28 settembre 2021

PENSARE MILANO COME CENTRO DELL’INNOVAZIONE

Ritardi, opportunità, consigli per chi sa ascoltare


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Milano ha 10 ospedali cittadini, 5 metropolitane, un city airport, ma non ha un’industria dei servizi competitiva a livello globale ed un‘esperienza digitale di lavoro e di vita da offrire ai propri cittadini e a chi la visita. Questa è la sintesi realistica della città che abbiamo costruito negli ultimi anni.

Le uniche voci di esportazione, oltre al turismo sono infatti moda e design, settori troppo piccoli per essere considerati un’industria. Qualcosa è stato fatto nei servizi digitali al cittadino ma non abbastanza da meritare l’appellativo di Smart City.

D’altronde il posizionamento della città, e dell’area più ampia in cui è inserita, nelle classifiche sulla capacità di innovare mostrano chiaramente come Milano sia più un capoluogo di provincia che non una città globale.

Non viene citata dalla business community in uno studio di EY fra le città in grado di offrire ambienti favorevoli per costruire giganti della tecnologia (S. Francisco, Shangai, Pechino, Londra, Tokio, New York, Berlino sono in cima alla lista) e non è nelle 90 regioni europee più innovative (superata da Emilia Romagna, Trentino e Friuli ) del Regional Innovation Scoreboard.

Milano in questo rappresenta la punta avanzata di un paese a cui non mancano i fondi per cambiare ma la visione, i processi e le competenze (si vedano le dichiarazioni del Ministro Cingolani e i soldi che non si riescono a spendere sui programmi europei come sottolineato da Wired).

Un paese in cui tutto è pensato e fatto ancora a misura di industria manifatturiera e di burocrazia ma che fatica a capire che sono i servizi digitali ed avanzati, in particolare se competitivi ed esportabili su scala globale, i veri driver da cui oggi proviene la crescita, i posti di lavoro di qualità e le opportunità per i giovani.

La parabola dell’Expo ha acceso i riflettori su Milano e ha contribuito a sostenere la crescita soprattutto sul fronte immobiliare e dei servizi di prossimità (ristorazione, mobilità ed eventi), ma non ha lasciato in eredità un posizionamento chiaro della città nella competizione globale.

Le dinamiche della pandemia hanno evidenziato bene come Milano si sia fatta trovare impreparata nella gestione sanitaria, senza sistemi di tracciamento o di telemedicina, e non sappia come gestire percorsi evolutivi legati al digitale e allo Smart working, vissuti più come un problema che non un’opportunità (non si può giudicare un percorso evolutivo il near working). Su questi punti avrebbe forse fatto bene l’azienda municipale sul digitale e sull’innovazione, immaginata ad inizio dell’ultimo mandato e poi messa in un cassetto.

L’economia della conoscenza e i servizi si basano su infrastrutture digitali e normative che hanno bisogno di tempo e risorse per essere progettate e realizzate (Linkedin è stata fondata nel 2002, Facebook nel 2004, Google addirittura nel 1998, Amazon nel 1994). Gli effetti non si vedono subito, ma vanno anticipati e immaginati per tempo.

Se costruisci queste infrastrutture abiliti flussi economici e sociali, se non le prepari per tempo rimani spiazzato e subisci gli impatti (sic).

Noi queste infrastrutture non le abbiamo o ne abbiamo alcune che assomigliano per i tempi di realizzazione e la loro competitività su scala globale, alla Trabant più che alla Apple.

Queste strade su cui corrono i dati e le scelte di aziende e cittadini, sono fondamentali per i servizi di nuova generazione e per creare occupazione di qualità, ma necessitano di percorsi di sviluppo e regole abbastanza diversi rispetto a quelli dell’industria manifatturiera e dei servizi di prossimità.

Chi ha provato a realizzarle in Italia e a Milano si è scontrato quotidianamente con la burocrazia, la scarsa visione/consenso e si è quindi defilato o galleggia in un limbo in attesa di capire il dà farsi. Chi progetta il futuro deve essere invece attratto, accompagnato e coinvolto.

La scusa di non avere le condizioni amministrative/legali/costituzionali adatte solo in parte giustifica la politica e l’amministrazione locale. Sono le infrastrutture a dover essere governate dalla politica.

Questa la situazione.

Veniamo alle opportunità:

  • Milano dovrebbe e potrebbe essere un centro dell’economia della conoscenza e dei servizi più avanzati. Dovrebbe diventare uno spazio operativo di sperimentazione evoluta proiettandosi su contesti internazionali attraendo competenze e progetti. Un punto di creazione e sviluppo di servizi che vengano esportati nel mondo. Non solo la cabina di regia delle fabbriche di provincia.
  • Il connubio tra finanza, no profit e atenei milanesi è un tesoro inestimabile. Va però pensato non solo in connessione all’ industria manifatturiera, alla burocrazia, ai servizi manuali, ma va guidato nella costruzione di una collaborazione comune rivolta al futuro (nuove piattaforme, nuovi servizi pensati mettendo la persona al centro) non intrappolata nel pragmatismo spiccio e nella rendicontazione di spese rivolte al passato.
  • Abbiamo di fronte un lavoro enorme di creazione di una vera città smart con servizi di “no touch economy”, interattivi, esperienziali, di intrattenimento, di invecchiamento attivo, di sperimentazione su lavoro, scuola, sanità, etc.
  • La ricchezza generata dall’economia della conoscenza e dei servizi avanzati rinforzerà l’economia del territorio e genererà risorse per trascinare tutti nel cambiamento senza lasciare indietro nessuno.
  • C’è un’intera generazione di giovani uomini e donne, non solo milanesi e non solo italiani, pronti a contribuire a questo progetto.

Questa è l’idea della Milano del futuro. Si tratta di capire se ci sarà un leader che in questo cambiamento veda un’opportunità o una pericolosa disruption.

Qualche consiglio per il prossimo sindaco e la prossima giunta:

  • Spostare il focus dalle infrastrutture fisiche (metropolitane, ciclabili e piazze) a quelle immateriali (piattaforme, dati, conoscenza…) dotandosi delle competenze idonee
  • Innovare gli strumenti su cui impostare le politiche pubbliche non confidando troppo nell’armamentario di società pubbliche, appalti, diritto amministrativo, consultazioni pubbliche, concorsi e delibere. Abbiamo 20 anni di ritardo da colmare e il ritardo si colma andando più rapidi, con coraggio, qualche rischio e concretezza.
  • Essere meno inclini a considerare la “pace sociale” un valore con cui amministrare ma imparare a scontentare e tirare il collo (a fin di bene) a quelle categorie che non vogliono aumentare il loro contributo per la città, ma si mettono di traverso ogni due settimane.

Per Milano, il Paese e i giovani, innovare, modernizzarsi e accelerare è un impegno non rimandabile.

Riflettere veramente sugli errori fatti in questi anni e riprendere a fare piani ambizioni con direzioni chiare sarà molto importante.

I milanesi sicuramente faranno la loro parte.

Nicolò Boggian

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  1. Annalisa FerrarioInteressante e condivisibile. Grazie
    30 settembre 2021 • 15:04Rispondi
  2. Giovanni TalponeTutto giusto, ma c'è un settore potenzialmente molto innovativo su cui Milano dovrebbe concentrarsi: la riduzione dell'inquinamento dell'aria, particolarmente difficile in un'area chiusa come la Pianura Padana. Un terzo dell'inquinamento viene dall'attività agricola: ma che ne è della "Carta di Milano"? Non c'è molto spazio per la ricerca e l'innovazione in questo settore? Trasporti: nel mondo civile si fa ricerca sulla levitazione magnetica (che riduce anche il pulviscolo da attrito); da noi non si parla neanche di completare la linea ferroviaria circolare, che in molte città europee è realtà da decenni. La narrazione di Moratti, Pisapia, Sala è stata sempre la glorificazione del lusso (molto spesso basato su lavoratori manuali sottopagati, altro che innovazione!), sulla cementificazione, sui grandi eventi (assisteremo all'assalto della natura delle Alpi, già in crisi per l'innalzamento delle temperature). E guai a litigare con la Lombardia di Fontana sulla gestione della sanità... Qui, come in Germania, è chi è impegnato a salvare l'ambiente e le persone a essere realmente interessato all'innovazione, non chi è la trionfante espressione del "business as usual".
    1 ottobre 2021 • 11:57Rispondi
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