17 maggio 2022

COMPLICITÀ TRA MUSICA E ARCHITETTURA

Due Senatori a vita un po’ speciali: Renzo Piano commemora al Senato Claudio Abbado


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Rovistando fra i cassetti della scrivania ho trovato il testo del discorso che Renzo Piano tenne in Senato il 23 gennaio 2014, tre giorni dopo la scomparsa di Claudio Abbado. E’ una storia molto milanese che non tutti avranno letto allora e che – approfittando del fatto che in questi giorni non ho potuto ascoltare musica – ho pensato di riproporre ai lettori di ArcipelagoMilano, il giornale in cui musica e architettura hanno sempre trovato casa.

Paolo Viola 

Signor Presidente, 

la mia non può essere che la testimonianza di un amico. Claudio ci ha lasciati lunedì mattina, tre giorni fa, e una settimana fa ancora si parlava del Senato, del suo progetto per il Senato.
È un’amicizia nella vita che cominciò all’inizio degli anni Sessanta a Milano. Eravamo dei giovani ribelli (io un po’ più giovane) e da allora non ci siamo più persi. Io andavo a casa sua, ero amico di suo fratello Gabriele, eravamo studenti di architettura, lui era musicista. Ci siamo ritrovati a Parigi quando abbiamo costruito l’IRCAM, il centro per la ricerca musicale, insieme a Pierre Boulez e a Luciano Berio. Lì incontrammo Gigi Nono con il quale realizzammo il Prometeo a Venezia. È stata una sequenza, ne abbiamo fatte, di tutti i colori.

Poi ci siamo ritrovati a Berlino, lui dirigeva il Berliner Philarmoniker, io il cantiere in Potsdamer Platz. Lui attraversava la strada, la Potsdamer Strasse, verso il cantiere ed io l’attraversavo verso la Filarmonica, ed era una continua sintonia. Poi ci siamo ritrovati tante altre volte: a Berlino, al Lingotto di Torino, a Roma, insieme a Luciano Berio. Abbiamo fatto una piccola cosa per L’Aquila, dove ci siamo ritrovati. Era un continuo ritrovarsi.

Vi è una sorta di complicità tra il musicista e l’architetto, tra chi compone lavorando con la materia più immateriale e più leggera che esista, cioè il suono, e chi invece costruisce. C’è complicità e c’è anche una sorta di affettuosa invidia dell’intellettuale, del poeta, del musicista verso il costruttore e viceversa; il costruttore che lavora con una materia così pesante, infatti, quasi invidia il materiale con cui lavora il musicista. Quando poi l’architetto ama la musica ed il musicista ama l’architettura, evidentemente la cosa è fatta. Era un continuo sconfinare.

Non voglio annoiarvi con questioni biografiche. Mi sento al tempo stesso triste ed onorato di parlare per la prima volta in quest’Aula di un amico scomparso. Vorrei, però, sottolineare una cosa importante. Gli anni Sessanta sono stati straordinari. Il Sessantotto di Parigi è avvenuto solo otto anni dopo, ma era completamente diverso. Negli anni Sessanta, a Milano, vivevamo una straordinaria stagione. Lui pensava alla musica, costruiva la musica, tutto diventava musica nella quotidianità; persino l’insalata del pranzo diventava musica. Ripeto che tutto diventava musica. Nel mio piccolo, per me tutto diventava architettura. Vi era una sorta di ostinazione assolutamente sublime, totale; tutta l’energia andava nel diventare musicisti. Tuttavia vi era quella che allora si chiamava l’ansia del sociale: nulla di quella esperienza straordinaria, che era fare musica o fare architettura (nel mio piccolo), era separato dalla società, dalla militanza, dalla passione, dall’idea impossibile di cambiare il mondo con la musica. Questo è il fatto importante.

Per tale ragione, lui ha sempre lavorato con la società assieme alla musica, assieme a questa meravigliosa arte, così straordinaria e così poetica: la musica come riscatto per i detenuti, la musica come modo per togliere i ragazzi dalla strada. Per questo, ha lavorato con Abreu e ogni tanto spariva ed andava in Venezuela. Vi è sempre stata una straordinaria consonanza tra il suo impegno civile e la musica. In realtà, in quegli anni, siamo nati tutti così, si cresceva così, e lui è cresciuto straordinariamente in questo modo.

In quel contesto ha inventato una cosa bellissima, l’Orchestra Mozart. Si tratta di un’invenzione straordinaria; è un’orchestra che si struttura ogni volta. Scherzando, gli dicevo sempre che per lui l’Orchestra Mozart era come la tavolozza di un pittore; gli dicevo che lui era come Paul Klee. Sulla tavolozza aveva i colori e, a seconda di come girava e di come doveva fare un certo concerto, prendeva dalla tavolozza. Ripeto che l’Orchestra Mozart è un’invenzione straordinaria, che bisogna salvare. Con la Mozart ha eseguito concerti come quello che abbiamo fatto a L’Aquila. Mi domandava sempre di aiutarlo in progetti folli. Quello fu folle, ma ci riuscimmo. Si trattava di un piccolo, piccolissimo, edificio in legno, dove fece una cosa straordinaria: chiamò dalla Mozart le persone giuste per eseguire quel concerto. Ogni volta ha sempre fatto così. Lo sottolineo perché l’Orchestra Mozart va salvata.

Voglio chiudere perché non prendere tempo alle vostre testimonianze, più importanti.

Tutto questo confluisce in un momento particolare. Un giorno mi chiamò e mi disse: «Diventiamo senatori a vita». Fu un colpo, perché nessuno di noi due ci aveva mai pensato. Ci domandammo, e ce lo siamo domandati sino a pochi giorni fa, come renderci utili in qualità di senatori a vita. Ebbene, Claudio è sempre stato convinto di una cosa: che la bellezza, l’arte, la cultura – non quella paludata, quella con la C maiuscola, ma quella di tutti i giorni, fatta di curiosità, di esplorazione, di ricerca – rendono le persone migliori. Avete mai notato che questo accende negli occhi delle persone una luce particolare, la luce della curiosità?

Lui è sempre stato convinto di una cosa importantissima, di cui anch’io sono convinto: la bellezza salverà il mondo e lo salverà una persona alla volta. Sì, una persona alla volta, ma lo salverà. Questo è davvero importante e lui aveva un’idea fissa che voglio proporre a questa Assemblea: insegnare la musica nelle scuole italiane. (applausi). Grazie, sono sicuro che questo applauso lo sta ascoltando (applausi). 

Colleghi, tutte le scuole d’Europa insegnano musica. Mio figlio più piccolo, che ha 14 anni, va a scuola a Parigi dove insegnano musica. Ma possibile che noi, in Italia, non insegniamo la musica? Non ci vuole niente, bisogna farlo, perché la bellezza è un giardino straordinario ma va frequentato da piccoli. Bisogna insegnarglielo subito, finché sono piccoli, perché poi, quando si diventa grandi, insensibili alla bellezza, sembra qualcosa di estraneo, che non ci appartiene più, non ci interessa. Invece è proprio ciò che accende i desideri, che ci dà energia.

L’idea di insegnare la musica ai bambini è un’idea straordinaria e semplice. Vi chiedo – anche perché lui come me ha tenuto sempre in grande considerazione il Senato, la Camera alta, dove idee come questa devono trovare forza – di ascoltare questo desiderio perché, anche se ci vorrà un po’ di tempo, renderà il nostro Paese migliore.

Renzo Piano

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