12 ottobre 2021

CITTA’ METROPOLITANA:CI METTIAMO UNA PIETRA SOPRA?

Senza una rinnovata cultura e volontà politica inutile persistere nell'equivoco


ballabio - Copia

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Il direttore mi chiede il commento su una delle conseguenze dell’ultima prova elettorale ovvero “sulla definitiva morte della Città Metropolitana che nessuno, ovviamente nemmeno Sala , ha mai citato in campagna elettorale? Perché non decidiamo di seppellirla in qualche modo o sostituirne le funzioni con altri strumenti?”.

La provocazione sottende un’onesta operazione di verità, tanto necessaria quanto la mistificazione conclusasi con il mostriciattolo ex legge Delrio ha squalificato ed occultato una forma di governo, locale ed intermedio, di norma e da tempo applicata validamente nel resto d’Europa.
Tale innovazione istituzionale in realtà non è mai nata se non sulla carta pregiata della Gazzetta Ufficiale con la legge 142 del 1990, che ne prescriveva l’istituzione “entro sei mesi”! Primo annuncio di una lunga serie di “grida” manzoniane.

Si era all’epilogo della “prima repubblica” e di lì a poco, con il crollo del sistema dei partiti che avevano il loro punto di forza nelle Federazioni provinciali, sarebbe cambiato il paradigma nella visione del governo locale. L’avvento della primitiva lega di Bossi con la teoria, presto divenuta egemone, dei “padroni in casa propria” avrebbe spostato l’asse dalle Province (per altro poi smembrate da scissioni particolaristiche) ai Comuni.

Il cambio di prospettiva avrebbe pertanto soffocato nella culla il governo di “vasta area”, come fino ad allora si diceva, sia sul piano culturale che normativo. Da un lato il ripiegamento di un nuovo ceto politico, non più orientato dai partiti che bene o male avevano sviluppato un’ampia discussione ed elaborazione al riguardo, su campi di interesse contingenti e ristretti.

Dall’altro il crollo degli stessi partiti storici (i successori sarebbero risultati pallidi ed instabili ectoplasmi) comportò l’impraticabilità del sistema proporzionale ed il passaggio a forme maggioritarie con l’elezione diretta dei Sindaci. Anche le province ante legge Delrio godevano dell’elezione diretta del Presidente, ma furono progressivamente svuotate di funzioni e soprattutto di prestigio ed autorevolezza politica.

Emblematico il caso della provincia di Milano allorché il presidente Tamberi, in carica dal 1995 al ’99, dovette soccombere rinunciando ad approvare il PTCP (piano territoriale di coordinamento provinciale) attribuitogli proprio dalla legge 142 e predisposto dall’assessore Targetti, per il veto sfrontato del comune centrale. L’assessore milanese Lupi inviò una lettera ad entrambi che, tradotta dal burocratichese, intimava: “cosa volete mai pianificare sul mio territorio, non avete capito che qui comando io!”.  Pertanto, col buco in mezzo, ciò che rimane non è che un’inutile ciambella.

Il concetto di allargare la città alla dimensione metropolitana pertanto non passa nelle teste, per quanto reiterato nelle successive leggi-grida, dalle Bassanini del 1997 al Titolo V° del 2001, fino all’epilogo grottesco della citata legge Delrio del 2014, che muta semplicemente il nome a ben 14 delle preesistenti province, subordinandone la guida formale al Sindaco del capoluogo.

A casa nostra il disinteresse implicito di Pisapia, sindaco metropolitano involontario, poi esplicito e consapevole di Sala dimostra l’appiattimento acritico sull’esistente, un sistema pubblico debole e manipolabile, e la rinuncia ad ogni velleità riformatrice verso un ordinamento razionale e valido, evidentemente sgradito a poteri e interessi dominanti.

Così Milano rinuncia ad una secolare propensione ad ampliare il proprio raggio d’azione, dalla cerchia viscontea dei navigli alle mura spagnole fino alla cinta daziaria, virtuosa un secolo fa per favorire commercio e integrazione industriale ed agricola, ma divenuta del tutto anacronistica oggi. La “città legale” si arrocca sull’esistente centralistico-burocratico a dispetto della “città reale” che vive di intensi e giornalieri scambi di persone, idee e cose in una realtà policentrica ben più ampia:

Quanto ampia? Confini puntuali sono discutibili tuttavia la mappa del territorio più intensamente antropizzato indica con chiarezza l’area comprendente anche la Brianza (tutta, non solo la parte autodeterminatasi in provincia) ed il cosiddetto Seprio fino a Malpensa.

 Tuttavia la cieca resistenza di pressoché l’intero corpo politico e mediatico corrente si ostina a non voler guardare nel cannocchiale. Il “sacro egoismo” locale fa gravitare nel lembo di terra sotto i propri piedi tanto il gigante centrale quanto i piccoli e piccolissimi comuni. Padroni e padroncini in casa propria! Con buona pace della “sussidiarietà verticale” che aveva ispirato Maastricht e le stesse consolidate esperienze di un’Europa inutilmente e retoricamente invocata.

Inoltre anche la “seconda repubblica” volge inevitabilmente verso un cambio di fase nel segno di uno spiccato centralismo e verticismo, più paternalista che illuminato, con buona pace di una democrazia fondata sulla partecipazione e l’iniziativa dal basso. Quale spazio allora per una coerente e valida ristrutturazione del sistema delle autonomie regionali e sub-regionali?

Arcipelago, a proposito dell’elezione plebiscitaria del sindaco, ha titolato “è arrivato Bonaparte”. Ma se oggi Milano incorona Napoleone il piccolo, l’Italia si appresta a proclamare, alle prossime presidenziali e/o politiche, il Grande: da Beppe Sala a Mario Draghi il “18 brumaio” è di fatto consumato!

Valentino Ballabio

 



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