12 ottobre 2021

ELEZIONI MILANESI: DOPO IL TRIONFO, I NODI RESTANO

Per guidare la città la gestione solitaria non serve


ucciero

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A Milano il voto popolare ha decretato il trionfo di Beppe Sala e del Partito Democratico, che legittimamente guardano con grande soddisfazione alla messe di consenso raccolta. Non solo il centro sinistra guida il governo cittadino ma è egemone, così almeno appare, nel rapporto con la città e con le altre forze politiche. E’ bene però guardare più a fondo nelle cose, evitando, con la ùbris del trionfatore, la punizione che gli dei infliggono a chi troppo presume da sé.

Il centrodestra che, dapprima sperava in una contesa alla pari e poi in una sconfitta onorevole, ha toccato il limite più basso ed avvilente dall’avvio della seconda repubblica. Il combinato disposto dell’ipoteca sovranista e di un candidato, tanto ridicolo da essere presto abbandonato da chi lo aveva scelto, hanno scoraggiato soprattutto gli elettori dell’ala moderata, che, rappresentata da Forza Italia, si è rifugiata per parte sotto le ali protettrici di Sala e per parte nel’astensione.

Crisi del centro destra ed astensione massiccia sembrano strettamente intrecciati, ma si sbaglia se la si guarda come fosse “cosa d’altri”, autoassolvendosi dalla responsabilità di un silenzio civico tanto più pericoloso quanto espressione di un rancore senza sbocco.

Se più della metà degli aventi diritto non si presenta al seggio elettorale, qualche preoccupazione dovrebbe venire anche a chi ha stravinto, e non solo per il fatto che aritmeticamente il voto che lo ha incoronato non arriva complessivamente al 50% della platea degli aventi diritto, ma per lo specifico nodo politico sociale con cui l’astensione così massiccia interroga tutti.

Trapela un sentimento diffuso di presa di distanza, di disincanto nella migliore delle ipotesi, ma che in diverse sue componenti si tinge di rabbia, disperazione e livore. Un sentimento che oggi rifugge dalla espressione elettorale e dalla rappresentanza politica, ma non per questo non esiste. Un sentimento di distacco profondo dalle istituzioni, dalla casa comune, che si muove disordinatamente, dopo aver provato senza successo la strada dei populismi, a 5 stelle ma non solo.

Il disagio popolare, teoricamente, avrebbe dovuto gonfiare le vele della sinistra, che invece ha trovato solo bonaccia, umida ed appiccicosa. Divisa e polverizzata, con ben 5 formazioni che si combattono nell’intitolarsi la memoria del Partito Comunista, non solo non siederà in Consiglio Comunale, ma soprattutto si è dimostrata incapace di porsi in sintonia, di raccogliere ed indirizzare almeno in parte la domanda di larghe fasce popolari. “Pas d’ennemi a gauche”, diceva Nenni in anni lontani. Lo stesso potrebbero oggi dire Sala ed il PD, ma a bene vedere c’è poco da gioire, neppure per loro, se la sinistra – sinistra non conosce neppure la strada per tornare sé stessa.

Così, i vincitori delle elezioni farebbero bene a chiudere rapidamente con i festeggiamenti, concentrandosi sui  maggiori nodi politici ed amministrativi che già oggi occupano l’orizzonte.

Di nuovo Beppe Sala cerca di anticipare tutti, muovendosi con un blitz verso Roma, dove la visita alle sette chiese, dice lui, dovrebbe accelerare le decisioni sulla quota del PNRR che tocca a Milano.

E di nuovo, il suo attivismo, che un po’ ricorda il primo Renzi Presidente che per qualche settimana fissava le riunioni del Consiglio dei Ministri nelle prime ore del mattino, appare afflitto dalla sindrome del “faso tuto mi”, da un approccio che tanto più si vorrebbe energico quanto meno impaniato dalla condivisione con il resto della compagine istituzionale che pure rappresenta e dai cui trae larga parte della sua forza politica,

Dice che corre a Roma per trattare i progetti del PNRR eppure, che si sappia, a parte una ormai lontana delibera della Città Mertropolitana, emergenziale nei tempi e discutibile nei contenuti, non risulta che ci sia stata discussione in Consiglio, tanto meno nella città, mentre della Giunta non si sa.

Questo modo di procedere non solo appare poco rispettoso della rappresentanza popolare che pure avrebbe titolo per dire, ma prima di tutto non sembra corrispondere alle esigenze di deliberazione allargata con le altre entità cittadine che, dalle Univesità alle forze sociali, dai Municipi alle associazioni imprenditoriali e non, sono titolari di specifici interessi, la cui sintesi finale certo tocca al Sindaco, ma che dovrebbero pure trovare adeguati ambiti di espressione e mediazione.

Di tutto questo nulla si sa, e se anche qualcosa si fa, nulla avviene se non nelle segrete stanze.

Questo modo di procedere, tanto estremo da essere classificato da Luca Beltrami Gadola nella categoria politica del “bonapartismo”, urta anche sensibilità ed aspettative delle forze politiche che pure sostengono il Sindaco, e che pure tanto consenso hanno raccolto. Così avviene che l’Assessorato al’Urbanistica, decisivo nella conduzione della politica comunale, diviene il terreno di confronto, sordo ma stridente, tra Beppe Sala e PD.

Si dice, de relata refero, che il primo non sia stato felice di certe prese di posizione dell’ex assessore Maran su alcuni progetti e che la sua testa sia stata perentorialmente richiesta da importanti stakeholder (sic !!!) insoddisfatti. Testa resa disponibile, salvo naturalmente salvare capra e cavoli con una nomina alla Casa che si vorrebbe rappresentare come trampolino di lancio per una futura competizione regionale, ma che pare più una polpetta avvelenata. Testa poi prontamente sostituita con quella di un dirigente storico dell’amministrazione comunale, detentore, si dice, di sconfinata competenza sui mille cavilli dei procedimenti urbanistici e per questo considerato ottimale da chi decide l’essenziale in proprio, salvo lasciare ad altri l’implementazione dei noiosi ma essenziali dettagli.

È pur vero però che questo voto popolare, pur minoritario, sembra aver condiviso è certificato il progetto di Milano proposto da Sala e dal PD, assecondando una visione che vede la metropoli “ripartire” nel segno della città Smart, dove la cifra della vivibilità ambientale e culturale è contrassegno emozionale essenziale del marketing globale, sul fronte degli eventi e degli investimenti immobiliari. Una visione che non tutti condividono nello stesso Partito Democratico, senza però che emerga, oltre alla sacrosanta maggior sensibilità sulla spesa sociale e sul lavoro, una visione diversa, che sappia elaborare per il futuro di Milano il potenziamento della sua vocazione di centro direttivo del suo retroterra territoriale, uno spazio, che ben oltre il contesto metropolitano e regionale, declina forme e funzioni nella relazione con la piattaforma produttiva che va da Torino a Trieste. Una visione di Milano centrata sulle principali traiettorie dell’innovazione digitale, con forti investimenti sui servizi per lo sviluppo tecnologico, del capitale umano e del contesto urbano, come altri nei numeri passati di ArcipelagoMilano hanno detto più ampiamente.

Qui viene in rilievo l’altro grave limite dell’azione di governo della passata amministrazione comunale, senza che la nuova dia per ora segnali diversi. Il governo del territorio metropolitano giace privo di risorse e funzioni, assolvendo per ora solo a luogo di incarichi politici consolatori. Eppure qui sta larga parte del presente e del futuro di Milano, se si intendono effettivamente governare i flussi della mobilità, del capitale umano, dell’ambiente.  Una innovazione che dovrebbe trovare nello sviluppo della capacità di governo dei Municipi Cittadini una ulteriore articolazione.
Visione della città, investimenti sociali, riforma istituzionale, governo dei processi su scala metropolitana. Queste le sfide maggiori che il voto ha affidato al Sindaco ed al suo azionista di riferimento, sfide che, ancor prima di trovare attivismo dimostrativo, vanno comprese. Pena la perdita di orizzonti, lo sfarinamento sociale e qualche, brutta, sorpresa politica.

Giuseppe Ucciero



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