20 settembre 2021
MILANO AL VOTO: CARO BEPPE TI VOTIAMO, MA COSI’ NON VA
Oltre la Milano Smart, serve una nuova Agenda Sociale
20 settembre 2021
Oltre la Milano Smart, serve una nuova Agenda Sociale
Come nella vecchia canzone, la campagna elettorale milanese “…. appena cominciata, è già finita”. La disastrosa gestione della candidatura a sindaco di un pediatra improbabile, noto soprattutto per la pistola in ospedale e le scarpe sgargianti, riconsegna ormai la città a Beppe Sala.
Si conferma ancora la difficoltà della destra a far crescere classe dirigente credibile nei territori urbani e metropolitani. Così, Milano è motrice di un convoglio che porta con sé Bologna, Napoli, con qualche incertezza Roma, mentre Torino non sembra a suo agio dopo la sbornia grillina.
Tutto bene allora? Non proprio, anzi. Lasciamo da parte gli avvisi scaramantici e le prudenze di maniera, e passiamo alla sostanza: è legittimo chiedersi fin d’ora quale impatto sugli equilibri politici, quale visione di Milano, quale concezione del processo decisionale e partecipativo, quale attenzione al sociale, si intravedono nel prossimo futuro cittadino.
Il probabile trionfo della Lista Sala pone il PD di fronte a seri problemi di convivenza e posizionamento. Se nella scorsa consiliatura, il consenso elettorale l’aveva pur fissato come azionista di riferimento, un’affermazione così forte della lista personale del candidato sindaco, come pare, rafforza l’autoreferenzialità manageriale finora mostrata dall’uomo che non ha tenuto in alcun conto il Consiglio Comunale e le rappresentanze popolari, forte di un assetto di poteri disegnato attorno alla figura del Sindaco “faso tuto mi”. A parte qualche assessore legato a doppio filo a Sala, non saranno né pochi né lievi i mal di pancia nel PD, ridotto a votare provvedimenti e bilanci decisi in altre stanze. Sta bene questo ai suoi dirigenti, il valore politico-mediatico della terza affermazione consecutiva del centrosinistra a Milano vale l’allontanamento dalla stanza dei bottoni della forza che, con i suoi limiti, ha reso possibile la lunga stagione democratica?
La questione politica si intreccia strettamente con la questione istituzionale, dove i luoghi della deliberazione e decisione dei “rappresentanti del popolo” divengono sempre più deboli e rarefatti. Hai un bel chiamare i Municipi “registi” del territorio milanese, ed hai un bell’evocare la grande Milano, se la Città Metropolitana resta un’ameba, l’aborto di un disegno che pur porta, anche qui, con Del Rio, la firma della sinistra, e se i Municipi, ciascuno dei quali rappresenta “politicamente” un territorio di 150/170.000 abitanti, sono privi di poteri effettivi e di risorse, limitandosi ad essere nel migliore dei casi megafono del Sindaco verso i cittadini e molto meno in senso inverso. In questa visione, si parla di “decentramento” dei servizi, quando si dovrebbe dire, ed essere, “autonomia partecipata”. E del resto se non si trattasse di agire un effettivo ruolo politico di governo, che senso avrebbe mai chiamare i cittadini a scegliere con il voto i loro rappresentanti? Per decentrare i servizi bastano i funzionari comunali, ed in effetti oggi questa è la realtà.
La questione “democratica” non è solo meccanismo istituzionale ma anche sostanza: si pone nel vivo della visione complessiva della Milano attuale e futura. “Verdi, connessi, digitali”, così i milanesi vengono invitati dal Programma di Sala a vivere felici, esercitare i propri talenti e soddisfare i propri bisogni, nella città Post Covid, ma è sufficiente? La Milano di Beppe Sala propone il governo dei processi di valorizzazione immobiliare delle grandi aree, specie ferroviarie, rappresentandoli come tasselli di una Milano futura che soddisfa le istanze di verde e vivibilità urbana. In realtà, diversi hanno già descritto le tare giuridiche, di equità e correttezza istituzionale, di molte tra le operazioni di riqualificazione indicate nel programma del candidato sindaco. Ma il suo principale limite appare nella continuità con il mondo pre-covid, come se, dopo la drammatica parentesi pandemica, si trattasse essenzialmente di riavviare il meccanismo altrimenti già oliato e “funzionante”, dove gli investimenti immobiliari tracciano, con i nuovi skyline, il profilo di una metropoli che gioca la sua chance principale sull’attrattività su scala mondiale. Milano Smart City, scenario privilegiato di eventi globali, piattaforma dell’intrattenimento e del consumo turistico culturale di massa. Heri dicebamus, nulla di nuovo sotto il sole, piena continuità con modelli fondati sulla mobilità forsennata delle persone e delle cose, cullate dall’isteria della comunicazione.
La totale assenza nel programma di Sala di misure sui servizi sociali, i nidi, la scuola, il lavoro, e le poche e inadeguate battute sull’edilizia popolare, sono la cartina al tornasole per misurare la continuità della visione futura rispetto alla precedente, e la disconnessione del “sentiment” che lo pervade dai bisogni di larghe fasce di popolazione, rappresentate con l’inaccettabile espressione di “fragili”. “Fragili”, aggettivo sostantivato che addebita agli individui critiche connotazioni soggettive, mancanza di risorse personali, somma di limiti individuali, ciò che piuttosto è l’esito di assetti sociali iniqui, dello spossessamento di quote di reddito, di percorsi di vita condizionati da processi che generano povertà e svantaggio.
Cosa c’è di fragile in una famiglia povera, se la somma algebrica formata dai redditi precari e dalla onerosità di servizi essenziali, la consegna ad un’esistenza di stenti e di perdita di chance? O in una donna che passa la giornata nella sempre meno sostenibile corsa ad ostacoli tra cura e lavoro? Lasciamo stare, limitiamo questa parola ai contesti più appropriati, e torniamo a dire con “lingua dritta”: lo sfruttamento sia sfruttamento, la povertà sia povertà, la diseguaglianza diseguaglianza. Non è una questione puramente terminologica, è questione di falsa coscienza nella rappresentazione dei concreti processi sociali.
Il fatto è che sembra materializzarsi il fantasma di una città polarizzata, da un lato chi ce la fa, per il reddito e le relazioni, e dall’altra chi arranca, ce la fa sempre meno. La Milano delle periferie, non solo geografiche, “sembra” sempre più un vuoto a perdere, quasi privo di funzione utile ai processi di valorizzazione, dove specialmente i lavoratori poveri, gli anziani e le famiglie precarizzate devono arrangiarsi senza disturbare il manovratore, contentandosi di poter finalmente pedalare per qualche chilometro nel quartiere. “Sembra”, ma solo per la posizione che le viene assegnata nella visione, nelle politiche e nella narrazione, non per il reale contributo offerto alla generazione del valore economico cittadino: nelle filiere della ristorazione, della logistica, dei servizi alla persona, ma anche dei servizi professionali, i giovani qualificati condividono le donne, i lavoratori precari e le generazioni più anziane, una perdita grave di orizzonti, di riconoscimento e di chance. Altro che “fragilità”. Che fare, dunque?
Anche solo vedere il problema sarebbe già un grande passo avanti: la consapevolezza degli assetti iniqui, lavorativi e sociali, come limite allo sviluppo, dovrebbe essere il fondamento di una stagione nuova della vita milanese, per riconnetterla la città al suo miglior riformismo. Serve un’ampia “Agenda Sociale”, dove le risorse del PNRR siano per larga parte investite a sostegno di un profondo ampliamento e ridisegno delle politiche sociali, a partire dai servizi per la cura delle giovani generazioni e degli anziani, dove la condizione della donna appare sempre più schiacciata tra le sollecitazioni della produzione e la mole delle funzioni di accudimento e dove la condizione abitativa appare inadeguata al bisogno, a sua volta generato dalla precarietà e dalla compressione dei redditi da lavoro e delle indennità sociali. Tanto altro si potrebbe dire, ma lo spazio manca.
Beppe Sala chiede il voto, e noi glielo daremo, ma per assenza di alternative e non per piena convinzione. Non perché dice di essere buon manager, ma perché la vittoria del centro sinistra resta il terreno più agevole per mettere all’ordine del giorno la parola eguaglianza.
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