21 dicembre 2021

2022. RICORRONO 100 ANNI DEL FASCISMO MILANESE

Un pezzo di storia buia


scioperolegalitario

Progetto senza titolo (10) (1)

Capodanno è tempo di anniversari e l’ anniversario per antonomasia è il centenario. Nel 1922 sono successe nel mondo molte cose: fu abolito l’impero ottomano, Stalin diventa il segretario del Partito comunista sovietico, ma per l’Italia è sicuramente l’anno della Marcia su Roma. E proprio a Milano dopo i festeggiamenti per l’elezione dell’arcivescovo Ratti al soglio pontificio e la preparazione del primo gran premio di Monza si svolsero le prove generali del golpe fascista.

Il 31 luglio 1922 l’Alleanza del Lavoro, sigla che riuniva  sindacati diversi (sindacato ferrovieri, CGDL, USI, il sindacato dei lavoratori portuali), proclamò lo sciopero legalitario, uno sciopero generale a tempo indeterminato con l’obbiettivo di porre un freno alle violenze fasciste di ripristinare la legalità e di difendere le recenti conquiste ottenute dal movimento sindacale sui diritti dei lavoratori come la riduzione della giornata lavorativa da 12 ore a 8 ore, l’assunzione di ex-combattenti. 

Un unità parziale, i Popolari, si schierarono per il no allo sciopero, peraltro non erano neppure stati invitati a partecipare ed anzi secondo alcuni di loro, tra cui lo stesso Don Sturzo, sostenevano che  l’alleanza fosse stata manipolata da agenti provocatori. 

Lo sciopero fu un disastro, il governo minacciò l’arresto dei dirigenti sindacali, gli onorevoli Modigliani e Treves dovettero mediare per ottenere la proclamazione della fine delle agitazioni il prima possibile, a Roma si parlò di ingloriosa agonia dello sciopero nei mezzi pubblici e gli scioperanti nei trasporti furono puniti con multe e sospensioni.

Il segretario del PNF Michele Bianchi subito dopo l’inizio dello sciopero dal popolo d’Italia lanciò un ultimatum al governo: “Diamo quarantotto ore allo Stato perché dia prova della sua autorità […]. Trascorso questo il fascismo rivendicherà piena libertà di azione e si sostituirà allo Stato” ed effettivamente i fascisti cercarono e spesso riuscirono a mantenere in funzione i servizi pubblici ed anche in molte industrie ottennero di impedire l’interruzione della produzione.

p4palazzom (1)Più d’annunziano Mussolini sullo stesso giornale scrisse: “Noi domandiamo questo soltanto: di avere libero il campo per lottare, per vivere, per soffrire, per vincere; meglio: per trionfare. E trionferemo! Poi che da qui non si passa. Poi che da qui non si può passare. E non si passerà. Non si passerà, diciamo. È bestiale. È cretino. È idiota, superlativamente idiota. Lo sciopero odierno non ha senso. Non ha giustificazione. Cosa si vuole, e cosa si mira con esso? Diamo la parola ai socialisti. Ma i socialisti sono assenti e non parlano. Gli organizzatori scappano (vigliacchi) – i segretari amministrativi scappano (vigliacchi e furbi!) – i deputati si chiudono a Montecitorio, e bivaccano lì, fifiano lì! Proletari, lo ‘spettacolo’ è per voi ed è tutto ‘vostro’. Tutto! Godetevelo. E plaudite…ai pastori. Ai redentori. Ai pensatori. Ai poeti” (Il Popolo d’Italia del 2 agosto 1922)

Dopo due giorni (di scontri furibondi con l’assenza pressoché totale della forza pubblica) alle ore dodici del 3 agosto lo sciopero fu proclamato finito; solo a Parma grazie agli “arditi del popolo” le squadracce fasciste erano state sconfitte sul campo.

Scrive lo storico: “La repressione dello sciopero dei giorni 1°-3 agosto 1922, spiana la strada verso il potere a Mussolini, che può contare su un consenso sempre crescente nei ceti medi e in molti settori dell’apparato statale. La sconfitta segna il tracollo organizzativo nei sindacati e favorisce l’adesione di molti, in particolare nel mondo agricolo, al sindacalismo fascista.” 

I partiti escono più divisi di prima soprattutto i socialisti tant’è che di li a poche settimane Turati e Matteotti saranno espulsi dal PSI ormai nelle mani dei massimalisti e fonderanno il Partito Socialista Unitario.

Le violenze fasciste lasciarono uno strascico di case del popolo e sedi sindacali incendiate, di morti e feriti, (bisogna ricordare a proposito della sconfitta anche militare delle sinistre che gli squadristi erano spesso combattenti esperti e spregiudicati, abituati al fuoco delle “belle mitragliatrici”, che non è certo sarebbero indietreggiati davanti ad un intervento della sola forza pubblica con la quale peraltro operarono in perfetta armonia) ma anche portarono allo scioglimento ed al commissariamento di molti comuni,.

Così ad esempio il 3 agosto oltre mille fascisti inquadrati militarmente circondano il Palazzo Comunale a Livorno intimando all’Amministrazione socialista di dimettersi entro le 12, cosa che il Sindaco e la Giunta costretti da minacce faranno mentre in provincia di Bologna dove dopo le elezioni del 1920 si erano insediate 52 amministrazioni comunali a guida socialista se ne salvarono meno di 10.

Ma è a Milano che si fanno le prove generali della Marcia su Roma.

Il 3 agosto 1922 il rappresentante del governo, il prefetto Lusignoli quello che secondo Cesare Rossi avrebbe potuto impedire facilmente la marcia su Roma solo mobilitando i carabinieri (https://www.arcipelagomilano.org/archives/57217) , non potendo accettare fino in fondo di lasciare fare ai fascisti ciò che egli comunque intimamente desiderava, fece intensificare la sorveglianza a Palazzo Marino anche se, scrisse al Ministro degli Interni dell’agonizzante governo Facta, “lo stato d’animo della cittadinanza è completamente favorevole ai fascisti e non nascondo che mal tollererebbero un’azione a fondo contro i fascisti”. 

Nel tardo pomeriggio del 3 agosto, la folla tumultuante, in apparenza spontanea, in realtà guidata dai fascisti in primis Cesarino Rossi poi l’on Finzi, l’ex socialista Bonomelli e dai loro assistenti liberali e radicali, iniziò a premere alle porte di Palazzo Marino difeso da bersaglieri e guardie regie a cavallo.

 La polizia lasciò entrare la canea, le sale del Comune furono occupate, (ovviamente il procuratore generale Antonio Raimondi ritenne che tutto quanto era accaduto non costituiva motivo di reato!), il sindaco Filippetti era all’estero, nella sala consiliare erano tre assessori Boriosi, De Vecchi e Fiamberti, che il Corsera definisce gente che non sa dove battere il capo. D’intesa con le autorità i militari si ritirarono e il comune passò sotto il controllo dei fascisti che scortarono fuori tutto il personale e gli assessori mettendo sentinelle alle porte degli uffici e regolando gli accessi.

D’Annunzio a Milano (per una serie di appuntamenti galanti con Eleonora Duse e per chiedere anticipi e quattrini ai suoi editori, soggiornava all’hotel Cavour) fu chiamato dalle camicie nere perché pronunciasse un discorso dal balcone di Palazzo Marino. 

Il poeta-vate, non sempre e neppure in quel periodo d’accordo con la strategia fascista e con Mussolini, svolse la bisogna, 

2560888106402_0_0_536_0_75 (1)L’intervento di D’annunzio, che comunque fece attendere la folla fino alle 23, ha un titolo indicativo: Agli uomini milanesi per L’Italia degli italiani che non stonerebbe neppure oggi come programma pay off del centro destra. 

Salutata la folla agitando la paglietta così declama il vate: “è la prima volta che io riparlo dalla ringhiera, (il balcone di Palazzo Marino). Questa è la nobile ringhiera latina sospesa nel cuore della città animosa e laboriosa alzata nel cuore di quella Milano che diede il nerbo alla guerra e inarcò tutta la sua potenza alla salvazione della patria” passa poi a parlare di Leonardo da Vinci, della statua sulla piazza, di Fiume delle costellazioni concludendo: “Ciascuno di noi, ciascun uomo di buona volontà, porti seco in essenza ideale un’ampolla di sangue dei nostri martiri, che ci illumini nel buio e nel dubbio, che ci sani da ogni pensiero impuro, che ci rinnovi in ogni ora il coraggio, che c’inspiri in ogni ora il sacrifizio, che ci prepari in ogni ora a ben morire, che in ogni alba ci infonda una nuova speranza, che ogni sera evochi su la nostra passione su la nostra miseria su la nostra stanchezza di figli fragili il soffio divino dell’Italia eterna.”

Scrive il cronista che D’Annunzio si allontana tra due ali di folla plaudenti mentre la banda di Aldo Sette suona l’inno Giovinezza, ripreso poi dalle orchestrine che suonavano in Galleria.

La violenza dilaga in città, vengono assaltati i circoli socialisti e comunisti (via San Veceslao, via Cellini, Via Rottole) ma soprattutto: “Abbandonata la sede del Municipio, i fascisti, sotto la guida del capitano Forni, che pronuncia un discorso per arringare i commilitoni, incoraggiandoli a “riprendere la marcia verso la rigenerazione del paese, guastato dal sovversivismo”, intraprendono un corteo per la città, cantando Giovinezza. 

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Giunti sotto la sede del giornale socialista “Avanti!”, già in passato più volte preso di mira dagli attacchi squadristi, lo assaltano. La forza pubblica a difesa dell’edificio, cui erano stati aggiunti anche dei bersaglieri, sta schierata lungo il muro di cinta: distratti dall’arrivo del corteo fascista, non si accorgono che un altro manipolo di camicie nere, più numeroso, sopraggiungendo dalla parte opposta, riesce ad aprire una breccia nel muro, penetrando nella sede del giornale. Quando si sentono i primi scoppi l’incendio è ormai divampato dalle numerose bottiglie incendiarie lanciate dagli squadristi all’interno dell’edificio, dove gli operai sono intenti al lavoro. La lentezza di reazione sia della forza pubblica che dei vigili del fuoco, accorsi con molto ritardo, fanno sì che l’incendio si propaghi dal pianterreno fino al primo piano, rovinando completamente i macchinari e mettendo nello stesso tempo in grave pericolo la stabilità dell’edifico stesso.” (da: https://www.infoaut.org/storia-di-classe). L’assunzione del controllo dell’ordine pubblico da parte del comandante del corpo d’armata generale Cattaneo non migliorerà la situazione.

Angelo_Filippetti (1) (1)Il 27 agosto un decreto reale giustificò e legittimò il colpo di mano contro la giunte democraticamente eletta, motivandolo con il fatto che “questo enorme stato di cose [cioè la gestione Filippetti il sindaco socialista] ha creato nella cittadinanza un risentimento che ha veduto la sua esplosione nei gravissimi incidenti del 3 agosto; e poi la calma, che si è ristabilita per l’abbandono di fatto delle funzioni da parte degli amministratori, sarebbe seriamente compromessa, è indispensabile, per grave ragioni di ordine pubblico, lo scioglimento del Consiglio comunale” con Milano furono commissariati molti altri comuni della provincia e della regione.

La prova generale della marcia su Roma ha avuto successo.

Pochi giorni dopo D’annunzio ritenuto favoreggiatore di un incontro Mussolini Facta cadde dal balcone (un altro ndr) del Vittoriale ferendosi gravemente. 

Un giornale comunista, avanzò l’ipotesi di un “defenestramento doloso” dovuto anche alla freddezza con cui aveva trattato i fascisti nel suo discorso da palazzo Marino. Più prosaicamente pare che D’annunzio avesse allungato le mani su tale Jojo giovane sorella di un’altra inquilina di casa ed alla reazione di lei avesse perso l’equilibrio.

Il corriere favorevolissimo al commissariamento del comune che anzi giudica tardivo, giorni dopo parlerà di 600 arresti tra gli scioperanti, di 7 morti, di solenni funerali per i tre fascisti morti e di private esequie del dipendente dell’Avanti colpito a revolverate, 

madonnina (1)Dopo lo scioglimento venne la normalizzazione e la chiarificazione, la campagna elettorale per le amministrative partì a Milano quando già la marcia su Roma datava di qualche settimana, e a Milano fu a tutti chiaro ciò che era visibile da tempo, cioè la subalternità dei liberali e dei radicali (cioè in sostanza della “gloriosa” tradizione risorgimentale e postrisorgimentale) ai fascisti e ai nazionalisti. Una subalternità perfino beffarda, se i salandrini De Capitani e Cavazzoni si erano prodigati nei mesi precedenti, con il proprio denaro, per aiutare Mussolini prima ad assaltare Palazzo Marino e a controllare politicamente la città, poi prendendo il treno per Roma (De Capitani il leader dell’antisocialismo a Palazzo Marino accompagnò lo stesso Mussolini nel celebre viaggio in wagon-lit) ora si trovavano ricompensati con un pugno di mosche: il ministero dell’Agricoltura, all’epoca assai più importante che oggi, ma davvero impossibile considerare un ministero chiave. 

Nel comizio al Teatro Lirico, il 30 novembre, ossute e ridanciane camicie nere con gagliardetti, manganelli e teste da morto, accanto alle più eleganti e snob camicie azzurre dei liberali presiedevano l’ingresso, svolgendo la bassa bisogna, mentre tutto il liberalismo milanese era sul palco, illuso che le camicie nere servissero solo da servizio d’ordine. Ettore Candiani, già assessore con Ponti, e Cesare Chiodi, punta della minoranza liberale negli ultimi anni, esaltarono Mussolini e cantarono Giovinezza. Nel blocco nazionale liberali e radicali stanno accanto a nazionalisti e fascisti, ma erano quest’ultimi due a menare le danze. I sempre titubanti popolari, dopo varie incertezze, aderirono al Blocco all’ultimo momento.

Dall’altra parte, le forze del movimento operaio erano assai sparpagliate, indietreggianti di fronte alle violenze fasciate, stordite dalla marcia su Roma, divise in 3, comunisti, socialisti e socialisti unitari, ognuno con una propria lista. 

Il Blocco nazionale vinse le elezioni il 10 dicembre con 87.424 voti contro i 45.411 dei socialisti unitari, che diventarono forza di minoranza, mentre socialisti massimalisti 17259 voti e comunisti 2288 restarono fuori dal Palazzo Marino. 

Come si vede nonostante violenze di ogni tipo e la connivenza delle istituzioni e dei partiti risorgimentali il fascismo a Milano non sfondava.

Scortato dalla banda di camicie nere, il prefetto Lusignoli si affacciò al balcone e, con piglio meno tribunizio e più notarle di quello di D’Annunzio pochi mesi prima, si congratulò con Milano per la propria scelta “patriottica”. 

SC_S_H0110-02573_IMG-0000095666 (1)I primi eletti del Blocco erano dei popolari, ma la maggioranza si rivolse, per formare la giunta, ad un vecchio radicale, Luigi Mangiagalli, medico, assessore ai tempi lontani della giunta (di “sinistra”) Mussi. Data l’età avanzata, sembrava davvero un incarico per procura d’altri. Questi altri erano ben rappresentati dal vicesindaco, il capo delle camicie nere milanesi, l’avvocato Giuseppe Aversa. Il vecchio Mangiagalli non poté che iniziare il suo primo discorso accusando di malversazioni le giunte socialiste precedenti, promettendo severa disciplina e ordine nei confronti degli impiegati comunali, chiamati da Mangiagalli “privilegiati”: la prima misura fu la soppressione del sabato festivo (o Sabato inglese) quindi la chiusura del corpo di vigili del fuoco (chiamata “la guardia rossa di Filippetti”), mentre nei confronti dei tranvieri, l’ala più combattiva degli impiegati comunali, sibilarono parole di minaccia. 

Con l’elezione di Mangiagalli si chiudeva la stagione riformista di Palazzo Marino, occorrerà aspettare decenni prima che se ne potesse aprire un’altra.

Walter Marossi

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  1. Daniela FiambertiPovero nonno, quasi solo di fronte alla furia e alla ignoranza fascista🙄
    23 dicembre 2021 • 14:03Rispondi
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