18 settembre 2021

TRA VOTO E NON VOTO

Una campagna elettorale povera


pivetta

Cittadino qualunque, elettore comune, lettore (male)informato dai quotidiani, seguo con apprensione questi giorni di campagna elettorale. Non avrò dubbi al seggio: voterò Sala, non saprei che cosa d’altro fare. Voterò Sala con la sua coalizione, che mi sembra una squadra di calcio, il portiere di riserva più la panchina, tutti in campo comunque come prevede il regolamento (calcistico) in epoca Covid. Magari deciderò di sottoscrivere qualche preferenza: qualcuno dei candidati lo conosco. Alcuni li conosco troppo bene. Altri non so proprio da quale barca siano calati. Forse, mi viene da pensare, ci sono solo per esserci.

Mi ricordo un vecchio (di decenni e decenni) programma televisivo, il cui titolo incoraggiava l’utente così: “E voi potrete dire: c’ero anch’io”. In questo caso, sono malizioso, non è solo questione di presenza, che è già qualcosa da segnalare ai vicini di casa o ai famigliari (in senso lato: famiglia, lobby, clan, ecc.): esserci, a prescindere dai voti, potrebbe sempre garantire qualche premio, una consulenza, un incarico magari di poco conto ma potrebbe essere il primo gradino, una comparsata in tv in un talk show locale…

Niente che non si sia già visto, da quando nel cammino verso la modernità e verso la governabilità, ci siamo imbattuti nel sistema firmato dall’onorevole Bassanini, sistema che ha contribuito a imbrattare la città di manifesti e di facce di ambiziosi concorrenti, ciascuno con il suo slogan del cuore. Una volta si vedevano i simboli e si leggeva un invito perentorio: vota PCI, vota DC, vota PRI. Le liste dei candidati le compilavano nelle riunioni al vertice. Tutto mi sembra proceda alla vecchia maniera, dopo tanta indignazione per i vecchi metodi, quelli tipici del vituperato centralismo burocratico: un’altra falla della democrazia e del cosiddetto decentramento, della partecipazione promessa, della condivisione.

Se venisse in mente ai tuoi amici o compagni di proporre un nome, per stima, per riconoscimento della competenza, se più di un milanese si mostrasse d’accordo, sappi che dovrai piegarti alle logiche della coalizione cittadina, un posto a te e un posto a me, alla ferrea legge della parità di genere, qui una donna, qui un uomo, alla opportunità che sia certa l’affinità del candidato con chi in alto governerà tutto. Si fa tutto per vincere, coesione, unità, rispetto, qui si deve arretrare per tener salda l’alleanza e va bene così. Il tuo candidato potrebbe restare ai nastri di partenza, malgrado segnali favorevoli raccolti. Pazienza se dai barchini avrai visto scendere giovanotti baldanzosi e ignari persino della lingua italiana o vecchi navigatori, transitati da una riva all’altra degli schieramenti politici. Marciamo insieme alla meta, all’elezione del primo cittadino.

A proposito del traguardo, mi pare che siano maggioritarie le opinioni di chi vede vincente in sindaco uscente, Beppe Sala. Lo dicono i sondaggi. Lo dice la minima personalità dell’avversario e lasciamo stare la questione delle armi in corsia al Fatebenefratelli. Bernardo lo ricordo solo per una sua esternazione a proposito dello stadio a San Siro: spiegò che Inter e Milan si sarebbero potuti costruire il loro e che il comune si sarebbe dovuto tenere il suo, ovviamente ristrutturato, destinato alle partite della nazionale, a spese (milionarie) tutte sulle nostre spalle.

Insomma non nutro tanta apprensione per il risultato. Spero nel primo turno, giusto per tagliar corto. Un altro dato emerso dai sondaggi mi ha colpito ed è quel cinquanta per cento di aventi diritto che alle urne non si presenterà, non infilerà la scheda, rinuncerà ad esprimere qualsiasi opinione. L’ansia, la preoccupazione, lo scoramento di fronte a tanta diserzione, prendono il campo. Ma chi sono i no-voto? Immobili, ignari, inconsapevoli, sfiduciati, disillusi, incazzati, protestatari, qualunquisti, poveri e meno poveri… quanti aggettivi per definirli… Come è successo? E’ da anni che si va avanti così. Una moltitudine. Non so se sia consentito tornare a Gramsci: “Odio gli indifferenti…”. No, non si può odiare una truppa conquistata dal consumismo, devastata dalla comunicazione televisiva e online, prigioniera del proprio spicciolo e modesto egoismo.

Gli aggettivi per gli altri, i votanti imperterriti? Ingenui, fiduciosi, creduloni, coscienti, responsabili, vecchi e illusi, consapevoli, parenti e affini degli sfidanti… Chi si emancipa dalle leggi di Amazon, chi cerca coscienzioso di leggere la realtà, cioè la città in cui vive, chi riesce ad allontanarsi dalla logica NIMBY, not in my back yard, senza cadere nel suo opposto: tutto nel mio giardino. Anime sensibili alla crudeltà classista della metropoli. Opportunisti (il carro del vincitore attira sempre) di ogni genere e coloro che annuiscono sempre al capo.

Un sociologo o un antropologo potrebbero dire meglio. Sulle cause si potrebbe arzigogolare per mesi. Non affibbierei tutte le colpe ai partiti o a “mani pulite” …

Sono impressioni dedotte da una campagna elettorale povera, appassita, ripiegata sui soliti argomenti, la sicurezza, le case popolari (Salvini, che non sa, appioppa al Comune quelle in carico alla Regione di Fontana-Moratti, tipo il quadrilatero di piazza Selinunte), i giardini, i parchetti per i giochi dei bambini, le altalene e gli scivoli, i monopattini sui marciapiedi.

Poco in gioco è entrato il dilemma “stadio nuovo-stadio vecchio”. Poteva rappresentare un tema caldissimo, un volano. Ma è divisivo all’interno di qualsiasi schieramento: meglio tacere o quasi. Si è citata la baggianata di Bernardo, incolpevole: che ne può sapere lui di Milano. Sala lo ha bacchettato. Questione rimandata al dopo elezioni, quando peraltro si chiarirà lo stato delle finanze dei proponenti, Inter e Milan. Mai che sia emersa invece una visione complessiva di Milano al futuro. Quella di Sala e della sua amministrazione in scadenza la conosciamo. Il sindaco ha promesso in aggiunta una città più “verde”. Ma c’è verde e verde. Ha pure lanciato un altro obiettivo, subito piaciuto: “tutto nel giro di 15 minuti”. Lo slogan seduce, ma il contenuto è ambiguo: si rischia il ghetto, si rischia la periferia ancor più periferica, isolata nella sua stessa autosufficienza.

Io vorrei una città più giusta, più vivibile, meglio respirabile, percorribile, guidata da una politica che sappia esprimersi in modo dialettico, connessa al resto del mondo, autorevole ma non autoritaria. L’uomo solo al comando affascina e rassicura, ma non dovrebbero far difetto espressioni critiche di “periferie” affrancate dalla mansuetudine, dalla ossequiosità per ragion di Stato. Ovviamente mi riferisco al mio campo, che sommariamente definirei di “centrosinistra”, centrosinistra di strade ai margini, tutto sommato più vivace e più interessante, viste la sua vicinanza con i problemi concreti e quindi la conoscenza, l’esperienza, la continuità dell’osservazione.

Più voci alternative, voci forti, ambizione per i progetti, combattività, cominciando da quei luoghi di confine, cancellati dalla mappa dei poteri deboli, troppo deboli e troppo lontani dalle “stanze dei bottoni” (così ricordiamo anche Pietro Nenni), municipi, associazioni, circoli, persino chiese. Poi un orizzonte cui mirare, sollevando lo sguardo dalla punta dei piedi. Non vale la rassegnazione: “Tanto non ci ascoltano”. Provare e riprovare, con l’intelligenza che non manca, per non rassegnarsi prigionieri degli “ordini superiori”. I portaborracce potranno essere utili adesso, per tagliare il traguardo. Milano avrà l’amministrazione che si merita e che tutti pronosticano. Dopo, “annuire” sempre non farebbe bene a nessuno.

 



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