11 gennaio 2022

LA CITTÀ DELLA FORMAZIONE E DELLA CULTURA

Perché Milano rimanga “grande”


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Il Comune vuole trasferire una istituzione milanese, la “scuola di via Vivaio”, un gioiello della nostra città, storicamente nata con l’Istituto dei Ciechi. E questo per non pagare 250 euro al metro quadrato di affitto al proprietario dell’immobile, che è una fondazione meritoria per l’attività svolta per le persone non vedenti o ipovedenti.

L’Istituto dei Ciechi peraltro paga oltre 130.000 euro all’anno di Imu e Ires; il Comune di Milano si rifiuta di pagare un affitto (comprensivo di oltre 100.000 di spese all’anno) di 650.000 euro per oltre 2.600 mq della scuola media dei ciechi di via Vivaio. Con una curiosa distorsione ottica si fa pagare Imu e Ires su una categoria catastale, che non riconosce quando si tratta di pagare l’affitto. Fosse un Comune in difficoltà economica si potrebbe capire, ma la Giunta Sala-Tasca presentato un bilancio con un avanzo di gestione lordo (2020) di oltre 548 milioni “Al netto dell’accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità di 246,5 milioni di euro e delle altre quote che confluiscono in avanzo accantonato e vincolato, la parte corrente registra un avanzo finale di 189,37 milioni di euro”. 

Fa pagare gli oneri di urbanizzazione e i diritti volumetrici più bassi delle città europee, fa regali volumetrici a fondi immobiliari e finanziari ma pare che il Comune debba risparmiare sulle scuole. È infatti l’Assessorato all’Istruzione ha annunciato la sospensione a partire dal prossimo 10 gennaio del servizio post scuola dalle 16:30 alle 18:30 per nidi e scuole dell’infanzia: sono 5.000 le bambine e i bambini che usufruiscono di questo servizio e quindi 5.000 famiglie a cui viene tolto un servizio.

La causa: conseguente temporanea contrazione del numero di educatori ed educatrici, per il significativo aumento dei contagi. Ci possono essere tutte le buone ragioni di questo mondo, ma il Comune di Milano non può tagliare un servizio che danneggia le famiglie e le donne in particolare. Deve mobilitare tutte le risorse, chiamare in servizio pensionati, volontari qualificati o altro personale in prestito da scuole pubbliche o private, ma deve garantire – costi quel costi – un servizio per le famiglie e in un periodo come questo per di più. In cui l’istituzione dovrebbe essere più vicina ai cittadini.  

“Dopo attenta analisi, si è proceduto con l’obiettivo di assicurare il più possibile il servizio ordinario – spiega la Vicesindaco e assessora all’Istruzione Anna Scavuzzo -, che a oggi coinvolge circa 30.000 bambine e bambini in tutta la città“.

Una preoccupazione condivisibile, certo, ma che mette in rilievo ancora di più la esigenza che il Comune, invece di fare attivi di bilancio, come una azienda con fini di lucro, si ponga un programma a breve, medio e lungo termine per affrontare i problemi della formazione dei suoi cittadini.

I nidi e le scuole della infanzia non sono sufficienti: abbiamo una popolazione fra i neonati e i sei anni di oltre 76.000 bambine (37.000) e bambini (39.000), quindi meno della metà usufruiscono di un servizio essenziale per la formazione, per la socializzazione, per le famiglie. 

Fra l’altro mi chiedo, perché il Comune di Milano, di sua iniziativa, proprio per la tutela dei milanesi più piccoli, non reintroduca il medico scolastico, in questa epoca di pandemia, purtroppo non destinata a concludersi nel breve periodo. 

E, constatando le sedi scolastiche vuote o semivuote, mi chiedo perché non usarle per fare delle “guardie mediche permanenti”, facendo spazi (gratuiti) per i medici di base, i medici specialistici, per le attività socio sanitarie assistenziali nel territorio, per la prevenzione, la cura e la riabilitazione. Il Comune, al di là delle competenze, deve essere in prima fila a preservare le attività scolastiche e a dare un supporto di vicinanza alle famiglie. Due anni di pandemia dovrebbero avere insegnato qualcosa anche al Comune, o no? Anche prima di vendere a tutto spiano gli immobili comunali, non si poteva fare un piano di “presidi sanitari territoriali”, con strutture il più vicino possibile ai cittadini?

Su un altro fronte, c’è il boom delle iscrizioni alle scuole serali, con moltissime persone che non trovano posto. “A Milano le scuole serali vivono una nuova primavera. Con numerosissimi studenti, ma anche con un cambiamento nel profilo degli iscritti. – scrive Giovanna Maria Fagnani sul “Corriere” – Se prima erano il regno degli studenti-lavoratori, oggi recuperano anche ragazzi che non hanno terminato le superiori e non hanno trovato ciò che cercavano nel mondo del lavoro e che, ancora giovanissimi, si rimettono in gioco per il diploma.”

Dovrebbe essere una preoccupazione del Comune che non vada dispersa questa domanda di formazione e per questo dovrebbe mobilitare tutte gli enti presenti sul territorio, comunali o privati che siano. 

Milano deve proporsi, con la regia del Comune, con l’apporto di tutte le sue gloriose istituzioni formative, nate nell’Ottocento, (penso alla Siam 1838, alla Manzoni 1861, alla Scuola d’arti applicate che era al Castello 1882, all’Umanitaria 1893) e della Fondazione Cologni dedicata ai mestieri d’arte (che in Francia sono tutelati) e di tutte le Università, come la “città della cultura e della formazione”: questo è il futuro di un passato che ha fatto grande Milano.

E ci sarebbero anche grandi spazi inutilizzati (penso all’ex ospedale di Garbagnate, di proprietà del Comune di Milano, nel Parco delle Groane o all’ospedale di Baggio) per realizzare strutture che aiutino i “nuovi schiavi” o le persone dei “mestieri invisibili” o le bande di ragazzi senza arte né parte (i neet, come si dice oggi) a trovare, attraverso la formazione, la via del inserimento sociale e della piena integrazione. Quest’ultima questione sarà il grande tema del prossimo futuro della nostra città. 

Luigi Corbani

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