’azione a fuoco della fanteria, fu necessario ricorrere al cannone.”

Lunedì i tumulti potevano considerarsi conclusi ma i soldati pensarono bene di cannonare anche il convento di frati all’angolo del Viale Monforte e Corso Concordia uccidendo alcuni mendicanti in coda per la mensa e arrestando una sessantina tra frati e loro ospiti. Sempre Torelli Viollier parlò di “vecchi cadenti che si trascinavano a stento, e una decina di ragazzi piccoli.”

Il 10 maggio era praticamente tutto finito ma lo stato d’assedio venne esteso alla provincia di Como.

Moti_del_1898_-_Trasferimento_degli_arrestati_in_carcere

Alla fine si contarono un centinaio di morti (83 secondo i dati ufficiali) e circa 500 feriti tra i civili ma ovviamente molti si guardarono bene di ricorrere alle cure ospedaliere per non essere identificati.

Il sindaco Vigoni fin dall’inizio favorevole all’intervento militare aveva telegrafato a Roma: “Situazione gravissima sono in pericolo le proprietà e la vita dei cittadini invoco solleciti efficaci provvedimenti.”

Bisognerà attendere mesi perché lo stato d’assedio venga tolto.

La repressione fu articolata, andò dal divieto di usare biciclette, tricicli, tandem alla soppressione di 14 periodici, allo scioglimento di 109 società operaie e di mutuo soccorso, alla soppressione di 429 associazioni, all’arresto di circa 2000 persone 1140 poi deferite ai tribunali.

Dopo poche settimane, si svolsero 129 processi con 828 imputati, dei quali 224 erano minorenni e 36 erano donne e vi furono 688 condanne 85 con pene tra 5 e 16 anni di reclusione e 140 assoluzioni.

L’illustrazione italiana così descrisse i processi: “Si applica, nelle pene, il codice penale civile, ma la procedura e quella dei tribunali di guerra. Il numero dei testimoni però è limitato: spesso è uno solo: una guardia di pubblica sicurezza, un carabiniere, un delegato di Questura. Nessuna arringa. Interrogazioni brevi, assai succinte proposte dall’accusa: assai succinte difese: talvolta quest’ultime si limitano alla frase sommessa “Mi rimetto alla clemenza della Corte”.

Il 1º agosto 1898 furono condannati i deputati De Andreis repubblicano e Turati socialista a 12 anni, i giornalisti Carlo Romussi direttore del Secolo a quattro anni, Gustavo Chiesi direttore de L’Italia del Popolo a sei anni.

Il clamore delle vicende milanesi fu enorme e provocò una svolta reazionaria nella politica nazionale, Rudinì reintrodusse per la durata di un anno le leggi repressive del 1894 in primis il domicilio coatto.

Il tutto tra l’entusiasmo dei moderati lombardi, per il giornale conservatore la Perseveranza lo “stato d’assedio” avrebbe dovuto essere la formula di governo ancora per molti anni, “per risanare fino in fondo un organismo avvelenato” mentre in consiglio comunale si spingeva per più repressione, “Ciò che è soprattutto necessario è di non arrestarci a mezza strada, giacché nelle reazioni non bisogna fermarsi a mezzo”.

Achille_Beltrame,_Episodio_dei_moti_rivoluzionari_alla_Foppa,_1900_ca

Si trattò una svolta reazionaria in grande stile, la repressione violò per la prima volta le regole statuarie in nome di un’emergenza del tutto fittizia, di un disordine creato dalle stesse forze dell’ordine. La sproporzione tra la reazione e i fatti che l’avevano originata portarono alle dimissioni di Rudini nel giugno che fu sostituito dall’ancor più reazionario generale Luigi Gerolamo Pelloux.

Si trattò di una specie di strategia della tensione ante litteram: di fronte al pericolo rivoluzionario gli italiani si sarebbero stretti attorno alla corona e all’esercito.

Per  sostenere l’esistenza del pericolo rivoluzionario non bastava però ne la morte di un fante (e da qui le dimenticanze e le incertezze sull’uso del povero Tommasetti), ne l’arresto di frati e barboni o la condanna di preti, avvocati e giornalisti, ci voleva di più e a questo pensò il Bava Beccaris che nella sua relazione al ministro descrisse uno scenario apocalittico: “…Repressa la rivolta di Milano e di Monza, era urgente provvedere energicamente al pronto ristabilimento dell’ordine nel territorio del Corpo d’armata: i tumulti del Monzasco aggravati da quelli che andavano manifestandosi a Cassano d’Adda, Fara d’Adda, Trezzo e nei dintorni di Luino e di Lecco, mi facevano temere uno sciopero generale, allo scopo evidente di venire a dare la mano ai rivoltosi di Milano…Alcuni dei promotori dei tumulti di Milano, sfuggiti alle ricerche e riparatisi in Svizzera, sobillarono i numerosi operai italiani colà residenti e già preparati da lunga mano, per cui dovendosi temere, giusta le informazioni avute da codesto Ministero, una pericolosa invasione di elementi socialisti ed anarchici da quella frontiera,” proclamai l’11 corrente lo stato d’assedio anche nella provincia di Como

È noto a V.E. come il pericolo sia sfumato e come tutto si ridusse al rimpatrio di duecento operai italiani eseguito dalla Autorità del Canton Ticino (sembra ironia ma non lo è ndr)…”Credo opportuno rilevare in modo particolare il contegno veramente commendevole della truppa…Si fece fuoco solo quando fu strettamente necessario per sgombrare le barricate, ed anche allora si eseguì solo qualche sparo a comando: certo, se si fosse usufruito della celerità di tiro del nostro fucile, ben maggiori vittime vi sarebbero state”.

Se si impiegò anche il cannone a Porta Ticinese nel pomeriggio del giorno 8, lo si fece più che altro per incutere un salutare timore: tant’è vero che in seguito all’unico colpo a mitraglia, sparato appositamente alto, si ebbero a deplorare solo tre morti, riuscendo per contrario a sciogliere completamente i rivoltosi …

Al contegno calmo della truppa faceva strano contrasto quello dei rivoltosi. Le donne si segnalavano in modo speciale per la noncuranza del pericolo e per gl’insulti che prodigavano all’Esercito. Persuasi dalle debolezze del passato, che la truppa non avrebbe fatto fuoco, si immaginarono certamente che presentandosi in grandi masse presso la Piazza del Duomo, avrebbero senz’altro trionfato.

Alla maggioranza di illusi e di pervertiti dalle teorie repubblicane e socialiste, va aggiunto il solito codazzo della gente di malaffare, degli anarchici, e di tutti quelli che pescano nel torbido di ogni rivolta.

L’azione dei rivoltosi prova, che essi dovevano essere diretti da gente intelligente e pratica, come già è accennato nel rapporto del Generale Del Majno: la tenacia nel costrurre e ricostrurre le barricate, l’opportuna e abile scelta dei centri di resistenza, l’abile concetto direttivo emergente dalla ubicazione e dalla reciproca relazione delle barricate, mette in chiara luce lo studio preventivo di questi mezzi di rivoluzione.

Numerosi ciclisti collegavano l’azione nelle varie località, e si spingevano nelle campagne a promuoverne l’agitazione ed a spargere false nuove.

Tutto ciò dimostra una accurata organizzazione preventiva; ma la deficienza di armi, poiché, dei rivoltosi, quelli armati di revolver costituivano la minoranza, tende a provare che il moto deve essere scoppiato prima del tempo fissato.

È lecito quindi supporre, che il moto di Milano doveva scoppiare qualche giorno più tardi, mentre l’agitazione e la sommossa si andava allargando in tutta Italia, collegandosi al movimento degli italiani residenti in Svizzera.

I tumulti di Milano non costituiscono un fatto isolato od accidentale, ma sono a parer mio la conseguenza del lavoro dei partiti sovversivi, della debole ed incostante difesa opposta al loro sviluppo, nonché dell’apatia del partito liberale e d’ordine, e della indifferenza delle classi dirigenti. …i socialisti, approfittando dell’apatia generale, si impadroniscono di gran parte dei consigli di amministrazione delle società cooperative, s’infiltrano nei municipi, creano le camere di lavoro, s’impongono agli industriali e, a poco a poco, con lavorio costante, lento e dissolvente, dominano moralmente e materialmente gli operai, che fanno scioperare e muovere a loro talento.

Qui in Milano un tale lavorio ha raggiunto l’apogeo; … il giovane clero invece dal pergamo, e con una fitta rete di comitati diocesani e parrocchiali, compie in altro senso l’opera dissolvente nelle campagne, inocula il disprezzo al Re, all’Esercito, alle Autorità, e riesce così allo stesso fine, potente alleato dei socialisti e dei repubblicani.

Una tale azione deleteria è centuplicata da una stampa sovvertitrice, che diffonde ovunque il veleno, …

A tutte queste cause un’altra e grave se ne deve aggiunger: la propaganda, cioè, fatta liberamente nelle scuole; non pochi maestri delle scuole primarie qui in Milano sono ferventi apostoli del socialismo; professioni pubbliche di socialismo sono fatte da professori d’università, e con quale effetto? Basti l’osservare come nella vicina Pavia la gran maggioranza degli studenti professa dottrine contrarie alle nostre istituzioni.

Concludo: lo stato d’assedio, se ha assicurato ed assicura la quiete, non ha tolto le cause dei mali, e, finché queste cause sussistano, è vano sperare in un avvenire migliore. L’opera di risanamento morale s’impone”

Ma financo Bava Beccaris ha un po’ di pudore tant’è che conclude:

Da taluni, fortunatamente pochi, o per spirito di contraddizione, o per intenti partigiani, già si sussurra che, in fondo, la sommossa non è poi stata tanto grave, che erano semplicemente tumultuanti, i quali esprimevano in modo irregolare il loro malcontento. Ed invero, essi dicono, numerose armi non ne avevano, né si sentirono pronunciare grida incitanti alla rivolta in nome della repubblica e del socialismo.

Armi, è vero, non ne avevano in gran copia, …

Che se, per qualche disgraziata combinazione, non si fosse giunti in tempo a domare la rivolta, questa avrebbe fatto sorgere una nuova Comune, sogno e speranza degli anarchici, i quali, in questa circostanza, è assai probabile che avrebbero avuto il sopravvento.”

Il rischio comune di Parigi non spaventò i milanesi che anzi alle elezioni parziali del giugno 1899 premiarono l’alleanza repubblican-socialista e qualche mese dopo elessero sindaco un repubblicano proprio quel Giuseppe Mussi il cui figlio era stato ucciso durante la rivolta.

Allora come in altre occasioni la strategia della tensione otteneva l’effetto opposto a quello desiderato.

Bava Beccaris comunque non cambiò idea e da ex Presidente del Consiglio dell’Ordine militare di Savoia fu tra i generali che consigliarono al re Vittorio Emanuele III di affidare il governo dell’Italia a Benito Mussolini.

Walter Marossi

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema


9 aprile 2024

BANDIERE ROSSE A PALAZZO MARINO

Walter Marossi



19 marzo 2024

MILANO CAPITALE

Walter Marossi



5 marzo 2024

PALAZZO MARINO E IL PANE

Walter Marossi



20 febbraio 2024

LA FOLLA DELINQUENTE

Walter Marossi



6 febbraio 2024

ISRAELE E PALAZZO MARINO

Walter Marossi



23 gennaio 2024

UN ASSASSINO A PALAZZO MARINO

Walter Marossi


Ultimi commenti