11 gennaio 2022

MIRACOLO A MILANO

Il Gino e quella pensione che non arriva


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Un punto di arrivo la pensione, quel periodo della vita al quale molti di noi puntano per fare tutto quello che non si è ancora potuto fare.

Il Gino ha più di 60 anni, fa ancora il camionista, un lavoro certamente non leggero, da quarant’anni va e viene con un camion come dipendente. Si dirà: ne ha fatta di strada. Lo dice la sua Famiglia che si è abituata negli anni a saperlo sulla strada, modo di dire che da sempre non rappresenta un bel vivere e che lascia intravedere una certa insondabile percezione di un “non luogo”, di panini all’addiaccio, di caffè nella notte e incontri particolari, nel migliore dei modi avventure e certamente tanta umanità incontrata su quella strada ch’è la vita.

Incontro il Gino al Bar in Comasina, quello in cui andava Vallanzasca detto: il bel René. Ci sediamo davanti a una tazza di caffè, ha una maglia di lana attillata a strisce colorate, fisico asciutto, jeans e scarpe a tennis di marca, un bell’orologio sportivo, insomma un tipo sportivo si direbbe incontrandolo sul marciapiede. Mi racconta dei figli e della moglie, di una Milano invivibile, dei problemi nel condominio del suo palazzo popolare, e altri questioni di sicurezza e di degrado nel quartiere, niente di nuovo per noi che viviamo in periferia.

Mi racconta di un tizio che urlando: “io spaccio la coca”, l’altro giorno ha preso 3 o 4 bidoni della spazzatura è ha bloccato la porta di un monolocale al piano terreno, perché ripreso dalla donna che ci abita, a urinare sul marciapiede. La donna è rimasta dentro urlando aiuto, mentre il criminale prendeva a pugni le inferiate della finestra, questa è la Milano di oggi. “Ai tempi di Vallanzasca non sarebbe mai potuto accadere, c’era un codice. Insomma, c’è poco da studiare i fenomeni con trattati di sociologia, la periferia per capirla, bisogna viverla, il resto è retorica e pippe mentali, questi non sono problemi della Polizia, ma di una tolleranza per certe derive della società oramai fidelizzate da questo sindaco che non fa niente” Dice. 

Penso a quanta distanza ci sia tra le parole del sindaco Sala di una bella Milano al limite della “Grande Bellezza” e questa narrazione.

Dice ancora: “se non fosse per la Polizia e i Carabinieri, Milano sarebbe in mano a questa generazione di criminali e bande di ragazzacci comandati da extracomunitari vestiti da Rapper senza rispetto per nessuno e soprattutto cresciuti con la voglia di riscatto e la pretesa di essere risarciti”.

Si dirà: è un modo per esprimere un disagio, è una forma di denuncia. Cosi facendo decliniamo il crimine e espressione d’arte perché ci sentiamo in colpa per aver generato un demone della società d’oggi, l’incapacità e il coraggio di fare delle scelte per la collettività, a volte difficili e soprattutto impopolari, il male peggiore per un politico di sinistra in carriera.

Ma il problema più grande del Gino è la pensione perché non ce la fa più.

Gino ha 64 anni dei quali 37 passati sul camion, avrebbe diritto all’APE SOCIAL (pensione anticipata alle condizioni economiche previste). La legge riconosce il suo lavoro di autista di mezzi pesanti come lavoro gravoso ma non usurante, sta di fatto che non ce la fa più e la sera arriva a casa distrutto.

Dunque Gino fa domanda di pensionamento e l’INPS e avvia la procedura di verifica dei suoi trascorsi lavorativi.

Gino è uno che si informa, segue la politica in modo assiduo, coltiva degli hobby ma risente di una vita passata seduto su un mezzo pesante, fatta di sacrificio e rinunce, di regole e di rospi da digerire, non solo a lavoro, ma anche a casa. Vive in un appartamento di un palazzo popolare in cui i problemi si sommano a quelli del lavoro e della Famiglia, abusi spesso, intolleranza, degrado ma anche voglia di riscatto, senso civico e passione per l’attivismo con il quale s’impegna a fare quanto possibile per ridurre i disagi che negli anni sono aumentati. Il problema è che le regole sono tantissime e cambiano in continuazione, e non sempre si riesce a starci dietro, ma la cosa che più lo preoccupa è il sentirsi solo, non adeguatamente protetto.

La vita a volte può essere complicata e lontana dalle immagini che si cerca di dare della società milanese. Spesso neanche l’immagine delle periferie è aderente alla realtà che avvolte è allucinante e al limite del credibile per chi non le vive. Così il Gino, spera di potersi godere un tempo anche imperfetto ma da tranquillo pensionato che si occupa delle proprie passioni, magari altrove ma purtroppo, ancora una volta la realtà si presenta per quella che è: una merda.

L’INPS, nei suoi controlli, verifica che in diversi casi, il codice di assunzione della categoria attribuita dal datore di lavoro, non sempre è stata quella corretta e dunque si ritrova codici che non corrispondono alle categorie classificabili tra i lavori gravosi nonostante abbia fatto sempre il camionista, oltretutto la legge distingue il lavoro dell’autista tra chi guida un camion (gravoso) e chi guida un autobus (usurante), giustificando il secondo con l’aggravante dello stress sociale (mah!).

Il Gino tenta di capire meglio, ma l’impresa risulta impossibile poiché i codici di attribuzione del ruolo, sono conosciuti solo dal commercialista, il datore di lavoro e il Ministero del Lavoro, per cui neanche l’INPS riesce a dare informazioni. Risultato, non ha le carte in regola per accedere al trattamento di API SOCIAL.

La questione del Gino è una delle tante che riguardano migliaia di lavoratori che si ritrovano a pensare di poter andare in pensione, forti degli anni di anzianità, lavoro gravoso e magari un’invalidità ecc. Il Gino poi, ha anche patologie e un’anamnesi clinica piuttosto pesante, ciò nonostante e malgrado l’estensione Draghi della categoria dei lavori usuranti, non va in pensione e dice:

“Secondo te è normale che in questa situazione il lavoratore per accedere alla pensione, dovrebbe aggirare la normativa con un contratto a termine, il quale alla scadenza non venendo
rinnovato, permette al lavoratore di entrare in Naspi (disoccupazione) percependo per
due anni l’indennità a scapito dello Stato, per poi andare in pensione con l’anzianità? E sai chi suggerisce questa cosa? I sindacati, gli stessi che oggi si siedono al tavolo delle trattative con Draghi”.

A Milano invece, nessuno parla di questi cittadini del lavoro fisico, nessuno parla più dei camionisti in generale, è una parola vetusta, lontana nel tempo, spesso rilegata nei film anni 70 di una Milano nelle fabbriche, che nessuno vuole ricordare, dunque si rimuove anche il fatto che ci siano ancora dei camionisti, silenti perché avvolti in un limbo mediatico, quel proletariato che non conta più, che è stato decretato morto e processato dalla macchina produttiva con un generico terziariato, mano d’opera al servizio del brand Milano. Gli operai ci sono ancora e vivono le periferie, i palazzi popolari e non sono molto diversi da quelli di Vasco Pratolini, di quel Metello pazzo ma rivoluzionario che fu uno dei protagonisti della nascita del sindacato, eppure la città non li classifica, in periferia c’è solo l’extracomunitario e i suoi disagi da prendere in considerazione, come se il proletariato fosse tutto sommato a posto, lì dov’è e com’è. Così il proletariato viene assorbito dalla storia e dimenticato, annesso al contesto sociale di una città edonistica che lo ha messo in paradiso, dunque redento perché c’è di peggio, il sottoproletariato e ancora più giù, gli irregolari e i disadattati, i barboni e gli spacciatori, i criminali e gli invisibili. Il Gino che guidi ancora il suo camion e taccia mentre la sua periferia bruci ma di un fuoco freddo che nessuno percepisce, un miracolo. 

Gianluca Gennai

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