3 maggio 2022

LA BOCCONI E LA POVERTÀ

Le contraddizioni del “Miracolo a Milano”


longhi (1)

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Chi si trovasse a passare davanti ai nuovi edifici dell’università Bocconi prospicenti l’istituto di carità “Pane quotidiano” noterebbe che la coda di cittadini in attesa della quotidiana razione di beni alimentari, indispensabili alla sopravvivenza, supera ormai i 500 metri. Questa visione è la più lampante immagine dell’imponente dicotomia fra l’opulenza della Milano cantata da amministratori pubblici e speculatori immobiliari e l’evidente crescita esponenziale della povertà. Corollario di questa osservazione è il dubbio circa l’efficacia della scienza economica che li, come nelle altre università milanesi, viene insegnata. Ritengo infine che la confusione di stili che ha segnato lo sviluppo del campus bocconiano sia spiegabile con la difficoltà del corpo accademico ad interpretare i segnali anticipatori delle diverse qualità delle variegate architetture.  

Il punto di partenza, comunque, rimane il positivo giudizio sull’investimento del nuovo Campus al Vigentino. Nel momento in cui la borghesia lombarda si apprestava a liquidare i suoi storici asset industrial/finanziari a favore dell’orientale di turno, per poi ricoverare i proventi in non noti ospizi finanziari, la Bocconi ha dato l’importante segnale civico che solo rivalutando il capitale umano si genera sviluppo e che questo processo si avvia investendo al centro della metropoli.   

Ma ritengo che esista e che sia importante una virtuosa simmetria tra le regole razionali dello sviluppo economico e le regole artistiche che dominano la realizzazione degli edifici.  Per questo il non felicissimo innesto del minimalismo jap in un contesto già segnato da un bric e brac di (pur nobili) stili architettonici mi sembra un preoccupante segnale di una più preoccupante confusione sulla missione culturale dell’ateneo e, più in generale, dell’istruzione accademica metropolitana.

Infatti il punto di partenza è dato dalla simmetria virtuosa tra l’ordine dell’economia aziendale di Gino Zappa, che segnò la fama della Bocconi aziendalista, ed il rigore razionalista dell’edificio di Giuseppe Pagano; una coerenza che trova integrazione con l’edificio dei Muzio, il quale inizia a dare all’ambiente accademico segnali premonitori, che saranno recepiti con fatica o non saranno mai recepiti.

L’edificio dei Muzio, nella parte inizialmente destinata a biblioteca, proponeva infatti un innovativo sistema di irraggiamento solare, che avvertiva gli studiosi di economia della centralità delle risorse naturali nella costruzione del discorso economico, discorso quanto meno sottovalutato.

Muzio quindi appare come punto di partenza di un’asimmetria fra visione economica ed architettonica destinata a crescere esponenzialmente: la struttura circolare dell’edificio dei Gardella e di Nonis, chiamata popolarmente ‘il velodromo’ richiama l’esigenza del passaggio dalla visione dominante lineare ad una circolare, in nome di un’economia basata sulle regole della sostenibilità. Non si può certo dire che il richiamo del ‘velodromo’ sia stato colto con entusiasmo dalla prassi economica sia bocconiana che milanese. Così come la struttura aperta dell’edificio delle architette irlandesi Fare e McNamara, che evoca l’infinita flessibilità e intercambiabilità delle funzioni del “Fun palace” di Cedric Price, è un inascoltato invito a superare la tradizione dei docenti a rinchiudersi nei loculi degli studioli dipartimentali.

Ugualmente il recente Campus con l’impianto minimalista e monotono dei giapponesi Sejima e Nishizawa, che si sviluppa attraverso inespressivi rotoli di superfici courtain (si spera ottenuti da materiale riciclabile) disegna un’ossessiva barriera tra l’interno degli edifici e l’esterno, con effetto verosimilmente poco benefico per la psiche degli studenti che li abitano. 

Il Campus, di dimensioni importanti, è pensato per un futuro che si immagina dominato dalla presenza fisica, in contrasto con l’evoluzione potente delle relazioni immateriali. Ma, molto importante è la gestione delle esternalità fisiche di questo intervento, un campo di competenza della Pubblica Amministrazione, chiamata a gestire gli oneri di urbanizzazione ed i rapporti con gli speculatori privati attratti dal ricco mercato degli studenti benestanti.

L’occasione era ghiotta, infatti la Pubblica Amministrazione era chiamata a dilatare la crescita del capitale umano stimolata dall’Università privata; un tema affascinate ridotto al restyling di giardinetti e alla generosa concessione di volumetrie all’immobiliarista dominante.

Il quale realizza una serie di palazzoni il cui stile ricorda l’edilizia delle ex repubbliche socialiste, che producono un carico ambientale ed un impatto visivo rilevanti. 

E ai poveri cosa resta? La Bocconi se ne fa carico, migliorando il capitale fisico. Provvede alla ristrutturazione degli edifici del “Pane quotidiano”, con un intervento in stile vernacolare, progettato dall’arch. Boeri, il quale probabilmente vuole ricordare che un ritorno a forme e volumi coerenti con la storia del quartiere ha un valore culturale, in grado di generare benefici patrimoniali, in termini di ambiente e socialità, superiori ai valori immobiliari correnti. Questione questa che dovrebbe essere moneta corrente, non solo per la generosità dell’Università Bocconi, ma per la pratica della pubblica amministrazione.

Ma non bisogna dimenticare che la cosa sempre più lunga di cittadini in attesa della carità quotidiana ha bisogno non solo di pane, ma di accesso ai saperi che oggi sono metaforicamente sbarrati dalle superfici di lamiera zigrinata degli architetti giapponesi.

L’architettura insegna all’economia che la società progredisce solo con il sale della creatività, materia abbondante nella coda quotidiana dei questuanti.

Forse, il prossimo progetto per l’ateneo potrebbe comprendere l’integrazione nel consiglio di amministrazione della Bocconi di una rappresentanza dei più poveri. Una visione zavattiniana che potrebbe aiutarci a riscattare il quotidiano declino del nostro vivere comune, economico e sociale. 

Giuseppe Longhi

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  1. Cristoforo BonoÈ anche la critica che Persico faceva al Razionalismo italiano. Mancanza di un programma e di un ideale, senza i quali l'architettura non può essere "sustanza di cose sperate".
    5 maggio 2022 • 08:58Rispondi
  2. GiuseppeGrazie per il bel commento
    6 maggio 2022 • 16:53Rispondi
  3. maurizio SpadaArgomentazione molto interessante il raffronto fra economia e architettura nella sede della Bocconi dove la prima viene insegnata. Ho affrontato questo argomento nei miei due ultimi libri, L'altro architetto e La cultura della bellezza. La crisi del globalismo sta proprio in questa economia che ha perso i contatti con la realtà e di conseguenza favorisce la produzione di architettura altrettanto " fuori luogo".
    11 maggio 2022 • 09:08Rispondi
  4. Francesco. FrisiaCaro direttore, non sono un architetto (e non voglio entrare nelle valutazioni estetiche del nuovo palazzo della Bocconi) ma un vetusto ingegnere. Leggo sempre con molto interesse la Tua importante rivista- Arcipelago- ma non posso astenermi dal comunicare che non sono assolutamente d'accordo con l'articolo "la Bocconi e la povertà".vedo sempre con dolore la fila in attesa del Pane Quotidiano. Non capisco come "le superfici in lamiera zigrinata degli architetti giapponesi" acccrescano i Ioro grossi problemi. Grazie e complimenti per il Tuo impegno. Francesco F
    18 maggio 2022 • 18:39Rispondi
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