21 dicembre 2021

L’EDILIZIA SENZA OMBRA

Sapersi muovere nelle pieghe dei regolamento edilizio


bonessa

Progetto senza titolo (10) (1)

“Architetto, se abbiamo 1.000, dico mille metri quadri di Superficie Lorda edificabile, lei me ne devi tirare fuori almeno 1.800, dico m i l l e o t t o c e n t o di superficie commerciale” È questa la nuova frontiera dell’urbanistica. Dopo quella contrattata, tragicamente attiva, in cui non valgono le regole ma gli accordi, tra un ricco privato solvibile e un pubblico alla ricerca del facile consenso, siamo arrivati a quella dei servizi.

Mentre ecologisti, ambientalisti, difensori del bene comune si accapigliano sugli indici fondiari e cantano vittoria a ogni diminuzione percentuale delle possibilità edificatorie, il mercato è già molto avanti. Come sempre ha trovato la scappatoia.

Dal piccolo intervento alla più grande trasformazione ci sono un sacco di metri quadri che sono finti, che non valgono, trasparenti al calcolo ma commerciali, commercializzabili e soprattutto assolutamente esistenti.

Non è vero che il consumo di suolo lo fa tutto ciò che fa ombra. Dopo l’Uomo senza Ombra ci sono i Palazzi che Non Ci Sono, che non contano, che non esistono sui file di excel della nuova urbanistica.

Il Pgt di Milano ne ha fatto un catalogo in cui ci sono Università, biblioteche private, scuole private, associazioni, teatri. Non solo quelli già edificati ma anche quelli di nuova costruzione.
Interi palazzi, isolati, quartieri fuori indice. Massimo, medio, minimo. 

Urbanisticamente inesistenti.

Ma lo sono anche una miriade di micro spazi che, sommati, fanno un totale consistente.
Ingressi, palestre e locali condominiali in genere, i corridoi degli alberghi, le logge, i box e posti auto e così via. 

Sono questi i metri quadrati che mi ha chiesto il mio cliente. Questi quelli che devo garantire alla voracità immobiliare.

Ed ecco che la “tipologia edilizia” su cui dibattono, con solennità e competenza, gli architetti, si trasforma in una mera questione di calcolo finanziario. L’architetto non è più un progettista ma un traduttore in linee di quello che è deciso in cifre. 

Un dato di fatto di cui penso si debba essere coscienti quando si parla di consumo di suolo, di cementificazione, di sviluppo immobiliare. Rendersi conto che gli indici fondiari sono ormai uno specchietto per le allodole che non si accorgono di cosa avvenga alle loro spalle.

Non è necessario essere degli indovini, delle Cassandre del mattone , per ipotizzare che i Fondi Immobiliari promotori del “progetto San Siro” abbiano accettato di passare dallo 0,71 allo 0,35 sapendo benissimo che quello che era uscito dalla porta rientrerà dalla finestra.

Un esempio che possiamo riproporre per moltissime pianificazioni concordate milanesi.
Ma tutto ciò, la stessa storia dell’evoluzione dei criteri di pianificazione territoriale e urbanistica, ci porta a un’altra riflessione.

Siamo sicuri che il problema sia quantitativo? Che con l’azzeramento degli indici, che con la battaglia dei mq, si risolvano i problemi ambientali e sociali, in un’unica parola , quelli ecologici?
Secondo me no.

Perché non è importante ( solo ) quanto costruiamo, ma dove, cosa, per chi e come. Queste sono le vere domande che ci dobbiamo porre. In primis quella che ci indichi i destinatari del nostro costruire, i beneficiari ( o danneggiati) e quindi la necessità di quella o questa nuova edificazione.

Dobbiamo, a mio parere, invertire la prospettiva e passare da quantitativo al qualitativo. Dal finanziario al necessario. Dal sempre al contingente, pensando a cosa mi serve in ogni momento della mia vita. Dal diritto alla casa al Servizio Abitativo. Dal possesso all’uso.

Il tutto in una prospettiva di riduzione dei comuni e di ottimizzazione reale delle risorse.
E questo non può essere fatto con i divieti, che il mercato sa benissimo come aggirare e come far diventare opportunità.

Lo si fa grazie a un Pubblico che interviene direttamente, che entra in campo e torna ad essere un operatore trainante.

Il guidatore, non il vigile.

Andrea Bonessa

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  1. Cesare MocchiDimentica una cosa importante: fuori indice non ci sono soltanto i servizi tipo biblioteche e teatri (cosa peraltro tutto sommato ragionevole) ma anche l'edilizia convenzionata, gli esercizi commerciali di vicinato, gli alberghi, ecc. Con un tocco di bacchetta magica, secondo il nostro solipsistico PGT questi non sarebbero "volumi" - neanche nel medioevo si era arrivati a un simile livello di involuzione nominalistica. Comunque è vero, oggi l'urbanistica si è ridotta a una serie di "trucchi" inventati da avvocati per creare valore agli immobili senza farlo vedere, beata ipocrisia. E sono anche capaci di gloriarsene...
    22 dicembre 2021 • 09:28Rispondi
  2. Luca BergoVero. Grazie a un mercato globalizzato, l'edilizia - e la sua forma colta che chiamiamo architettura - è stata scoperta dalla finanza. Come la produzione di materie prime, di cibo, di energia e di cultura; come la salute e le informazioni che ciascuno di noi immette, gratis, in rete. Forse non è solo un problema di quantità e neppure di qualità. E' più profondo: è il modo di produzione, che governato da una logica di accaparramento, spoliazione e concentrazione. Se produciamo per far guadagnare un investitore, ch vuoi scavare più denaro possibile dai soldi che ci ha messo, o se produciamo per soddisfare un bisogno reale, singolo o collettivo. Se, come architetti, vogliamo essere solo una rotella più o meno efficiente e intelligente e glamour di un sistema che per definizione deve crescere indefinitamente, appropriandosi e distruggendo i beni comuni e quelli naturali, o se volgiamo produrre per soddisfare un bisogno naturale e, magari, migliorare uno spazio esistente. Questioni che esulano perso dall'immaginario dell'urbanistica contrattata e furbesca che ha preso piede.
    23 dicembre 2021 • 16:08Rispondi
  3. Luca BergoVero. Da molto si costruisce non per saponiere a un bisogno, ma per fare soldi. Grazie al mercato globalizzato, l'edilizia - e la sua forma colta che chiamiamo architettura - è stata scoperta dalla finanza, che ha scoperto che investendo in alcuni luoghi, può fare un sacco di soldi. E le principali città storiche italiane sono diventate, complice una cultura politica piuttosto prona, e con il sostegno attivo di architetti e avvocati specializzati, una miniera d'oro. Le nostre città, le nostre case, le piazze, le strade, sono trattate alla stregua delle materie prime, del cibo, della cultura, della nostra salute. Oggetto pura e spericolata speculazione finanziaria. Perciò non è solo un problema di quantità e neppure di qualità di ciò che si fa, e di cosa desidera il tuo cliente. E' più profondo: è il modo di produzione capitalistico della ricchezza, governato da una logica di accaparramento, spoliazione dell'ambiente e della comunità e concentrazione della ricchezza in sempre meno mani (vedi il rapporto Oxfam sull'Italia). Produciamo per far guadagnare un investitore che vuoi ricavare più denaro possibile dai soldi che ci ha messo, o produciamo per soddisfare un bisogno reale, singolo o collettivo? Questa è la domanda da porsi, caro Bonessa. Se, come architetti, vogliamo essere solo una rotella più o meno efficiente e glamour di un sistema che, per definizione, deve crescere indefinitamente, e lo può fare solo distruggendo i beni comuni e quelli naturali; o se vogliamo produrre per soddisfare i bisogni naturali di migliore qualità dell'ambiente, dell'abitazione di una persona o di una comunità, migliorandone lo spazio. Evitando ulteriore spreco di suolo fertile, dato che quello già urbanizzato è il doppio di quello di cui avremmo bisogno e avrebbe bisogno di essere riqualificato e restituito alla comunità e ai suoi membri, sottraendolo alla logica speculativa. Questioni che esulano persino dall'immaginario dell'urbanistica contrattata e furbesca che ha preso piede: figuriamoci dalla coscienza degli operatori e di molti colleghi.
    23 dicembre 2021 • 16:25Rispondi
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