3 maggio 2022
QUELL’AMBROSIANO FERVORE EDILIZIO
Un “vizietto” di lunga data
Di un paio di settimane fa la notizia di un nuovo grattacielo per uffici di ben 94 metri, quasi quanto il Pirellone, in zona Stazione Centrale, che prenderà il posto dell’attuale hotel Michelangelo. Si tratta solo dell’ultimo arrivato tra nuovi sfolgoranti edifici in corso di realizzazione o in previsione a Milano (qua per una rassegna) destinati a modificare lo skyline della città. Non cessa insomma il fervore edilizio che da anni anima Milano, considerando anche altre grandi operazioni immobiliari, come il discusso complesso del nuovo stadio di San Siro o come il Villaggio Olimpico allo scalo di Porta Romana.
Ma saranno davvero necessari tutti questi nuovi fabbricati, soprattutto quelli ad uso terziario? La città si divide tra chi non ama e chi invece appoggia con entusiasmo un suo sviluppo verticale. Quest’ultima posizione – che sia o meno condivisibile – è rispettabile, a patto che le nuove realizzazioni rispecchino effettive esigenze.
Sembra invece che oggi molti dei grandi edifici ad uso ufficio di recente edificazione siano tutt’altro che pieni. La situazione non può ancora dirsi definitiva: stiamo assistendo ad un ritorno negli uffici dopo la crisi pandemica e ci vorrà ancora tempo prima che si possano trarre conclusioni.
Certo è che la pratica dello smart working si è ormai affermata e una percentuale rilevante di dipendenti, pur alternandosi, continueranno a lavorare da remoto. La Repubblica lo scorso anno parlava di “vuoto verticale”, riferendosi alla deserta torre Allianz di CityLife – che, nelle previsioni, non tornerà a pieno regime, tanto che già alcuni piani sono stati affittati alla Fondazione Milano Cortina 2026 – e alla altrettanto sottoutilizzata torre Unicredit di piazza Gae Aulenti. Tendenza che trova conferma anche quest’anno.
Dopo la pandemia molte cose sono cambiate, come conseguenza di essa o solo come accelerazione di fenomeni già in corso. Lo stesso Sindaco dichiarava che nulla sarà più come prima. Eppure, dal punto di vista immobiliare, tutto procede come prima. Come se nulla fosse successo si continua a progettare, costruire, elevare uffici, case – queste forse le uniche per cui ci sia richiesta – attività ricettive e centri commerciali. A proposito di questi ultimi, osserva Luigi Corbani: “a Milano si segue, in ritardo, la moda portata dai fondi immobiliari, senza guardare al futuro e senza un po’ di lungimiranza” (1).
Lo stesso PGT attuale – strumento che dovrebbe tenere conto, tra le cose prioritarie, dei bisogni della città – approvato nel 2019 e in vigore fino al 2024, si riferisce ad una situazione pre-pandemia e nulla è stato fatto per adeguarlo al nuovo scenario.
Se è vero che la vitalità dell’attività edilizia spesso è indice di crescita economica, nel caso di Milano l’impressione è che lo sviluppo sia sostenuto dal settore immobiliare. Se così fosse, la situazione non reggerà a lungo. Qualcuno parla già di possibile rischio “bolla”. Fondate o no che siano queste voci, si impone una seria riflessione sull’opportunità e sul merito di questa strategia urbanistica.
Il fatto è che “Milano fatica a prendere le distanze dall’idea del mercato immobiliare come unico motore di rigenerazione urbana”, rimanendo fortemente presidiata da interessi di natura privatistica, mentre l’interesse pubblico si pone solo come “derivato”, “riparativo e non costituente del programma di trasformazione”, come osservano efficacemente Faccini e Ranzini nel loro libro “L’ultima Milano. Cronache dai margini di una città” (2). E il progetto nuovo Stadio San Siro è forse l’operazione più emblematica di quest’approccio.
Insomma, un “vizietto”, quello della speculazione edilizia, che continua da almeno un secolo e mezzo ad accompagnare le vicende della città e in molti casi a deturparne l’aspetto e che costituisce una componente caratterizzante del tanto decantato “Modello Milano”, che forse, a questo punto, andrebbe ripensato. Un buono spunto di partenza ci viene offerto dalla parole di Adriano Olivetti attualissime nonostante siano state scritte più di sessant’anni fa: “Le radici dell’uomo sono nella natura e nel paesaggio. Vale quindi la pena affrontare un’apparente perdita di rendimento economico per evitare un opprimente e inesorabile distacco e per aumentare gli spazi destinati ai servizi sociali e culturali, sia nella progettazione urbanistica sia nei bilanci dello Stato e dei privati. Gli architetti, gli ingegneri, gli amministratori devono perciò persuadersi a essere al servizio della civiltà, che si riconosce dall’adeguatezza dei suoi spazi “(A. Olivetti, Noi Sogniamo il Silenzio).
Francesco Virtuani
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