19 aprile 2022

CITTÀ BOMBARDATE, ANIME MORTE

L’annientamento dei centri urbani è un crimine di guerra


garzonio (1)

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Tra i crimini di guerra v’è la distruzione delle città. Queste hanno un’identità precisa, una vita propria creata nei secoli. L’incontro tra storia, quotidianità, attese, sogni delle persone costituiscono l’anima d’una città. Annienti le strutture, disperdi i tessuti di relazione, stravolgi i simboli e l’intero contesto urbano muore, si trasforma in un cimitero; un’unica, immensa pesante lapide cala sulle persone che son rimaste sotto le macerie e crea una tragica cesura con quelle che sono riuscite a fuggire; le quali, se mai torneranno – lo dicono i profughi ucraini nei tg – non sanno se troveranno la loro casa, se riconosceranno i luoghi. Sarà tabula rasa. Morte, solo morte.

Radere al suolo una città è un disegno diabolico. Punta ad annientare l’umanità dell’altro attraverso due fasi: bombardamenti massicci su edifici civili e assassini mirati di persone fatte fuggire dalle case. Abbiam visto le immagini: tiro al bersaglio su chi attende la distribuzione di aiuti; missili su stazioni e corridoi umanitari; torture, mutilazioni e stupri di persone stanate da cantine e rifugi; cadaveri disseminati in strada a lungo perché gli abitanti sappiano quale sarà la loro sorte se resistono all’invasore o resti umani ammassati in fosse comuni spesso irriconoscibili; ordigni mirati alla frantumazione di ospedali, quartieri residenziali, asili, scuole, università, luoghi di cultura; vietatissime bombe a grappolo su strutture assistenziali, formative, culturali sapendo di andare a colpire gli operatori che le abitano e vi svolgono il loro lavoro quotidiano insieme a quelli – spesso i più deboli, fragili, indifesi – che usufruiscono di tali servizi; mine antiuomo lasciate al ritiro di cui saranno principali vittime i bambini: il futuro. 

La città è la rappresentazione plastica delle individualità che stanno insieme pur nelle diversità, delle responsabilità di tutti e di ciascuno in quanto hanno mete vitali comuni da elaborare, discutere, condividere, perseguire. Il disegno criminoso della violenza contro le città è l’eliminazione delle radici della vita: è il caos; è la logica regressiva di chi tende a ridurre Creato e Creatura all’indifferenziazione iniziale, pensando di esser lui l’”eletto”, colui che creerà le condizioni per ripartire da dove, come e se vorrà lui. Costi quel che costi. Corsi e ricorsi della storia. Nei Fratelli Karamazov Fëdor Dostievskij mette in bocca al procuratore Ippolìt Kirìllovič la famosa citazione «Après moi, le déluge» per dire come a Fjòdor Pàvlovic Karamàzov dei figli Dmitrij, Ivan, Alëša non interessasse proprio nulla. Pensava solo a sé. Il resto poteva non esserci e se fosse stato d’ostacolo, avrebbe dovuto scomparire. La brutta fine di Fjòdor Pàvlovic è nota.

Le foto satellitari che mettono a confronto il “prima” e il “dopo” di Mariupol, Kharkiv, Kherson, Irpin, Melitopol (il sindaco di quest’ultima è stato rapito dai russi contando di convincere lui e suoi alla resa, come molti altri Primi Cittadini: tutti sembra abbiano resistito alle minacce), i simboli cioè delle “città martiri” dell’Ucraina, costituiscono prove inconfutabili di un disegno criminale messo in atto da Putin e dai generali del suo esercito: annientare, far morire proprio le città. Se il lavoro sporco va a buon fine, l’ideologia putiniana potrà dire che l’Ucraina non esiste; anzi, riscrivendo la storia, che non è mai esistita. Dove sono le città che dovrebbero smentirlo?

Come, se e quando finirà la «guerra ripugnante» e il «massacro insensato» (espressioni di papa Francesco) provocati dall’aggressione russa all’Ucraina, un risultato l’ex colonnello del Kgb assurto a zar dei nostri tempi l’avrà ottenuto. Dimostrare quanto la città è centrale in quel martoriato Paese, in Europa, nel mondo. La sfida è trarre insegnamento dalla tragedia.

È ingannevole affermare, come molta politica a livello internazionale (ma anche in Italia ci si è avventurati su questa strada) sta facendo in queste settimane, che le città verranno ricostruite quando le armi taceranno. Una persona morta non può essere riportata in vita, la sua identità resta consegnata all’affetto di chi l’ha generata, cresciuta, amata, frequentata, ai parenti e ai compagni di viaggio; di lei restano il passato, la memoria, i ricordi fissati in album familiari, di amici, di luoghi di lavoro o di svago. Allo stesso modo una città ridotta a cumuli di macerie annerite dal fuoco provocato da ordigni micidiali è lo scheletro inanimato, frammentato, irriconoscibile di quello che fu un corpo vivo: edifici, strade, piazze, stazioni, negozi, teatri, musei, ristoranti, bar, uffici, scuole, sedi politiche e assemblee parlamentari. Contro la vita di prima e di sempre stanno invece pareti smembrate, travi divelte, finestre che penzolano da mozziconi di muri, mucchi di mattoni, suppellettili, masserizie, carcasse d’auto bruciate: un desolante, orrendo, insopportabile, inqualificabile spettacolo che porta nella tomba un’intera realtà: umana ed urbanistica. 

È vero: è molto probabile che aiuti internazionali, investimenti pubblici e privati, daranno vita a decine, centinaia di cantieri. Ma se anche si faranno progetti, si solleciteranno studi professionali, s’indiranno concorsi di idee, se si moltiplicheranno i piani di recupero, se si metterà in moto un’immensa macchina industriale fatta di scavatrici, betoniere, tondini di ferro, infissi, approvvigionamenti di luce e calore tramite energie rinnovabili, si produrranno di insediamenti, moduli abitativi, impianti produttivi, luoghi di istruzione e di cultura, si attuerà un imponente, massiccia operazione edilizia. Ma ricostruire una città non è un’operazione di tipo immobiliare. Sarà bene comprenderlo e dirselo per tempo in modo chiaro e netto, così da non farsi illusioni, da non creare le premesse di equivoci, di fraintendimenti, di possibili speculazioni (è di questi ultimi giorni la notizia di oligarchi pronti a finanziare la ricostruzione dell’Ucraina: dopo i danni, la beffa!). 

Eppure le premesse per rispondere a Putin con idee oltreché con armi ci sarebbero. Nel 1954 Giorgio La Pira, all’epoca Sindaco di Firenze, venne invitato a Ginevra dal Comitato della Croce Rossa Internazionale. Davanti ad un uditorio spaventato dalla Guerra Fredda, dalla pesantezza della Cortina di ferro, dall’inizio della corsa alle armi nucleari La Pira svolse una relazione sulla difesa delle popolazioni civili delle città in caso di bombardamento atomico. Il suo discorso fu una scossa: «Gli Stati non hanno il diritto di distruggere le città [con la guerra e le con bombe]. Siamo entrati nell’epoca storica delle Città; […] Ogni Città è una luce e una bellezza destinata a illuminare. […]. Le città hanno una vita propria: hanno un loro proprio essere misterioso e profondo: hanno un loro volto: hanno, per così dire, una loro anima: non sono cumuli occasionali di pietre: sono misteriose abitazioni di uomini e più ancora, in certo modo, misteriose abitazioni di Dio. […] Queste città della Terra, appartengono alle generazioni future». La Pira era stato uno dei protagonisti dell’Assemblea Costituente e poi della Ricostruzione: sapeva bene di che cosa parlava.

Le generazioni future, che oggi siamo noi, ai lampi profetici di La Pira e alle idealità di altri “sognatori d’Europa” (penso ad Altiero Spinelli e Aldo Capitini) hanno attinto a piene mani, ma per infarcire di citazioni i discorsi più che per ispirare azioni politiche concrete. Per anni si è parlato d’Europa delle Regioni (si pensi al riformismo di Pietro Bassetti in Regione Lombardia e alle Comunità di Lavoro che in tempi ancora di “blocchi” coinvolgevano anche governi locali di Paesi dell’Est). Caduto il Muro di Berlino è stata la volta dell’”Europa delle Città”. Queste avrebbero dovuto pensare e far cose che i governi non riuscivano a mettere in cantiere, paralizzati da logiche di potere interne ed equilibri internazionali, in materia di ambiente, immigrazione, cittadinanza attiva. Son stati fatti tanti incontri e report. Ma è agli appuntamenti della storia che un’idea mostra la propria fecondità e gli uomini si fanno coraggio per darle gambe e farla camminare. Ecco, a due mesi dall’aggressione di Putin all’Ucraina colpisce l’assordante silenzio delle città europee, che pur hanno organismi politico-istituzionali rappresentativi. Molte di esse, per carità, stan facendo molto per accoglienza ai profughi e raccolta di aiuti da inviare a chi resta in patria. Pensiamo alle città della Polonia (Paese che stava per esser sanzionato dall’Europa perché erigeva fili spinati contro gli immigrati provenienti dalla rotta dei Balcani e violava i diritti civili): sono ora tra le più attive nell’accogliere i profughi (ma restano questioni spinose, se è vero che la Polonia non concede l’aborto alle donne ucraine). Pensiamo ai centri di accoglienza e di smistamento della città della Romania e della Moldavia. Pensiamo al nostro stesso Paese, che ospita quasi centomila profughi, forse reagendo inconsciamente al peccato originale di non essersi accorto per decenni di sfruttare, pagando spesso in nero, colf e badanti ucraine. Meglio tardi che mai rendersi conto dell’esistenza di donne d’un popolo di cui un protervo autocrate vuole negare l’identità nazionale. 

Si dice che il tempo pasquale è foriero di cambiamenti. Se le città davvero ci sono, battano un colpo allora: denuncino come crimine di guerra l’annientamento dei centri urbani. Sarebbe un modo per difendere la dignità politico culturale delle città stesse, il valore di autonomie e cittadinanza attiva, oltre la guerra. Per rendere davvero onore all’Ucraina che resiste all’invasore russo l’Italia in particolare trovi una via di mezzo tra i tempi in cui intere sedute d’un Consiglio Comunale (Milano per anni fu una bandiera in proposito) erano dedicate alla guerra in Vietnam o al golpe di Pinochet in Cile (preoccupati del destino del mondo magari si finiva purtroppo per non accorgersi dell’inizio delle infiltrazioni della criminalità organizzata nella cosa pubblica e negli appalti) e l’oggi, quando il Consiglio Comunale è privato di rilevanza politica, avendo la legge post Tangentopoli affidato tutti i poteri al Sindaco, eletto dal popolo, e a una giunta da lui nominata come fosse un Consiglio d’Amministrazione che risponde all’Amministratore Delegato, appunto il Primo Cittadino. 

In tale situazione i Comuni accolgono, anche generosamente, rispondono all’emergenza, ma non siamo neanche al minimo sindacale quanto a capacità di mostrare con orgoglio progettuale e sensibilità politico istituzionale che la città è il cuore della democrazia: dalla città passa il rapporto tra Paese e Mondo. A Milano, città Medaglia d’oro della Resistenza, la prima manifestazione ufficiale del Pd (partito di governo in città e a Roma) su “La guerra, l’Ucraina e l’Europa”, con dirigenti nazionali, regionali, locali è stata convocata per il 6 maggio prossimo: due mesi dopo l’inizio della guerra. «Adelante, Pedro, si puedes. […] Pedro, adelante con juicio»: in Lombardia si vota l’anno venturo e il centro sinistra non ha ancora trovato un candidato unitario da contrapporre a Lega e a Forza Italia. E se Milano piange Roma non ride: si voterà anche per il Parlamento nel 2023. E lì, al momento c’è l’unità nazionale (si fa per dire).

Marco Garzonio

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  1. Filippo ARPAIADr. Marco Garzonio, condivido tutto quanto ha scritto, se mi risponde con email, le allego un documento straodinario pubblicato in Sicilia da una persona retta come lei.
    20 aprile 2022 • 15:01Rispondi
  2. Giuseppe VenturaSe chi si difende lo fa piazzando carri armati o sistemi lanciamissili nei cortili delle scuole o accanto agli ospedali, se si cacciano gli abitanti dai piani superiori degli edifici e i cecchini occupano quelle posizioni, è difficile immaginare che le città vengano risparmiate da chi attacca. Purtroppo la guerra è morte e distruzione. Va evitata assolutamente, perché se comincia, è difficile fermarla prima della sconfitta di una delle parti.
    26 maggio 2022 • 17:50Rispondi
  3. Andrea VitaliRicordo che il teorico del bombardamento aereo indiscriminato sui civili è un generale italiano, Douhet, a cui a Milano è tuttora intestata una via nei pressi del Parco Sempione, e anche la scuola di aeronautica militare nazionale. I suoi insegnamenti vennero seguiti durante la seconda guerra mondiale dagli inglesi (Dresda, per dire) dagli americani (Tokyo, più morti che a Hiroshima e Nagasaki) per proseguire poi in Vietnam. Che dire? I massacri non vanno mai in prescrizione. Ricordiamoli tutti, se vogliamo fare un discorso completo.
    26 maggio 2022 • 21:07Rispondi
    • Andrea VitaliAggiungo che sull'efficacia militare di questi bombardamenti ci sono tutt'ora grandi perplessità. La sconfitta di Germania e Giappone non dipese da queste sofferenze imposte alla popolazione
      26 maggio 2022 • 21:13
  4. Franco PugliaBell'articolo, che tristemente ci ricorda che la guerra è MORTE, non una partita di scacchi, e la morte non prevedere resurrezione. Il mondo che conosciamo è cresciuto sulle rovine, sepolte dal tempo, di antiche civiltà, delle quali siamo parenti, e crediamo di essere eredi. Quei mondi sono morti e sepolti per sempre. I resti che facciamo emergere sono, appunto, resti, come ossa bianche di cadaveri dissolti dal tempo. Si, è vero, quelle città ucraine sono morte, e non risorgeranno mai più. Rinascerà ALTRO da quelle rovine: una "diversa Ucraina", forse anche diversamente popolata nelle regioni che mai dovessero restare in mani russe, e la storia di quelle città e di quei popoli rimarrà descritta nei libri, laddove esistono. Ciò che sgomenta è che questo processo di morte, distruzione e ricostruzione di altro si ripeta da millenni, perché la memoria, quella emotiva, non quella consegnata ai libri degli storici, si estingue con le persone che hanno vissuto il loro tempo ed i nuovi venuti, i giovani, non la possiedono, ed affrontano vergini il loro presente e futuro, ripetendo per l'ennesima volta le dinamiche del passato, che non conoscono.
    30 maggio 2022 • 12:30Rispondi
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