31 maggio 2022

COME CI SALVEREMO?

Ripartire dalla base per una pace duratura


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Vi sono alcune pellicole del genere post-apocalittico che, a mio avviso, sono in grado di regalare interessanti suggestioni, nonostante il filone sia considerato, spesso a ragione, di serie B. Alcuni di questi, includendo addirittura qualcuno con zombie e simili, sono prodotti di discreta qualità, se piace il genere e al netto dello splatter. De gustibus…del resto. Per citarne alcuni, le prime puntate della serie The Walking Dead, 28 giorni dopo oppure – in un tentativo estremo di nobilitare, agli occhi degli scettici, la materia – Cecità, tratto da un romanzo del premio Nobel José Saramago e da lui stesso, pare, apprezzato. 

Quello che trovo appassionante è osservare il comportamento degli esseri umani sopravvissuti all’evento catastrofico – in conseguenza del quale la maggior parte dell’umanità è scomparsa – e le relazioni che tra essi si instaurano a seguito dell’annientamento della società e del venir meno delle strutture e delle regole su cui si basava la stessa in condizioni di normalità. Niente più Istituzioni, niente più leggi, nessuno più che le faccia rispettare. 

In questa situazione si rivela l’essere umano per quello che è, non influenzato da sovrastrutture che impongono, pur inconsciamente, determinati atteggiamenti. Alcuni individui si scoprono veri eroi, animati dal senso della giustizia e dell’altruismo. All’estremo opposto, altri risultano essere del tutto indifferenti alla sofferenza altrui, incapaci di empatia nei confronti dei propri simili, privi di qualsivoglia senso di colpa, in grado di seguire le gerarchie e le regole solo all’interno del proprio gruppo, ma liberi di fare quello che vogliono là fuori¸ in quell’immensa terra di nessuno, oltre le mura dei rifugi e degli improvvisati villaggi, all’interno dei quali si sono ricreate nuove comunità. 

Ecco quello che era un impiegato modello diventare un ambizioso capo fazione capace di atti efferati, quello che era il gentile vicino di casa trasformarsi in un violentatore senza scrupoli, quello che era un tranquillo padre di famiglia rivelarsi un crudele assassino, complice la completa impunità. La completa impunità cancella dalla testa di alcuni individui le inibizioni che ne determinavano l’azione prima del cataclisma. A questo si aggiunge sovente la dinamica violenta del branco. 

Per quanto le situazioni descritte in queste produzioni siano solo immaginarie, e si spera rimangano tali, vi sono dinamiche reali molto simili che si innescano in alcuni contesti. Quello della guerra, ad esempio. Quando soldati, molti dei quali fino al giorno prima erano bravi figli, bravi studenti, bravi mariti sparano senza troppe remore – se non con un certo gusto – ad un civile in bicicletta, ad una inerme donna che pascola le mucche, ad un indifeso essere umano con le mani alzate. 

Tutti esempi a cui abbiamo assistito con tristezza e sgomento in questi giorni. Quante volte è successo in passato e quante volte abbiamo pensato che non si sarebbe ripetuto (almeno nella “progredita” Europa”)? Ed ecco che, ad ogni nuovo conflitto, si rinnova, una volta ancora, questa barbarie (premesso che già la guerra è di per sé barbarie). Per anni l’umanità lavora a diminuire le diseguaglianze, ad aumentare l’emancipazione, ad elaborare Carte e Dichiarazioni sui diritti civili, da applicarsi anche in caso di eventi bellici. Poi la guerra arriva per davvero e l’essere umano, alcuni esseri umani, tornano quello che sono sempre stati, cancellando secoli di progresso sociale e umanitario. 

La banalità del male – come l’ha efficacemente definita Hannah Arendt – la solita, già vista, banalità del male, sempre pronta a ripresentarsi ad ogni occasione. E questo spaventa. Spaventa pensare con quale facilità gli individui, in situazioni inedite, possano rivelarsi radicalmente diversi da come li abbiamo conosciuti. Spaventa poi osservare come la mente umana sia facilmente manipolabile, raggiungendo, sotto l’influenza di una demagogica propaganda, livelli di esaltazione deliranti. Come i giornalisti russi che nei giorni scorsi abbiamo visto essere disposti ad accettare l’uso di armi atomiche come unica possibilità alternativa ad una vittoria della loro Patria, in pratica un destino funesto per l’umanità intera e per loro stessi. Questo atteggiamento ricorda il folle fanatismo di quelli che, caduta Berlino, si suicidavano convinti che non fosse possibile altra società all’infuori della Germania nazista. 

Che cosa può salvarci, dunque? A costo di sembrare retorico, non vedo molte alternative: l’educazione, la memoria, la cultura, che vanno sviluppate, alimentate, coltivate attraverso un’azione costante (non dimentichiamoci che la parola “cultura” deriva non a caso dal latino “colere”, coltivare).  “Le guerre nascono nell’animo degli uomini ed è l’animo degli uomini che deve essere educato alla difesa della pace” la quale deve essere stabilita sulla base della solidarietà intellettuale e morale dell’umanità”, recita il preambolo dell’atto costitutivo dell’Unesco

Desta quindi preoccupazione leggere sui giornali della diffusa incapacità di comprensione di un testo scritto da parte di una consistente parte di adolescenti italiani. “Un dramma, non solo per il sistema d’istruzione e lo sviluppo economico, ma anche per la tenuta democratica del Paese”, commenta il presidente di Save the Children Claudio Tesauro.

E lascia un senso di amarezza apprendere dai media della bassa percentuale di candidati risultati idonei alla prova scritta (5,7%) in un concorso per magistrati, poiché la maggior parte dei casi gli elaborati presentavano “una grande povertà argomentativa e una povertà linguistica”, commenta un componente della commissione, che evidenzia la mancanza di “grande capacità di ragionamento, una scarsa originalità, poca consequenzialità, e in alcuni casi errori marchiani di concetto, di diritto, di grammatica“.

Dalle basi bisogna partire, dalla formazione dei giovani, se non vogliamo in futuro ricadere negli errori del passato e del presente. “Costruire la pace è opera dell’educazione” affermava Maria Montessori a metà del secolo scorso, pur sapendo che questo non è sufficiente: “l’educazione costruttiva” non deve infatti “limitarsi alla scuola e all’istruzione”; ma “è un’opera di portata universale”(1).

Francesco Virtuani

(1) Montessori, Educazione e pace, Edizione Opera Nazionale Montessori, Milano, 2004, p. 29.



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