8 marzo 2022

SULLO STATO PASSATO E PRESENTE DEI COSTUMI DEGLI ITALIANI

Leopardi: un’analisi molto attuale


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Nel 1824 Giacomo Leopardi scrive Il discorso sullo stato presente dei costumi degli italiani, interessante e lucida riflessione sulla mentalità e sul carattere dei coevi abitanti della Penisola. Leggendo il saggio colpisce l’attualità dei contenuti e si rimane sorpresi nell’apprendere come i principali “vizi” degli italiani di oggi siano gli stessi degli italiani di allora, formalmente non ancora esistenti. Le abitudini dei cittadini degli Stati preunitari sono confluite, come è naturale, in quello che è diventato il popolo italiano, per poi tramandarsi di generazione in generazione e – dure a morire – giungere immutate al presente, per nulla scalfite dalle innumerevoli vicende che hanno cambiato profondamente la società dal XIX secolo ad oggi, industrializzazione, alfabetizzazione, dittatura, guerre mondiali, sviluppo sociale, diffusione della ricchezza, miracolo economico, rivoluzione digitale…

Ciascuno italiano fa tòno e maniera da sé”. Ecco un primo tratto che ben conosciamo: uno spiccato individualismo, che porta facilmente ad una mancanza di collaborazione. Quante volte abbiamo sentito che una delle debolezze dell’Italia è l’incapacità di fare sistema? Ne troviamo tra l’altro continua conferma nella classe politica, se è vero che il Parlamento è lo specchio – pur se in peggio, secondo alcuni – di un Paese. Basti vedere le vicende del centro-sinistra, frazionato in diversi gruppi che si combattono, si alleano, si riuniscono, si ridividono; o quelle dei Verdi, frammentati anch’essi in piccole fazioni e pressoché assenti dall’attuale scena politica, incapaci di mettere insieme un reale gruppo di influenza a differenza di altri Paesi europei dove i movimenti green hanno conquistato posizioni di rilievo istituzionale; per non parlare del centro-destra, la cui sedicente compattezza da poco ritrovata si è sciolta come neve al sole in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica. Solo la guerra in Ucraina è riuscita fino ad ora ad unire tutti i partiti politici in un’unanime condanna dell’invasore, purtroppo in conseguenza di un fatto eccezionale a cui avremmo volentieri evitato di assistere. 

Non bastasse, gli individui “cercano in tutti i modi di nuocersi gli uni agli altri” e lo “spirito pubblico in Italia è tale che […] lascia a ciascuno quasi intera libertà di condursi in tutto il resto come gli aggrada”. Certo, c’è lo Stato, con le sue leggi e la “forza pubblica” a far da “vincolo” e “freno” a certi tipi di comportamenti, ma, come “tutti sanno […] da sole le leggi non bastano”, non sono sufficienti “a ritenere del male e molto più a stimolare al bene”. Le istituzioni pubbliche, il sistema normativo, il sistema sanzionatorio, non sono sufficienti a prevenire le condotte difformi dall’etica se manca un “principio conservatore della morale” che è “la società stessa”. Dalla prevalenza dell’interesse personale su quello collettivo e dalla mancanza di rispetto per la cosa pubblica alla disonestà e alla corruzione il passo è breve. E proprio il fenomeno corruttivo e collusivo – nella classifica sulla reputazione di Transparency, l’Italia, nonostante un notevole balzo in avanti nell’ultimo anno, si colloca tra gli ultimi paesi nell’UE e solo 42 nel mondo – e la mancanza di meritocrazia – inutile cercar ranking internazionali, il problema è noto – figlie entrambe di uno scarso senso civico, sono senza dubbio alcuno causa principale dell’attuale debolezza dell’Italia. 

Vizi difficili da contrastare, soprattutto se un comportamento leale e onesto non sempre è percepito come valore, ma è piuttosto considerato mancanza di intelligenza (ricordo giusto “un” politico che qualificava come co…… coloro i quali non pensavano strettamente ai fatti propri nell’esprimere il voto). Chi pensa a sé stesso, ai propri interessi, al proprio utile, spesso in spregio alle regole, è più furbo, più brillante, più capace di godere la vita senza farsi inutili problemi, degno quindi di maggior stima. Se poi qualche noioso e pedante tutore della legge scopre qualche comportamento non corretto, poco male, il rischio è basso, molto basso, tra condizionali, riduzioni della pena, buona condotta, al massimo, se proprio va male, un paio di giorni di galera e qualche mese a casa propria ai domiciliari. E basta. Perché il deterrente principale, che in altre culture svolge ancora la sua funzione socialmente sanzionatoria nei confronti di chi tiene comportamenti poco etici, da noi non esiste più: la vergogna. O forse non c’è mai stata, almeno non c’era già più al tempo di Leopardi, che sempre nel Discorso osserva: “l’Italia è dunque un Paese nel quale l’onorabilità non rappresenta un valore, in cui gli appartenenti alla classe dirigente, che dovrebbero essere un modello per gli altri cittadini, non tengono alla loro reputazione e, anche se commettono azioni immorali, o addirittura reati, non vengono esclusi dalla società”. Esempio tipico di questa “qualità”, la resistenza di chi, pur scoperto per un comportamento illecito o poco consono al proprio incarico istituzionale, si guarda bene dal lasciare la “poltrona”, mentre in altri Paesi c’è chi si è dimesso dal proprio incarico e ha fatto pubblica ammenda per aver copiato qualche riga nella tesi di laurea.

Potrà qualcuno far notare che tra Ottocento e Novecento, pur partendo da una situazione di arretratezza, siamo stati in grado di sostenere uno sviluppo economico e sociale pari e anzi maggiore di quello di altre nazioni, che ci ha permesso, in quanto a benessere e ricchezza, di entrare a far parte del cosiddetto “primo mondo”. E potrà concludere che i difetti che ci hanno accompagnati in questi secoli – ben compensati dalle italiche virtù di creatività, intraprendenza – sono poca roba, non tali da aver rappresentato un ostacolo all’imponente crescita. Niente di cui preoccuparsi insomma, roba su cui farsi una risata, in fondo “gl’italiani ridono della vita”.

Questo discorso poteva valere forse fino a un paio di decenni fa. Dopo, soprattutto in seguito alla crisi del 2008, il PIL italiano ha perso molto terreno e, se c’è stata crescita, questa è stata inferiore a quella di altri Stati, con il risultato che oggi la classifica, a livello pro-capite, ci vede in 34a posizione mondiale, la metà (!) degli Stati Uniti, il 42% in meno rispetto alla Germania, il 34% in meno  rispetto alla Francia. Il gap è ormai troppo elevato per poterci ancora ritenere parte dell’élite mondiale, credo dobbiamo prendere coscienza di essere ormai un Paese del “secondo mondo”. Forse molti non se ne erano accorti, mi dispiace, ma i dati parlano chiaro. E se qualcuno dovesse osservare che il PIL non è più considerato indicatore affidabile del benessere di una società, si vada a vedere le classifiche degli Stati sulla qualità della vita e sulla felicità, da cui l’Italia non ne esce molto meglio.

In questi ultimi vent’anni si è manifestata prepotentemente la fragilità del sistema Paese, nascosta per decenni sotto il vantato livello di ricchezza raggiunto, reso possibile anche da un massiccio ricorso all’indebitamento pubblico, che oggi pesa come un macigno. E mentre le altre economie si riprendevano, la nostra arrancava e il divario con gli altri cresceva. In un mondo che ha iniziato a correre sempre di più, in Italia si è fatto sentire il peso dell’opprimente burocrazia, delle importanti arretratezze infrastrutturali, degli assurdi sprechi nella spesa pubblica, del vergognoso ritardo nella formazione, della frustrante mancanza di meritocrazia, tutte conseguenze di una cattiva gestione, quasi sempre riconducibile più o meno direttamente ad uno scarso senso della “cosa pubblica”, a un basso livello etico. E non ci scandalizziamo quasi più, assuefatti, dell’ennesimo Comune sciolto per mafia, dell’ennesimo amministratore indagato, dell’ennesimo “furbetto” che sia del cartellino, del bonus edilizio, del reddito di cittadinanza.

Il PNRR porta grandi speranze e il consistente innesto di liquidità che è previsto può dare una notevole scossa all’economia. A garantire la regolarità nell’impiego dei fondi, ci saranno controlli, ci saranno verifiche, ci sarà la vigilanza dell’ANAC, ma tutto questo non è sufficiente, poiché, come abbiamo già evidenziato, “da sole le leggi non bastano”. 

Se non vogliamo che parte dei fondi vada sprecato per cattiva gestione, se non vogliamo perdere ulteriore terreno nei prossimi anni, se non vogliamo che tutto torni come prima – anzi peggio, perché intanto il livello di indebitamento sarà cresciuto – è necessario un cambio di mentalità. Come? Attraverso la scuola, l’educazione civica, la formazione degli adulti, la presenza dello Stato, la cultura della legalità, la centralità della ricerca…lascio agli esperti la proposta delle migliori soluzioni, ma un intervento si rende urgente e necessario.

Sarà possibile incidere sullo “stato” di “costumi” consolidati da secoli? Credo di sì, spero di si, in fondo in tutto questo tempo credo nessuno ci abbia mai provato davvero. 

Perché l’Italia è stata fatta, noi italiani, bene o male, pure. Ora, è forse giunto il momento di educarci. 

Francesco Virtuani

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