3 maggio 2022

UCRAINA 2 / MORIRE PER KIEV?

Resistere, negoziare, reinventare le istituzioni internazionali


ucciero (1)

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Il tempo passa e la guerra incrudisce. Ora pare che anche Putin, per la mobilitazione generale, chiamerà la cosa con il suo nome, dimenticando “l’operazione militare speciale”. La verità, infine, fa giustizia anche dei suoi manipolatori, ma è una triste soddisfazione.

A due mesi dall’invasione, il sentimento popolare prende tonalità diverse. Restano solidarietà ed accoglienza, ma crescono angoscia, paura e preoccupazione. La resistenza patriottica ucraina esalta, ma incalza il timore di un conflitto allargato, incontrollabile e distruttivo. Come una sfera su di un piano inclinato, il corso della guerra è sempre più veloce. Il tempo ci è nemico.

Per alcuni, il problema neppure si pone in realtà: semplicemente, il “Morire per Kiev” del 2022 è la chiamata alle armi dell’Occidente, replica obbligata del “Morire per Danzica” del 1939. Ed in effetti non mancano punti di contatto con la vigilia del secondo conflitto mondiale: una potenza che si sente umiliata, le aggressioni a paesi vicini, le democrazie desiderose di pace, l’inaccettabilità di un ulteriore cedimento. Tuttavia, è almeno arduo sovrapporre la Germania Hitleriana alla pur autocratica Russia di Putin. Soprattutto, incombe oggi la minaccia del conflitto atomico, un “dettaglio” che fa la differenza e cambia di segno anche al dilemma etico. Intanto, per non saper né leggere né scrivere, la TV russa simula ridacchiando il lancio delle atomiche sulle nostre teste.

Emergono linee di faglia tra USA ed Europa: noi viviamo vicini alla Russia, con poche risorse energetiche. L’America la guarda da oltre oceano ed è ricca di gas e petrolio. Ce n’è abbastanza per nutrire preoccupazioni ed approcci diversi. Il punto come sempre è: riesce l’Europa a sostenere non solo idealmente una propria visione? E soprattutto ne esiste una che la unisca? E’ legittimo interrogarsi sull’effettiva convergenza strategica nel sostegno all’Ucraina: si vuole armarne la difesa o, attraverso di essa, ed esacerbandola fino alle estreme conseguenze, sconfiggere e ridimensionare definitivamente la Russia? Quale disegno si intende sottoscrivere? La sconfitta sul campo di Putin e correndo quali enormi rischi, o un negoziato che, come sempre, in parte gratifica ed in parte ed in scontenta? E si intende lavorare per un’intesa, o tagliare i ponti? Anche tra le grandi potenze le parole sono pietre.  Papa Francesco sembra avere idee chiare, Macron e Scholz, ciascuno a suo modo, cercano di segnare la distinzione ma con grande fatica. A Milano, la Meloni tromboneggia di un’Europa partner autonoma degli USA, ma senza politica estera e difesa comuni la cosa resta un sacro mistero sovranista, giochetto per un pubblico di bocca buona.

A sinistra, le linee di faglia sono ampie. Se per il PD di Enrico Letta non si discutono fedeltà e sostegno alla linea atlantica, altri, compreso l’opaco mondo dei 5 Stelle, continuano a guardare alla Russia con “occhiali” diversi, come se oltre la sagoma di Putin si intravedesse ancora la grande potenza che liberò l’Europa dal nazismo nel ‘45, un orso placido che è bene non stuzzicare. Eppure, questo orso non è (neppure era) mansueto, e dell’URSS resta oggi solo il fantasma di cui Putin intende restaurare la grandezza planetaria, non sotto il segno del socialismo sovietico però, ma sotto quello inquietante ed inaccettabile di un regime cleptocratico, antipopolare e liberticida. Un regime parafeudale, da “anime morte”, impoverito e ricchissimo insieme, iscritto senza riserve alla destra mondiale, per gli assetti sociali, l’appropriazione selvaggia della ricchezza comune, l’intreccio perverso dell’oligarchia con la criminalità, la visione medievale dei diritti individuali, il linguaggio truculento perfino, in buona compagnia dei Trump, dei Bolsonaro, degli Orban, delle LePen e dei Salvini. Nonostante questo, perdura, sorda alla realtà delle cose, la connessione sentimentale di parte della sinistra, non sapendo distinguere tra grande anima russa ed anima grande – russa, tra Tolstoj e Rasputin. Berlinguer, di cui tutto si poteva dire tranne che non fosse comunista, dichiarò nel 1976 (!!!) che si sentiva più sicuro sotto l’ombrello della NATO, che per molti a sinistra resta il nemico principale, irredimibile creatura americana, ipostasi del male.

Per altri ancora, capitanati da Ernesto Galli della Loggia, sembra prevalere il richiamo, affascinante ma terribilmente astratto, dei valori giusnaturalistici di libertà e giustizia, da affermare ad ogni latitudine e tempo, “costi quel che costi”. Il problema però sono proprio i costi, potenzialmente immani, e chi li paga, che su certe bocche sembra di riascoltare “l’armiamoci e partite”. Siamo davvero disposti a pagarli? E poi, quali, quando e come? Ma se davvero le cose stanno come dice Galli della Loggia, cosa ci trattiene da applicare i “sacri principi” a tutto il globo, mandando al diavolo petrolio e gas saudita ed egiziano? L’intellettuale che giocherella a tavolino con la geometria perfetta dei valori assoluti, e non comprende rischi e prezzi del mondo concreto non è credibile, e non si tratta di un grado o due di aria condizionata o riscaldamento. Così, “Morire per Kiev” rischia di ridursi a domanda retoricamente efficace ma sbagliata nella stessa formulazione, poiché non si tratterebbe neppure, cosa tremenda e tragica, di versare di nuovo il sangue sui campi di battaglia del “novecento” ma di incamminarci, pecore smarrite, verso scenari pericolosissimi.

Qui si dovrebbe piuttosto compiere esercizio di realismo e lungimiranza, ricercando un equilibrio quasi acrobatico tra la difesa del giusto ed il riconoscimento lucido dei rapporti di forza e dello stato di necessità. Come sempre nei grandi tornanti della storia, i nodi ereditati dal passato e le questioni attuali si intrecciano inestricabilmente, ma inevitabilmente saranno sciolti o … tagliati.

La questione ucraina, infine, pare il caso concreto che ci squaderna l’insostenibilità iniqua ed inefficace dell’attuale assetto delle istituzioni internazionali, e ci impone di leggere la complessità dei nostri tempi, così intrecciata e contro intuitiva nelle relazioni tra cause ed effetti. Una complessità che impone un di più di intelligenza, per prendere posizione però e non per sottrarsi alle pene della decisione, cogliendo e rispondendo alle novità di un contesto mondiale, dove contro le logiche di conflitto operano anche alcune profonde dinamiche della globalizzazione. In un’epoca che ci vede sempre più cittadini del mondo, la governance degli assetti che dovrebbero regolare la convivenza degli stati e dei popoli è terribilmente arretrata ed impotente. 

L’ONU non sarà “la cloaca di New York”, ma a cosa serva, se non a sovvenzionare un’imponente burocrazia internazionale, non è ben chiaro. Il diritto di veto, privilegio che tuttora spetta alle 5 potenze vittoriose nel ‘45, è la camicia di forza che blocca qualsiasi decisione che spiaccia ad una di esse, nipotine irridenti del Marchese del Grillo (*). Di contro, l’unico esempio di edificio sovranazionale capace di generare, nella pace, condizioni di condivisione e regolazione alla fine accettabili tra le nazioni è l’Unione Europea. Ma è troppo poco e troppo debole ancora nel suo disegno statuale per imporre regole di ingaggio che non siano quelle dei rapporti di forza militari. Eppure, di questo si tratta, nella crisi ucraina come nelle altre e tante guerre dimenticate, della rigenerazione di un sistema di relazioni internazionali capace di indebolire almeno la logica ferrea degli interessi parziali di potenza e di accompagnarci con regole universali verso il nuovo mondo globalizzato. Questa potrebbe essere la visionaria prospettiva neo-spinelliana di un movimento pacifista che non intenda rimanere confinato della s-comoda ed inefficace veste della “vox clamantis in deserto”.

Lucio Caracciolo, autorevolissimo esperto di questioni internazionali, dice che siamo già in guerra e che dobbiamo solo prenderne atto. Speriamo che abbia torto, o almeno non del tutto ragione, e che la sfera della guerra possa essere fermata nella sua corsa, finché c’è tempo.

Giuseppe Ucciero

(*) io sò io e voi non siete un c….

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  1. Annalisa FerrarioCredo che innanzitutto bisognerebbe abbandonare la narrazione del "correre in aiuto dell'innocente aggredito". I film non si giudicano dagli ultimi due minuti, bisogna srotolare tutto il nastro fin dall'inizio. E qui (lo dice il Papa Francesco, non io) le cose sono chiare (almeno a chi vuole vederle): si è andati ad abbaiare sotto casa di Putin fino a quando c'è stata la reazione (e questo non può essere una giustificazione, beninteso). Basta leggere le dichiarazioni mai stigmatizzate dei governanti ucraini: adesso scoppia la terza guerra mondiale... bisogna ricostruire il muro. Non bisogna cadere in questa trappola, la questione non è questa. E non è per vile convenienza che bisogna puntare alla pace, e non alla vittoria di uno dei due contendenti. sull'Europa: mi spiace dirlo, ma qui ha ragione la Meloni (che non mi sta per niente simpatica). E non mi piace la supponenza con cui viene liquidata la sua posizione. Manca una politica estera e un esercito comune? Bene, mettiamoci nell'ottica di costruirli. Ci vorranno anni, ma da qui non se ne esce. Le guerre non possono essere governate da chi è a migliaia di chilometri di distanza e che neanche eleggiamo. Questa è una sudditanza da cui bisogna liberarsi. La Bulgaria si è liberata dall'URSS, no? Adesso tocca a noi.
    4 maggio 2022 • 08:24Rispondi
  2. antonella nappiSono contenta si cominci a discutere della pace da affermare, della resa delle armi in favore di accordi indispensabili da creare internazionalmente. L'articolo ed il commento li condivido, la democrazia internazionale deve superare le democrazie occidentali che sono del tutto irrealizzate. Dove si può parlare la tua parola non conta niente, anche questi sono regimi: gli Italiani vogliono stare in pace e invece si trovano in guerra perché chi li rappresenta non li considera e ragiona per principi maschilisti. Noto che compreso che prevale da parte degli italiani la volontà di azzerare l'invio di armi e anche le sanzioni - che funzionano come armi - ora i media non si accontentano di affermare astratti principi ma si sono messi a lavorare proprio per cambiare le nostre opinioni. Ci vuole impegno pacifista. Antonella NappiNappi
    4 maggio 2022 • 15:54Rispondi
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