17 maggio 2022
LA CITTÀ DEI 15 MINUTI
Una moda di gran richiamo mediatico?
L’Economia Urbana interpreta la decisione di consumatori e imprese di localizzarsi in porzioni limitate di spazio come frutto di un comportamento razionale che valuta il beneficio netto che deriva da tale decisione, come differenza fra i benefici e i costi lordi di localizzazione. Ciò non toglie che la politica locale non possa migliorare la qualità della vita di consumatori e imprese, intervenendo con la finalità di limitare la componente ‘costo’ e massimizzare quella ‘beneficio’.
É in tale direzione che si deve probabilmente leggere il recente dibattito intorno alla Città dei 15 minuti (da ora in poi: “C15M”). La C15M è stata proposta in Moreno (2016). Sulla base di una maggior diffusione delle tecnologie della comunicazione, che permettono una più semplice smaterializzazione dei posti di lavoro, e un maggior ricorso al telelavoro, Moreno (2016) profetizza che le città del ventunesimo secolo si evolveranno lungo gli assi di “proximité, mixité, densité, ubiquité”. Tale evoluzione permetterebbe, nella visione di Moreno, sposata anche dall’amministrazione comunale di Parigi, di ridurre drasticamente gli spostamenti dei cittadini del futuro, sia per motivi lavorativi che a fini di intrattenimento.
L’idea di una città di prossimità non è nuova. In effetti, l’idea di ridurre la mobilità interna alla città risale almeno al concetto di Garden City (Purdom, 1903), che suggeriva l’integrazione di città e campagna, al fine di attenuare gli effetti perversi di urbanizzazione e industrializzazione. Il Ventesimo secolo ha poi visto tanti approcci ugualmente pessimisti sul ruolo dell’automobile nello sviluppo della città, e ugualmente entusiasti nel suggerire i benefici della città di prossimità. Fra questi, la città dei brevi percorsi (Brandt, 2017); la città ABC della scuola olandese (Schwanen et al., 2004); e la città senza macchine (Nieuwenhuijsen e Khreis, 2016). La C15M si inserisce dunque in un lungo filone di approcci focalizzati più sugli aspetti negativi dell’urbanizzazione, che sui benefici della vita urbana; in comune, spesso tali visioni deviano in maniera significativa dalle predizioni teoriche della modellistica propria dell’Economia Urbana.
Questo mio contributo affronta il tema della C15M proprio da quest’ultimo punto di vista. Ad oggi, infatti, il dibattito di policy sulla C15M risulta perlopiù basato sul tam-tam dei media, piuttosto che su forte evidenza scientifica: “With the concept gaining ground in popular media and its subsequent adoption at policy level in a number of cities of varying scale and geographies…” (Moreno et al., 2021, p. 93).
La C15M propone un paradigma di pianificazione alternativo a quello, affermatosi nel ventesimo secolo, basato sull’uso dell’automobile come base per gli spostamenti dei consumatori sia a fini lavorativi che ricreativi. I proponenti la C15M sostengono la necessità di “demobilizzare” la città, per contrastare gli effetti perversi dello sviluppo delle città negli anni della diffusione dell’automobile, quali congestione, inquinamento, incidenti automobilistici, vita poco attiva. Questo prevedrebbe la distribuzione, aiutata dalla pianificazione urbana, di servizi alla persona, a partire dalle scuole, in zone diverse della città, in maniera tale di consentire ai residenti urbani di raggiungere la gran parte delle destinazioni della mobilità personale per fini di lavoro e ricreativi per l’appunto in un raggio di tempo di circa 15 minuti.
Le argomentazioni a favore di questo approccio alla pianificazione urbana muovono da problemi aperti e tuttora insoluti associati alla concentrazione di residenti nelle grandi città. Le città creano notevoli problemi di gestione della logistica della concentrazione delle attività economiche. A partire dalla fine del diciottesimo secolo, la progressiva diffusione di mezzi di trasporto basati su tecnologie che sfruttano fonti di energia fossili ha causato a ritmi sempre più rapidi l’aumento progressivo dell’inquinamento dovuto all’uso di treni, tram, e, a partire dal ventesimo secolo, di automobili. Le città sono per esempio responsabili del 75 per cento delle emissioni di gas serra (Geneva Environment Network, 2022) e consumano il 75 per cento dell’energia globale (UN Habitat, 2022).
Quest’argomentazione, benché basata su un problema ad oggi insoluto, e reso sempre più urgente dal cambiamento climatico globale, rappresenta solo una faccia della medaglia. L’avvento del tram e dell’automobile, a cavallo fra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo hanno impresso alle città una spinta mai registrata prima alla crescita demografica grazie alla possibilità per persone di reddito medio basso di accedere al grande mercato del lavoro tipicamente concentrato nelle aree centrali delle grandi città. Infatti, secondo sia le classificazioni più tradizionali (Hoover, 1937) che moderne (Duranton e Puga, 2004) delle fonti dei benefici derivanti dalla localizzazione urbana, uno dei ruoli principali svolti dalle città è proprio quello di concentrare mercati del lavoro grandi e diversificati. In questo senso, le città permettono da un lato ai lavoratori di aumentare le probabilità di trovare un lavoro adeguatamente retribuito, nonché di trovare una posizione lavorativa che rispecchi le proprie competenze e preferenze; d’altro canto, anche le imprese beneficiano da questo pattern localizzativo, poiché accedono ad un’offerta di lavoro proporzionalmente più ampia e diversificata, riuscendo così a soddisfare più facilmente eventuali necessità di forza lavoro.
Inoltre, a fronte dell’inquinamento da esse generato, le città forniscono una quota sproporzionata di PIL: circa l’80 per cento del Prodotto Interno Lordo generato globalmente viene realizzato in aree urbane (Banca Mondiale, 2022). Le aree urbane producono una quota rilevante di attività innovative, e l’innovazione è funzione positiva delle dimensioni della città. Per raggiungere queste prestazioni, le città devono essere organismi unici e non risulta possibile frazionarle in microzone all’interno delle quali confinare una quota della popolazione complessiva. Le porzioni di città non posso essere disconnesse le une dalle altre, se non al costo di ridurre l’efficienza complessiva del sistema, che trae beneficio dall’organicità dell’oggetto città. Il porzionamento della città ignora infatti un concetto fondamentale per comprendere le economie di agglomerazione, ovvero le economie di scala: alcune attività economiche sono strutturalmente indivisibili, e non possono quindi essere riprodotte in quantitativi limitati (Capello, 2009).
L’Economia Urbana ci fornisce anche gli strumenti per stimare l’impatto negativo che forzare areali di massimo 15 minuti intorno a ciascun residente avrebbe sul limitare le opportunità di svago, di socializzazione al di fuori del giro ristretto di conoscenti del quartiere di residenza (con risultati potenzialmente drammatici per coloro che risiedono in quartieri disagiati, a redditi e livelli di istruzione mediamente inferiori), di accesso a scuole di diversi livelli. Il rischio di ghettizzare le popolazioni di queste microzone rende tale approccio rischiosamente regressivo.
C’è un ultimo limite logico dell’approccio della C15M che mi sembra meriti di essere menzionato. La C15M viene spesso venduta come una soluzione alle crescenti disuguaglianze, soprattutto di reddito e opportunità, delle città. Moreno et al. (2021) sostengono che “Today, our car-dependent urban planning legacy outlines deep-rooted inequalities, especially in the social and economic spheres, and has become the center for unsustainable practices”. La città di Parigi, che di tale approccio si è fatta araldo per l’intero continente europeo, propone di spingere quanto più possibile la bicicletta come mezzo di trasporto principale.
Ciò si scontra con la finalità di una quota rilevante degli spostamenti intra-urbani. ISFORT (2020) conferma che “la lunghezza media degli spostamenti è tendenzialmente maggiore nei viaggi sistematici del pendolarismo per lavoro o studio, rispetto ai viaggi di prossimità che caratterizzano la gestione familiare o una parte della mobilità per tempo libero”. In questo contesto, si registra una crescita (pre-COVID) costante del ricorso a piedi e bicicletta per spostamenti di breve distanza, e una tenuta dell’automobile per quelli a lunga distanza. Prese assieme, queste evidenze smentiscono la vulgata che il cittadino medio ricorra all’auto per pigrizia. Sebbene con numerose eccezioni, il ricorso all’automobile è frutto di un calcolo costi-benefici, che conduce i pendolari a scegliere il mezzo che garantisce maggior rapidità di spostamento. Purtroppo, qualunque intervento volto a ostacolare la circolazione delle automobili (implicazione inevitabile del restringimento delle corsie per auto a favore dell’introduzione di piste ciclabili) non distingue fra pendolari di corta e lunga percorrenza, e quindi ostacola la parte di pendolari che ricorre all’auto in maniera quasi obbligata.
Sulla base della teoria economica urbana, a mio avviso la C15M rischia di esacerbare le disuguaglianze esistenti, in realtà risultando contraria agli interessi delle fasce di reddito medio-basse. La regressività della politica tocca due caratteristiche principali, ovvero la demografia e il reddito dei cittadini. Sul primo fronte, giova ricordare che le città di grandi dimensioni (pensiamo per il caso italiano a Milano, Roma, e Napoli, abitate rispettivamente da 4.2, 3.2, e 3 milioni di abitanti (1); la seconda in particolare caratterizzata da livelli contenuti di densità, e quindi con distribuzione della popolazione piuttosto dispersa) sono oggetto di trasferimenti di lunghezza media incompatibile per l’uso della bicicletta. Tutto questo in una fase storica in cui la popolazione invecchia e solo una frazione di essa è in grado fisicamente di pedalare su distanze rilevanti.
Sul fronte reddituale, per di più, un problema rilevante è l’ineliminabile centripetia dei mercati di lavoro urbani (Bertaud, 2018). La maggior parte dei posti di lavoro si concentra in aree centrali(2), che, anche in conseguenza di tali concentrazioni, sono caratterizzate da livelli di rendita fondiaria più elevati. Il risultato è che solo le fasce di popolazione a maggior reddito potranno permettersi di risiedere in zone centrali, e pendolare quotidianamente su ciclo verso il proprio luogo di lavoro; per la grande maggioranza della popolazione, tali localizzazioni risulteranno precluse, e il pendolarismo risulterà sempre più gravato da lentezza negli spostamenti in automobile, solo parzialmente attenuati da ulteriori, costosi, e complessi interventi sulla rete di trasporto pubblico, e in assenza di una reale alternativa nell’uso della bicicletta.
L’ambiente richiede a gran voce la nostra attenzione per correggere i danni causati dalla crescita economica negli ultimi due secoli. Le sfide davanti al genere umano sono enormi, e la loro complessità richiede un umile e coscienzioso studio dell’evidenza empirica a disposizione sia in merito agli oggetti di intervento di policy, che ad altre fonti potenziali di problemi anch’essi passibili di intervento di politica(3), prima di lanciarsi in politiche di pianificazione della città basate su mode e risonanza sui media, piuttosto che su solidi ragionamenti basati sulla dottrina e la conoscenza. Errori di sottovalutazione di queste complessità potrebbero costare carissimi in termini di ridotta produttività delle nostre città, e, in ultima analisi, di rinuncia alla qualità della vita sino ad ora raggiunta.
Andrea Caragliu (4)
NOTE
(1) Dati da Bilancio Demografico ISTAT (https://demo.istat.it/), riferiti al 2018 e calcolati sulla base della definizione di città metropolitane; si veda sul tema anche Camagni et al. (2021).
(2) E, sebbene sia ancora relativamente presto per trarre conclusioni definitive, tale tendenza permarrà anche nel caso in cui l’epidemia di COVID-19, o futuri simili episodi, perdurino – quantomeno per la porzione di attività lavorative in cui la co-presenza risulta fattore fondamentale per garantire aumenti di produttività.
(3) In questo insieme, penso in particolare all’aumento dell’inquinamento causato dalla restrizione delle corsie automobilistiche e ai relativi imbottigliamenti, alla diffusione delle zone con limite di 30 km/h, secondo alcuni più inquinanti di quelle a velocità regolare (Zhang e Batterman, 2013)), al ruolo dei sistemi di riscaldamento, all’inquinamento generato da moto e motorini.
(4) Politecnico di Milano, Dipartimento ABC, Piazza Leonardo da Vinci, 32, Ed. 5, 20133 Milano (MI). Indirizzo e-mail: andrea.caragliu@polimi.it. Desidero ringraziare Roberto Camagni e Chiara Del Bo per avere fornito numerosi suggerimenti ad una versione precedente di questo articolo.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Bertaud, A. (2018). Order Without Design: How markets shape cities. Cambridge (MA): MIT press.
Brandt, M., Butzin, A., Gärtner, S., Meyer, K., Hennings, G., Siebert, S., Ziegler-Hennings, Ch., Lehmkuhl, Th., Schambelon, S., Wettig, S. (2017). “Produktion zurück ins Quartier? Neue Arbeitsorte in einer gemischten Stadt: Endbericht im Auftrag des Ministeriums für Heimat, Kommunales, Bau und Gleichstellung des Landes Nordrhein-Westfalen. Gelsenkirchen/Dortmund: Inst. Arbeit und Technik/StadtRaumKonzept. Consultato online all’URL https://www.iat.eu/aktuell/veroeff/2017/Produktion-zurueck-ins-Quartier.pdf il 2 maggio 2022.
Camagni, R., Capello, R., e Caragliu, A. (2021). “Le città metropolitane: leader all’interno della gerarchia urbana in Italia?”, 132: 121-152.
Capello, R. (2009). Indivisibilities, synergy and proximity: the need for an integrated approach to agglomeration economies. Tijdschrift voor economische en sociale geografie, 100(2), 145-159.
Duranton, G., & Puga, D. (2004). Micro-foundations of urban agglomeration economies. In Handbook of regional and urban economics, Vol. 4. Amsterdam: North Holland, Elsevier, pp. 2063-2117.
Geneva Environment Network (2022). “Cities and the Environment”, consultato online all’URL https://www.genevaenvironmentnetwork.org/resources/updates/cities-and-the-environment/ il 28 marzo 2022.
Hoover, E. M. (1937). “Location theory and the shoe and leather industries”, Cambridge (MA): Harvard University Press.
ISFORT (2020). “17° Rapporto sulla mobilità degli italiani”, consultato online il 2 maggio 2022 all’URL https://www.isfort.it/progetti/17-rapporto-audimob-sulla-mobilita-degli-italiani/
Moreno, C. (2016). “La Ville du Quart D’heure: Pour un Nouveau Chrono-Urbanisme”, consultato online all’URL https://www.latribune.fr/regions/smart-cities/la-tribune-de-carlos-moreno/la-ville-du-quart-d-heure-pour-un-nouveau-chrono-urbanisme-604358.html il 2 marzo 2022.
Moreno, C., Allam, Z., Chabaud, D., Gall, C., and Pratlong, F. (2021). “Introducing the “15-Minute City”: Sustainability, Resilience and Place Identity in Future Post-Pandemic Cities”, Smart Cities, 4 (1): 93-111.
Nieuwenhuijsen, M. J., & Khreis, H. (2016). Car free cities: Pathway to healthy urban living. Environment International, 94, 251-262.
Purdom, C. B. (1913). The Garden City: a study in the development of a modern town. JM Dent & sons Limited.
Sanders, N.K. (a cura di; trad. di A. Passi; 1986). “L’Epopea di Gilgameš”, Milano: Adelphi.
Schwanen, T., Dijst, M., & Dieleman, F. M. (2004). Policies for urban form and their impact on travel: the Netherlands experience. Urban Studies, 41(3), 579-603.
UN Habitat (2022). “Energy”, consultato online all’URL https://unhabitat.org/topic/energy il 28 marzo 2022.
Wilson, B. (2020). “Metropolis”, New York: Doubleday.
Zhang, K., & Batterman, S. (2013). Air pollution and health risks due to vehicle traffic. Science of the total Environment, 450, 307-316.
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