31 maggio 2022

CHE FAREBBE GIUSEPPE COLOMBO SE TORNASSE TRA DI NOI A MILANO?

Una rete elettrica non adeguata


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Il 26 dicembre 1883 la Prima della Scala viene illuminata elettricamente grazie alla prima centrale termoelettrica d’Europa inaugurata nel giugno dello stesso anno in via Santa Radegonda; l’artefice fu Giuseppe Colombo che per primo intuì le potenzialità pubbliche delle invenzioni di Edison, suo grande amico e autore dell’epitaffio che campeggia sulla tomba al Monumentale.

La storia e la figura di Giuseppe Colombo andrebbero raccontate ai ragazzi della nostra città per spiegare il genotipo milanese ovvero quel mix di imprenditoria, studio incessante dell’innovazione, insegnamento e possibilità di tradurre un guadagno privato in un bene pubblico realizzato attraverso un costante impegno politico in una città che, allora, non possedeva quel pregiudizio irrazionale verso il domani oggi dominante, dove il tratto principale è legato alla paura di sbagliare, di ritenere per demoniaco l’intraprendere attività non codificate e non completamente controllate dalla mano pubblica, ovvero dai suoi funzionari solertissimi nel compilare moduli e incapacissimi di futuro.

Che ci sia qualcosa che non va nelle faccende elettriche milanesi se n’è accorta mia figlia l’altra mattina quando alle sette chiama a casa per cercare di far tornare la luce in casa sua (zona Porta Romana); la registrazione di quella telefonata andrebbe conservata a fini antropologici perché mette in evidenza due tipi umani milanesi, il padre tecnologico e la madre pratica perché dopo aver esaurito (io) tutte le possibili cause interne all’appartamento ecco che la mamma suggerisce di verificare se ci fosse corrente sulle scale.

Il black-out perdurava in zona dalle 5.30 della mattina, come poi spiegato dal call center di Unareti.

E’ evidente che non sia tollerabile, non solo per la famiglia Santagostino, ma per qualsiasi milanese immaginare che questa città abbia problemi con linee elettriche nel 2022  dopo che abbiamo per almeno un decennio sottoscritto accordi per la decarbonizzazione in giro per il mondo sapendo che i consumi elettrici (a causa della trasformazione di trasporto e riscaldamento) sarebbero raddoppiati da allora al 2030-2050: i Sindaci firmanti, i loro Direttori Generali e gli zelantissimi dirigenti e funzionari di almeno tre Partecipate sapevano perfettamente che, analogamente all’idraulica e ai suoi tubi, le sezioni dei cavi cittadini non possono portare carichi raddoppiati per cui, a maggior potenza richiesta localmente, occorrono cabine di trasformazione di maggiori dimensioni e sezioni dei cavi incrementate, ivi compresi quelli degli edifici dove le ricariche per gli autoveicoli e l’alimentazione di ogni forma di pompa di calore si presentano oggi per la prima volta a chiedere energia (elettrica).

Questo lo sapevamo nei dettagli da almeno quattro anni (Unareti aveva opportunamente commissionato uno studio esterno in tal proposito, finito evidentemente nel cassetto) senza che siano nel frattempo avvenuti investimenti determinanti su cabine e linee ma dove Giuseppe Colombo avrebbe avuto ancor più da ridire è che l’evento politico del secolo, ovvero il passaggio dalle fonti fossili non rinnovabili a quelle rinnovabili, non avesse eco cittadina alcuna, come fosse affare burocratico, di quella burocrazia che si pavoneggia di 900 pagine altrimenti utili del Piano Aria Clima dimenticandosi che il primo prosaico passo è il Piano Cavi e Cabine, senza il quale nessuna transizione ecologica si darà mai in questa un tempo avanguardista città.

E a maggior disdoro indico pure come l’inesistenza di un piano pratico e una road-map da imporre a Unareti per effettuare gli investimenti necessari atti a non rendere cronici i black-out si accompagna ad altrettanto inesistente piano per la realizzazione di centrali di produzione elettrica diffuse, in grado di diminuire le necessità di incremento nelle sezioni cittadine, essendo noto a tutti che proprio la distanza dal luogo di produzione è direttamente proporzionale alle dimensioni delle reti, mentre le produzioni locali e la autoproduzioni, rendono minime tali necessità.

L’esempio virtuoso del termovalorizzatore Silla è rimasto oggi non replicato, pur sapendo che le biomasse resteranno alla fine l’unica fonte fossile ammessa, essendo rinnovabili, né si vede un piano per la produzione fotovoltaica diffusa, ovvero non affidata alla sensibilità dei singoli come accade oggi.

E sempre se ci fosse un Giuseppe Colombo fra di noi, si avvierebbe un concorso cittadino per individuare, in un piano coordinato dal Comune e dalla Città Metropolitana, tutte le possibili produzioni elettriche locali, la loro potenzialità totale e la loro produzione oraria nelle varie fasce, ovvero l’unico modo per ridurre ove possibile la necessità di raddoppiare i cavi perché la doppia corrente da noi richiesta possa così arrivare dalle centrali termoelettriche che utilizzano il gas russo o dagli impianti nucleari posti appena al di là delle Alpi.

La Smart City chiede che al governo della rete elettrica milanese vadano giovani neolaureati al corrente di quel che accade nel mondo, non i vecchi bolsi cui le centrali della Valtellina hanno per decenni tolto le castagne dal fuoco di come produrre energia elettrica pulita e che oggi i nuovi consumi e la (transitoria) siccità svelano quel che sono, ferrivecchi in attesa di rottamazione grazie a qualcuno che ridisegni con orizzonte 2050 l’urbanistica energetica dell’area metropolitana.

Giuseppe Santagostino



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