12 ottobre 2021

COSA DICONO LE URNE

Sempre più lontani i cittadini dagli eletti


corbani

BANNER INIZIO ARTICOLO

Senza avversari o competitori, con l’appoggio dei ceti economici, finanziari e immobiliari dominanti, con il quinquennale culto della personalità dei mezzi di informazione, la rielezione del sindaco uscente era data per scontata. Per questo ho trovato molto imbarazzanti le prime dichiarazioni sul “record storico”. Albertini per la sua riconferma nel 2001 prese 499.020 voti quasi 8.000 voti in più di coloro che hanno votato in questa tornata (491.118).

Il voto liquido. Qui oggi, di storico e di preoccupante c’è in primo luogo l’indifferenza e la delusione dei milanesi che non credono che il Comune o la politica possa risolvere i loro problemi. Per la prima volta dal 1946 un milanese su due se ne è stato a casa, nelle elezioni che dovrebbero essere più importanti per i milanesi, per il loro Comune. Metà dei milanesi pensa che il suo voto non conti niente e ed è vero che in questo sistema elettorale i voti non sono uguali:

“Milano in salute Beppe Sala sindaco” fa un consigliere comunale con 7.367 voti, le 5S non hanno rappresentanza con 12.517 voti e così neppure “Milano Paragone sindaco” con 12.366 voti. Del resto, il PD ha 7.610 voti per consigliere mentre Forza Italia ha bisogno di 10.606 voti. È il maggioritario, bellezza, che “semplifica” così abbiamo 10 gruppi in Consiglio Comunale (nel 1990 erano 9).

Da anni il voto è “liquido” con una mobilità dell’elettorato, molto repentina. Prendete il voto dei 5S: hanno perso 40.000 voti, i quattro quinti del loro elettorale 2016: sono scesi dal 10% al 3%, senza più alcun consigliere. Buona parte se ne è andato nell’astensionismo.

Il tessuto connettivo Negli anni novanta c’erano a Milano, tra sezioni di partito, circoli culturali e organizzazioni territoriali, più di quattrocento realtà in cui si discuteva, ci si confrontava, e il Consiglio comunale era lo specchio di questo pluralismo e di questa dialettica culturale, ideale e politica, che vedeva protagonisti, le tre grandi aree culturali e ideali, cattolici, liberali, e marxisti. Oggi è il deserto: è venuto a mancare il tessuto connettivo tra territorio e istituzioni.

I partiti sono diventati, per dirla con Giolitti “spuma, schiuma”.

Quante delle 28 liste di queste elezioni hanno un radicamento nel territorio e quante sopravvivranno a queste elezioni? Nel 1990 si presentarono 13 liste: da quando hanno introdotto il sistema a elezione diretta del sindaco, nelle sette elezioni, si sono presentate in media 25 liste.

Nel 2016 hanno votato per le liste il 50% dei milanesi e quest’anno il 44%: ben il 6% in meno. E per il sindaco nel 2016 hanno votato il 53% degli elettori e nel 2021 il 47%: il 6% in meno.

La campagna elettorale è stata insulsa, priva di confronto vero sui problemi, sulle scelte presenti e future, sui risultati del quinquennio precedente: tutta cocktail e aperitivi, rinfreschi.  O sul PNNR, per esempio, questo sconosciuto che non so neanche se sia stato discusso in Consiglio comunale o nei Municipi.

Sala 2 ha preso il consenso del 26% degli elettori. E tra il voto per il sindaco e il voto per le liste di appoggio la differenza è rimasta praticamente identica: 33.975 nel 2016 e 31.035 nel 2021.   Di fatto, il differenziale è andato a favore di Sala vista la debolezza degli altri candidati.

La coalizione del centrosinistra. Quest’anno c’è stata poi una inflazione di candidati sindaco, ben 13 (contro i 9 del 2016) di cui 5 a sinistra del PD: ovviamente, nessuno eletto.

La coalizione Sala rappresentava nel 2016 poco più di un milanese su cinque (21,53%), adesso ne rappresenta uno su quattro (24,88%). “I pesi” interni sono cambiati: il Pd rappresentava il 67% della coalizione, adesso il 59%; la sinistra passa dal 9 al 3%, i radicali e gli ecologisti dal 4 all’ 11% e le altre quattro liste fiancheggiatrici passano dal 19 al 27%.

Per la prima volta, dagli anni 70, in consiglio comunale non vi è nessuno della” sinistra”: chiuso il 38° anno di presenza di Basilio Rizzo, non vi è neanche “la sinistra per Sala” dell’assessore Limonta, indubbiamente cannibalizzata dalla lista Sala.

I “riformisti” (Azione, Italia viva, +Europa, Alleanza civica) sono stati penalizzati dalle altre sette liste a sostegno di Sala, ma hanno il merito di avere eletto due donne (il 100% dei loro consiglieri).

Lo scarno risultato di Giorgio Goggi, competente e serio, con proposte convincenti sui problemi della città, dalla casa ai trasporti, al traffico, all’area metropolitana, si deve in gran parte, oltre al silenzio della stampa, all’ostracismo che ancora perseguita il “garofano” e all’idea (sbagliata) che fosse una operazione “nostalgica”.

Salvo rare eccezioni, non si può credere che la formazione di una lista all’ultimo momento porti a dei significativi risultati. È il caso di Paragone.

Perde il centrodestra, ma si afferma Fratelli d’Italia. È vero che il centrodestra ha fatto di tutto per perdere, consentendo a Sala di vincere facile. Dalla girandola di candidati estivi alla scelta all’ultimo momento di un non-candidato. In un quadro di diminuzione di voti validi (54.081 in meno) le perdite del centro destra e delle altre liste rispetto al 2016 vanno in primo luogo all’astensionismo, poi anche alle altre liste.

Il centrodestra rappresentava un cittadino su cinque, adesso uno su sette; all’interno della coalizione, vi è stato un brusco cambiamento di “peso”. Forza Italia perdendo quasi 70.000 voti è precipitata dal 49 al 22%; la Lega (pur perdendo 11.000 voti) è passata dal 29 al 33%; Fratelli d’Italia incrementano di quasi 32.000 voti il loro risultato passando da 6 al 30%. Stabile il peso delle altre liste della coalizione, il 16%, con una perdita di quasi 10.000 voti. Diciamo che nel 2016 Forza Italia e le altre liste hanno avuto l’effetto Parisi. La distanza tra Lega e Fratelli d’Italia si è ridotta da oltre 47.000 voti a poco meno di 4.500 voti, con la lista della Meloni che scavalca nel centro storico la lista di Salvini.  La sinistra e il PD dovrebbero considerare attentamente, nel clima preoccupante di questi giorni, che Fratelli d’Italia ha quasi triplicato i voti su scala cittadina, di certo li ha più che triplicati nei municipi 8 e 9, e quasi triplicati ai municipi (in ordine discendente) ai municipi 4,6,7,2 e 5; si avvicina al raddoppio nei municipi 1 e 3. E a un esame campione di alcuni seggi periferici, l’avanzata della Meloni dovrebbe preoccupare.

L’attenzione delle forze di sinistra dovrebbe essere maggiore verso le aspirazioni alla sicurezza individuale e collettiva di ceto medio e popolare e nel contempo dovrebbe fare in modo di disinnescare fenomeni di estremismo, ribellismo e plebeismo che covano anche in parte dell’astensionismo più qualunquista.

L’area metropolitana. Con un sistema che affida al Sindaco tutti i poteri, la mancanza di opposizione è un serio problema democratico. È un’altra cosa preoccupante è che in questa campagna elettorale e nella formazione della giunta non si tiene in minima considerazione il rapporto della città con l’area metropolitana.  Il tema dei cittadini che risiedono nell’area metropolitana e che vengono a centinaia di migliaia ogni giorno a lavorare e studiare è stato praticamente assente. Una visione angusta dei puri confini amministrativi di Milano è quanto di più deleterio si possa immaginare: la fortuna di Milano e il suo futuro stanno nella simbiosi con quello che si chiamava “hinterland” ma che tale non è: è Milano, è la città. Ed è ora che i cittadini eleggano direttamente il Sindaco e il Consiglio Metropolitano come prevede la legge.

Luigi Corbani

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Ultimi commenti