23 maggio 2021

PERCHÈ NON RIDARE FIDUCIA AL DUO SALA/MARAN

La lunga imperdibile cronistoria della soggezione al potere dei privati


Si sono susseguiti in queste settimane molti entusiastici annunci da parte dell’assessore Maran sugli esiti della selezione del progetto di masterplan per l’ex scalo ferroviario Romana (condotta privatamente dalle nuove proprietà COIMA, Covivio e Fondazione Prada) vinta dal gruppo Ratti & Co.; sull’accordo con CityLife per la conclusione (rinviata nuovamente al 2028, dopo la proroga già accordata dall’allora assessore De Cesaris dal 2015 al 2023; siamo in totale a più del doppio della durata decennale usuale nelle convenzioni urbanistiche, ed è una mezza bugia dire “come da disposizioni di legge”, perché la legge “consente” proroghe motivate, ma non è affatto obbligatorio da parte del Comune accettarle anche se richieste dalla proprietà) delle previsioni edificatorie residue ancora da attuarsi, e ciò mediante un nuovo edificio vetrato a sella di cavallo, anziché con una nuova torre; sulle conclusioni suggerite dagli esiti del Concorso Reinventing Cities per l’ex Macello Comunale e per piazzale Loreto.

Ciò ha suscitato molta risonanza da parte degli organismi mediatici, molti apprezzamenti per l’accelerazione impressa alle decisioni comunali forse in vista della scadenza elettorale di ottobre, ma anche molte critiche e perplessità.

brenna

Vale la pena, quindi, di provare ad esaminare le proposte per ciascuna area, ma anche di trarre un quadro complessivo dell’azione di questa tornata amministrativa nella conclusione di trasformazioni urbane (iniziate in gran parte dalle Giunte Albertini/Lupi e Moratti/Masseroli) che segneranno a lungo e profondamente il volto della nostra città.

Cominciamo con CityLife, che è quella di più remota origine: l’abnorme indice edificatorio di 1,15 mq/mq (attualmente il PGT prevede un indice base di 0,35 mq/mq col quale ogni singolo intervento può far realizzare tutti gli spazi pubblici di quartiere e parchi ambientali obbligatori per legge, anche senza dover realizzare necessariamente edifici a torre molto alta) fu fissata d’intesa tra Fondazione Fiera, Regione e Comune di Milano (sarebbe istruttivo fare nomi e comune appartenenza politica dei responsabili dell’epoca, ma chi ha orecchie per intendere, intenda) per far fronte all’imprevisto debito fuori bilancio di 250 milioni di € accumulati da Fiera nella costruzione della Nuova Fiera a Rho-Pero a causa delle pazzie egolatriche di Fuksas (posso testimoniarlo direttamente, avendo visto da assessore all’urbanistica di Rho nel ’94-’98 il molto più semplice lay-out originario redatto dal capo UT di Fiera, ing. Vettese).

Il conto è presto fatto: 250 milioni:800-900 €/mq vendibile (prezzo corrente della rendita fondiaria a Milano) = 300.000 mq di superficie vendibile (pari a circa 1 milione di metri cubi): 260.000 mq di area = 1,15 di indice edificatorio.

Ovviamente tutto ciò non ha alcun rapporto con la razionalità urbanistica, la quale ci dice invece che per soddisfare il minimo di spazi pubblici obbligatori per legge per i nuovi abitanti previsti da una così massiccia edificazione occorrerebbe il 146% dell’intera area (cosa ovviamente impossibile se non si coinvolgono altre aree altrove e su questa si vuole comunque far edificare 1 milione di metri cubi, necessariamente in edifici alti 150-200 metri).

Infatti, tutti i progetti presentati dagli aspiranti acquirenti prevedevano di far “monetizzare” almeno il 60-70% degli spazi pubblici non realizzabili, pagando al Comune 300 €/mq per tenersi edificabili aree che – come vedremo – avrebbero poi invece pagato a Fiera 2.000 €/mq.

Ancor più sorprendente fu che all’asta di evidenza pubblica le due offerte migliori praticamente raddoppiarono la base d’asta di 250 milioni di €: 480 milioni di Pirelli RE con un progetto di Renzo Piano RPWB, 523 milioni CityLife (Banca Intesa, Assicurazioni Generali e altri minori che strada facendo se ne usciranno): quindi, anche dimezzando la volumetria edificabile Fiera avrebbe potuto avere i 250 milioni necessari a coprire il debito e Milano un intervento meno urbanisticamente stravolgente.

Neanche per idea !: nel silenzio succube del Comune di Milano, la famelicità di Fiera volle scegliere i 523 milioni di € dell’offerta di CityLife (il progetto peggiore e senza paternità progettuale: nessun orientamento urbano riconoscibile, verde pubblico sfrangiato tra gli edifici privati, Tre Torri a nord-est che in inverno oscurano del tutto gli edifici attigui preesistenti), solo un misero 10% in più (ma sul doppio dell’atteso !) di quello di Renzo Piano/Pirelli RE che era il migliore (verde pubblico compatto a sud-ovest – che è la scelta giusta, ma che pare vada bene solo quando, come vedremo, viene proposta dal masterplan (privato) a Farini con l’enfatico nome di Limpidarium, dove peraltro è del tutto inutile a schermare climaticamente grattacieli da 200 metri ! – e con una sola torre residenziale molto alta, ma facilmente scomponibile in 4 di media altezza).

Tra i pochi spazi pubblici (meno dei 18 mq/abitanti inderogabili nel pur vetusto DM 1444/68 !) e tra le poche attrezzature pubbliche cedute al Comune vi era l’ex Palazzo dello Sport di piazza VI Febbraio, ribattezzato all’occasione Palazzo delle Scintille in previsione di divenire ipotetico Museo del Bambino: lo scorso anno l’attuale Giunta lo ha ceduto all’asta a Banca Intesa, pur con un labile impegno ad ospitarvi anche manifestazioni di interesse pubblico, foglia di fico che non basta a coprire la vergogna.

Di fatto le dotazioni pubbliche si sono talmente ulteriormente ridotte che se si volessero far rispettare i minimi di legge non dovrebbe essere più ammessa nessuna altra edificazione oltre a quelle già realizzate: l’avrebbe potuto fare l’allora assessore De Cesaris nel 2015, la quale – dimenticandosi di essere stata l’avvocato dei cittadini dei palazzi oscurati che avevano fatto ricorso contro le Tre Torri – , ma convintasi fulmineamente della emblematica bontà dell’intervento lo prorogò tal quale sino al 2023; ora il giochetto lo ripete Maran con la proroga tal quale sino al 2028!

E’ ridicolo che Maran sostenga con enfasi trionfalistica che la fantasmagorica Porta di Luce sia preferibile ad un altro edificio alto: comunque la si voglia giudicare, la nuova edificazione aggrava i problemi di carenze strutturali di spazi pubblici, è vero ereditate dalla Giunta Albertini/Lupi precedenti, ma accolte, avallate e fatte ultimare senza modifiche sia da quella Pisapia/De Cesaris, sia dall’attuale Sala/Maran.

Torniamo brevemente a Fondazione Fiera: pagato il debito di 250 milioni, coi 250 rimanenti essa cominciò ad acquistare terreni agricoli intorno a Nuova Fiera, coi quali entrò poi nella vicenda Expo-Arexpo-dopo Expo, uscendone poi lautamente indennizzata quando constatò che le ipotesi di uso residenziale da parte di cooperative amiche (solo così si spiega la cooptazione in CdA di Fiera anche un rappresentante di Coopedilizia, giusto per imbonirsi la sinistra) era tramontato. Le altre aree coinvolte in Expo furono quelle di proprietà dei Cabassi, i quali le avrebbero volentieri messe a disposizione dell’evento pur di rimanere in gioco nella gestione della loro destinazione finale nel dopo Expo, ma ai quali i protagonisti politici dell’evento fecero capire chiaramente che non ce li volevano, offrendo loro solo l’alternativa fra la cessione volontaria o l’esproprio per pubblica utilità.

Tenetelo bene a mente se si vuol capire la recente loro riluttanza ad entrare fra gli aspiranti acquirenti all’asta dell’ex Macello Comunale: hanno capito di non essere tra i beniamini della classe politica milanese e che se si infilassero in un affare mal congegnato non ci sarebbe nessuno a venire in loro soccorso – come accaduto con altri – e, quindi, forse preferiscono continuare a tenersene lontani.

Accennerò solo di sfuggita alla vicenda dell’ex Centro Direzionale, ora Porta Nuova Project, trampolino di lancio dell’astro nascente dell’attuale “dominus” dell’urbanistica milanese Manfredi Catella, che si è via via appoggiato alle risorse finanziarie di fondi pensione americani (Hines) o fondi sovrani arabi (Qatar), per poi proseguire in proprio con COIMA.

La storia delle previsioni di utilizzo di quelle aree, che erano state lasciate libere dall’arretramento delle stazioni ferroviarie di testa di FS Porta Garibaldi e delle Varesine parte dall’immediato dopoguerra e rimane a lungo inconclusa tra varie divergenti ipotesi di configurazione urbanistica: chi abbia la voglia e la pazienza di ripercorrerla può leggerla alle pagine 101-121 del mio libro La Strada Lombarda, Gangemi, 2010, con ipotesi progettuali mie per le ex Varesine che dimostrano che i 250.000 metri cubi di edificazione – ottenuti dall’immobiliarista De Mico per sentenza di causa civile a indennizzo delle case per ferrovieri da lui costruite nell’hinterland – non per forza dovessero corrispondere a 80.000 mq di superficie utile, realizzabile inevitabilmente solo con edifici a torre alta – come poi avvenuto con Diamantone, Solaria, Siringa -, ma fossero possibili tipologie a volume compatto come il Markthal di Rotterdam o i nuovi uffici delle Finanze francesi a Bercy e il progetto Parco Possibile di Jacopo Muzio e Pierfrancesco Sacerdoti, dimostrativo di un diverso e più ordinato esito con la collocazione degli edifici a torre secondo un orientamento a cardo e decumano attorno ad un’area a verde compatta.

Vi si dimostra, dunque, come fosse possibile un diverso e miglior esito, così da tacitare le voci di coloro che dicono che ciò che si è lasciato fare all’arbitrio del privato è pur sempre meglio del precedente pluridecennale abbandono di quelle lande desolate.

Sta di fatto che la svolta conclusiva avviene con la Giunta Moratti/Masseroli che concede alla società Hines-Catella, divenuta proprietaria dell’intera zona grazie anche all’acquisto di 100.000 mq già di proprietà pubblica del Comune (non si sa a che prezzo, ma così è certo per affermazione del dirigente urbanistico del Comune Tancredi alla presentazione del progetto presso il Centro Congressi Unicredit, cioè quello che nelle previsioni iniziali avrebbe dovuto essere il Palazzo della Moda o una nuova grande Sala Civica per iniziative pubbliche di massa) un indice edificatorio di 1,20 mq/mq, addirittura superiore a quello di CityLife, con la fondata motivazione di Masseroli che “mi piacciono le cifre tonde” (honni soit qui mal y pense !) e con cui nuovamente non si possono realizzare tutti gli spazi pubblici minimi obbligatori per legge, i quali quindi vengono anche in questo caso in gran parte “monetizzati” pagando al Comune (che però gli ha venduto aree a uso edificatorio a prezzo di mercato tra i 1.000 e i 2.000 €/mq) al costo da saldo liquidatorio di 300 €/mq !

Un Comune che si comporta lui stesso solo da proprietario tutore dei propri interessi fondiario- immobiliari, ma non sa comportarsi da Ente pubblico rigoroso tutore dei suoi compiti di legge nelle previsioni di uso pubblico della città !

E passiamo, quindi, all’Accordo di Programma con FS/Sistemi Urbani per il riuso degli ex scali ferroviari: anche questo ha una lunga vicenda che si trascina dalle Giunte Albertini/Lupi e Moratti/Masseroli con previsioni di indici edificatori altrettanto spropositati, ma per fortuna senza mai giungere a conclusione in quei termini.

Ci prova, invece, la Giunta Pisapia/De Cesaris che porta in Consiglio Comunale una proposta di Accordo di Programma con l’indice edificatorio di 0,65 mq/mq.

Molto bene, mi si dirà: è quasi la metà di quelli su CityLife e Porta Nuova !

Si, ma mentre a CityLife e Porta Nuova più della metà degli spazi pubblici dovuti non si è fatta fare ed è stata monetizzata a prezzo vile, qui si propone di realizzarli effettivamente tutti: con quell’indice solo realizzando edifici molto alti o molto ravvicinati si riesce a farci entrare sia gli spazi pubblici di zona (verde di quartiere, scuole e asili, centri sociali, ecc.) sia il verde ambientale e i grandi servizi urbani (il mitico Fiume Verde, profetizzato e propagandato nelle visionarie elucubrazioni di Stefano Boeri).

Sta di fatto che in Consiglio Comunale la maggioranza tentennò e per un soffio l’Accordo venne respinto; verrà riproposto e fatto approvare più o meno negli stessi termini dalla successiva Giunta Sala/Maran che evidentemente sa governare con mano più ferma l’obbedienza della maggioranza in Consiglio.

Nell’Accordo di Programma giunto ad approvazione si scopre però una grossa novità: l’indice edificatorio medio di 0,65 mq/mq non è uniformemente ripartito tra i vari ex scali (S. Cristoforo, Porta Genova, Farini, Romana, Greco, Lambrate), ma si concentra con un indice 0,80-0,90 ( molto prossimo a quelli di CityLife e Porta Nuova, e quindi con esiti progettuali prevedibilmente molto simili) sugli ex scali Farini e Romana, mentre il verde si concentra quasi totalmente sui 140.000 mq di S. Cristoforo, tra la ferrovia e il Naviglio Pavese.

E siamo alla cronaca degli ultimi due anni e di questi giorni: nel masterplan (strumento sussidiario non previsto per legge, che prevede solo il Piano Attuativo pubblico, e “inventato” invece in questa forma affidataria al privato per accordo consensuale delle parti pubblica e private) le proprietà di Farini, FS-Sistemi Urbani e COIMA-Catella (avendo questa comprato l’area dell’ex Dogana di via Valtellina da loro affidato al gruppo OMA-Kolhaas e presentato in pubblico un anno e mezzo fa prevedono un gruppo di grattacieli più alti di quelli di CityLife e Porta Nuova (si vede bene in un loro studio dei profili a confronto) posti sul bordo a nord-est dell’area e che – come a CityLife – oscureranno in inverno gli adiacenti preesistenti edifici di proprietà altrui, ma in compenso a ridosso dei quali e al centro dell’area lungo la ferrovia è prevista un’area a verde compatto fantasiosamente denominata Limpidarium, che dovrebbe proteggere i grattacieli purificando l’aria dei venti caldo-umidi di sud-ovest: con alberature di quale spropositata altezza è un interrogativo di impossibile previsione. Sequoie padane ?

A ulteriore disdoro della Giunta Sala/Maran, c’è da rilevare che il masterplan indica che la prospettiva futura dell’area al 2030-2050 stia nel destino di Milano di divenire Città Globale in competizione coi paradisi fiscali (sic!: c’è scritto proprio così) e quindi con grattacieli a funzione finanziaria alti da 600-900 metri, proprio come a Doha o Dubai, che però sorgono nel deserto e non nel cuore di una città storica europea. Pur essendo solo una visione futuribile, la Giunta Sala/Maran non ha osato profferire verbo al riguardo, continuando a lodare sperticatamente l’intera impostazione del masterplan privato !

I cittadini delle aree attigue già dall’inizio della procedura avevano presentato ricorso al TAR Lombardia prima e al Consiglio di Stato poi, lamentando inoltre come il Comune non abbia tenuto conto della cosiddetta “popolazione fluttuante” che verrà attratta dall’intervento e che calcoli più accurati in tal senso evidenziano la necessità di altri 140.000 mq di spazi pubblici per adempiere agli obblighi minimi di legge all’ex scalo Farini, visto che mancano altrettanti 100.000 mq di spazi pubblici a Romana, il tutto non sufficientemente compensato nemmeno dai 140.000 mq presuntivamente tutti a verde a S. Cristoforo: il bilancio complessivo dell’Accordo di Programma è comunque negativo per ben 100.000 mq di spazi pubblici, anche a voler prescindere dalla loro corretta ripartizione tra i siti dei vari ex scali.

Il Consiglio di Stato ha disposto una perizia di verifica di queste circostanze (nella quale sono perito di parte per i cittadini ricorrenti) il cui esito è previsto per il prossimo 13 giugno, dopodiché occorrerà attendere la sentenza dei giudici.

Le proprietà dei vari ex scali (FS-Sistemi Urbani e Coima-Catella per Farini; COIMA- Catella, Covivio e Fondazione Prada per Romana; altri assegnatari minori per Greco e Lambrate) sono molto preoccupati del possibile esito di una sentenza che coinvolga il complesso delle aree oggetto dell’Accordo di Programma – ma in ciò, scandalosamente, con l’appoggio dell’Avvocatura Comunale – hanno più volte insinuato ai giudici il dubbio che non tutti i cittadini attigui ai vari scali sono nella medesima lamentata situazione di possibile danno e che perciò non si possa procedere al giudizio o quanto meno che tale giudizio debba riguardare unicamente la situazione dell’ex scalo Farini e non l’intero Accordo di Programma.

Staremo a vedere …; il Comune intanto – anziché attendere serenamente e imparzialmente il verdetto dei giudici – ha imprudentemente sollecitato la nuova proprietà dell’ex scalo Romana a procedere alla selezione privata del masterplan (di nuovo, ripeto, atto non previsto per legge e che in qualche modo appalta ad interessi altrui una proposta che dovrebbe provenire prioritariamente dal Piano Particolareggiato Attuativo d’iniziativa pubblica comunale) per l’ex scalo Romana che è stato assegnato allo Studio Ratti & Co. (tra cui il “mitico” studio Scofidio+Renfro autore della rinaturalizzazione della dismessa Highline newyorkese, proposta che qui vedremo riapparire in forma che mi appare addirittura caricaturale) e presentata enfaticamente nelle scorse settimane dal Sindaco Sala e dall’assessore Maran come una meraviglia perché “realizzerà come promesso il 50% dell’area a verde pubblico”: ora, questa previsione non deriva da alcuna disposizione di normativa urbanistica ed è una falsante immagine di equipartizione mezzadrile: metà al pubblico, metà al privato, è giusto, no ?

Be’, dipende da quanto il pubblico decide di poter fare edificare sul 50% privato nel rispetto delle norme che prescrivono le quantità minime di spazi pubblici per abitante.

Ebbene, il 50% dell’area pubblica – anche facendo realizzare edifici altissimi sul 50% rimanente – non è sufficiente per soddisfare quei parametri, occorrendo mediamente almeno il 65-70 % dell’intera area e anche più, soprattutto con indici edificatori dell’ordine di 0,80 mq/mq come in questo caso (ricordo che a CityLife e Porta Nuova con edificabilità 1,15-1,20 mq/mq sarebbe occorso il 146% dell’intera area, costringendo il Comune ad accettare monetizzazioni forzate).

Sorprendentemente qui non ci sono (probabilmente anche per i vincoli di rispetto aeroportuale del vicino aeroporto di Linate) i grattacieli altissimi già ora previsti nel masterplan di Farini ma su quasi tutto il bordo dell’area una cornice compatta di edifici alti 12-15 piani con pianta a C quadra dal lato lungo rivolto all’esterno dell’area in modo da limitare e allontanare i fronti degli edifici privati dal rumore della linea ferroviaria al centro dell’area, che non viene interrata in galleria, ma solo leggermente ribassata per 95 metri (mentre altri 700 metri restano a raso terra), e cercando di proteggerli ulteriormente collocando nei semicortili interni buona parte del verde presuntivamente presentato come “pubblico”.

Per esaurire i 164.000 mq di pavimento vendili, consenti dall’indice 0,88 mq/mq, edifici a torre più alta (presumibilmente 20-30 piani) sono previsti solo a fianco della proposta torre da 130 metri in piazza Trento (in fianco a dove A2A vuole concentrare tutti gli uffici tecnico-amministrativi milanesi, vendendo tutte le sedi centrali di pregio immobiliare a partire da quella di corso di Porta Vittoria/largo Augusto) e in corrispondenza di piazza Lodi.

L’unica area di verde pubblico compatto (un quadrato di circa 35.000 mq (più o meno come il Parco Ravizza) è posto di fronte al nuovo edificio alto di Fondazione Prada sito nell’area attigua a sud dell’ex scalo e realizzato pochi anni fa su progetto di Rem Kohlhaas nell’ambito della risistemazione museale (privata) di altri edifici industriali dismessi. Nel mezzo dell’area a verde è indicato un nuovo edificio destinato all’estensione delle attività di Fondazione Prada: le malelingue temono che Miuccia Prada voglia farci il Museo di Luna Rossa (il mega aliscafo a vela finalista perdente contro i neozelandesi di Coppa America, col suo albero altissimo, sponsorizzato da Prada e Pirelli).

Lungo tutto l’asse maggiore dell’area in direzione est-ovest i 30 metri per ogni lato, inedificabili in quanto di sicurezza della circolazione ferroviaria, viene proposta una piattaforma cementizia larga 12 metri per parte e traforata dai fusti di alberi piantati nel suolo sottostante, fantasiosamente definito Bosco Sospeso: per quanto possa essere suggestivo camminare vicino al livello delle chiome degli alberi, c’è molto da dubitare sulla vitalità botanica di lungo periodo di questa inedita modalità di installazione.

Sembrerebbe si voglia proporre in riedizione meneghina il successo mediatico internazionale avuto dallo Studio Cofidio+Renfro nella piantumazione della dismessa Highline di New York: insomma se non hai una vera Higline dismessa a disposizione, inventatene una che fa tanto Grande Mela !

Nel complesso, comunque, gli spazi pubblici assommano a solo circa 100.000 mq, superiori di poco ai 93.000 mq pari al 50% dell’area e insufficienti a garantire le quantità minime di legge, per cui servirebbero altri 94.000 mq. dai calcoli del ricorso in atto su ex scalo Farini.

E passiamo agli ancor più recenti esiti del Concorso Reinventing Cities e che riguardano l’ex Macello Comunale in viale Molise/via Lombroso, l’area di piazzale Loreto e quella di FNM a Bovisa.

Sul bando pubblico comunale di vendita dell’ex Macello, che prevede un indice di edificabilità di 0,80 mq/mq (come agli ex scali Farini e Romana e, quindi, sempre troppo alto per potervi realizzare anche sufficienti spazi a parco ambientale), ottenuto trasferendovi qui un parte residua dei diritti edificatori di Cascina Merlata, a causa di un’edificabilità talmente alta da renderli là inutilizzabili anche per edifici residenziali di altezza smisurata.

Gli spazi pubblici minimi richiesti sono il 30 % dell’area, di cui il 20 % a parco permeabile (è inutile ripetere che con percentuali simili non si possono soddisfare gli standard minimi inderogabili per legge in termini di mq/abitante).

La base d’asta è di 73,2 milioni di € (da pagare in un’unica soluzione all’assegnazione e con una fidejussione del 10% a garanzia solo per partecipare alla gara) per ottenere per 90 anni in diritto di superficie la possibilità di edificare 120.000 mq di pavimento vendibile, non molto sviluppabile in altezza per i vincoli aeroportuali di Linate e prevedibili imposizioni della Soprintendenza nel mantenimento di edifici ad architetture di pregio storico.

Si tratta, dunque, di una richiesta economica base di circa 600 €/mq immobiliarmente sviluppabile, pari a 500€/mq di suolo: circa la metà del costo della rendita fondiaria corrente a Milano di circa 800-900 €/mq immobiliarmente sviluppabile, ma sapendo anche che a CityLife e Porta Nuova ne sono stati pagati ben 1.800 €/mq immobiliarmente sviluppabile,pari a 2.000 €/mq di suolo.

In ogni modo, pare che si preparino offerte da Euro Milano Spa (forse con progetto di Mario Cucinella, quello della torre-nido con involucro in grigliatura di legno per COOP a Porta Nuova), da INVESCO, da AXA e dal Fondo Orion, mentre ha fatto un po’ scalpore l’annuncio della renitenza dei Cabassi con Brioschi Immobiliare, forse scottati dalle vicende descritte sopra per le loro aree poi forzosamente cedute ad Arexpo.

Staremo a vedere le soluzioni progettuali proposte, ben sapendo però che i difetti urbanistici strutturali intrinseci non sono risolvibili con voli di fantasie progettuali di archistar.

Sull’assegnazione dell’area di Bovisa dove dovrebbe sorgere la nuova sede amministrativa di Ferrovie Nord Milano per 700 persone (anche qui vendendo poi quella attuale di piazzale Cadorna), pare si preannunci un contenzioso fra la titolare del progetto vincitore, che è Hines-Catella (che ha offerto 17,5 milioni di € per l’area edificabile, ma prevede una sede per FNM del costo di 65 milioni di €, anziché i 18 milioni massimi previsti dal bando, che quindi dovrebbero essere sborsati da FNM o indennizzati con un consistente aumento dell’edificabilità privata) e gli altri proponenti CEETRUS e ARCADIS, che – pur offrendo economicamente meno per l’area – si sono attenuti alle prescrizioni di bando sul costo della nuova sede FNM.

Infine, a piazzale Loreto il progetto vincitore per l’assegnazione della sistemazione del complicatissimo nodo viabilistico, è stato quello presentato col titolo LOC (Loreto Open Community) da parte del gruppo economico CEETRUS NHOOD (facente capo ad AUCHAN) col coordinamento di ARCADIS ITALIA, rappresentata dall’ex assessore della Giunta Moratti, Carlo Masseroli (quello delle “cifre tonde” per Porta Nuova) e apporti progettuali di Metrogramma, Studio Caputo (quello del Diamantone a Porta Nuova), LAND (quello del poco verde di MIND, LENDLEASE, Galeazzi & Co. nell’area del dopo Expo) con un’offerta di 65 milioni di € di opere di intervento, l’uso per 90 anni a funzione commerciale dell’intero mezzanino interrato che copre quasi l’intera sottoarea della piazza e la vendita con raddoppio della volumetria esistente di un edificio comunale sito nella vicina via Porpora.

Al di là della convenienza economica e dell’utilità sociale dello scambio d’uso prospettato tra Comune e assegnatario (su cui è lecito esprimere molte perplessità), c’è da rilevare che il progetto legato al gruppo economico vincitore è caratterizzato da una completa assenza di chiari orientamenti urbani e da un confuso intreccio formale-funzionale, che me lo ha fatto paragonare alla “stracciatella kitsch” di un Gelataio Matto (ogni riferimento al mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie è del tutto voluto !): la scelta forte di attestare l’arrivo di corso Buenos Aires (il punto da cui – come mi ha fatto osservare Luca Beltrami Gadola – guardando verso il centro città per primo si può scorgere d’infilata la Torre Velasca) non è sottolineato da alcun elemento di rilevanza eccezionale, così come la prosecuzione sull’area pedonalizzata dell’asse Baires-Padova che meriterebbe una sorta di piazza allungata su cui collocare eventuali altri elementi di eccezionalità progettuale, come monumenti o fontane (questa ultima prevista in forma e collocazione che ora appaiono del tutto casuali) e conseguentemente nessuna impostazione derivante dalla forma trapezoidale assunta dalla piazza, con le due basi maggiore lungo il fronte Via Monza- via Costa e minore lungo il fronte degli edifici a fianco di Baires.

Da questi punti di vista, il progetto LO-VE (Loreto Verde) dello studio Citterio-Viel (tra i tre miglior classificati) sembra rispondere meglio a queste esigenze di orientamento urbano e comunque più facilmente implementabile in tal senso, ma si aprirebbe la questione se ciò sia possibile richiedendo da parte del Comune di trasferirne l’impostazione nel progetto del progetto del gruppo vincitore o addirittura chiedendo di cambiare gruppo di progettazione (ovviamente liquidando a ciascuno le competenze per il lavoro rispettivamente svolto).

Un’ultima vicenda assai significativa dell’espropriazione di capacità decisionale da parte dell’ente pubblico (anche se un po’ più a margine e defilata rispetto a quelle sin qui descritte) è quella della realizzata nuova sede della Biblioteca del Movimento Operaio della Fondazione Feltrinelli su un’area a un lato degli ex Bastioni di Porta Volta e della intenzione del Comune di realizzarne una simmetrica sul lato opposto del viale realizzazione come Museo della Resistenza: l’origine della decisione nasce da una richiesta di miglior collocazione della benemerita istituzione voluta da Gian Giacomo Feltrinelli su un’area già di proprietà della originaria Feltrinelli Legnami, usata un tempo come deposito legnami e poi per lungo tempo lasciata a verde nei piani urbanistici del dopoguerra.

Come sia andata a finire, con l’edificio realizzato dato in uso per la più gran parte a Google ed altre attività estranee alla Biblioteca della Fondazione, è sotto gli occhi di tutti.

Ma ciò che forse non è noto è come si sia arrivati a scegliere lo studio autore del bizzarro e un po’ spaesante edificio vetrato a Toblerone, che ora il Comune intende raddoppiare in proprio sul lato opposto del viale per il Museo della Resistenza.

So da fonte assolutamente affidabile che la scelta dello Studio svizzero Herzog & de Meuron fu decisa personalmente da Carlo Feltrinelli dopo aver incontrato “casualmente” uno dei due architetti nella hall di un Grand Hotel di Zurigo: ora, è noto l’aneddoto per cui Giò Ponti andasse spesso alla reception dell’aeroporto di Linate chiedendo di essere chiamato all’altoparlante perché il suo nome risuonasse tra la danarosa clientela dei voli aerei, ma in epoca di voli low-cost forse è più produttivo frequentare le hall dei Grand Hotel svizzeri !

A conclusione di questa rassegna di vicende e progetti, si evidenzia chiaramente come il tanto decantato metodo di scelta “miglior offerente economico + progetto privato annesso e integrato” (per quanto si compensino diversamente i due fattori) non sia affatto il metodo migliore, costringendo l’Ente pubblico a legarsi ad un progetto non definito autonomamente in ogni sua parte, col rischio di non poterlo ulteriormente e adeguatamente integrare,modificare o sostituire (il che è ovviamente inaccettabile)

Il metodo migliore sarebbe, infatti, quello del progetto pubblico socialmente condiviso su cui raccogliere la migliore offerta economica per realizzarlo da parte del privato.

Era il metodo previsto dalla Legge Urbanistica originaria del 1942 con PRG+Piano Particolareggiato pubblici, e solo poi con l’ausilio dei privati: altro che i masterplan privati cui assistiamo oggi, che sono la replica in versione 2.0 allargata e finanziarizzata dei piani di lottizzazione privati degli anni ’60-’70, delle cui conseguenze soffrono ancora le nostre città attuali.

Bisogna che l’Ente pubblico sappia svincolarsi dalla “tirannia” che il progetto possa essere “chiavi in mano” solo quello del privato miglior offerente e – se lo ritiene opportuno – riservarsi di poterla modificare, integrare o al limite sostituirla anche con idee di altri gruppi progettuali oppure provenienti da pubblica consultazione.

Altrimenti si finirebbe per cadere nella logica del “brevetto di idee” di stampo industrialista (oggi giustamente messo in discussione in relazione ai vaccini antipandemici) estendendolo impropriamente anche all’uso pubblico di Città Bene Comune: se in qualche punto emergono idee dai progetti di altri – concorrenti o meno che siano – non può essere che l’Ente pubblico non possa farla propria, perché essa “appartiene in esclusiva” a un gruppo legato ad altro privato che gliel’ha commissionata e che l’assetto pubblico della città sia deciso da chi se n’è appropriato il diritto di sceglierlo col più caro prezzo pagato.

Sergio Brenna



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  1. Gianfranco CosmaciniMi mancheranno articoli di tal fatta, peccato. GfC
    26 maggio 2021 • 01:12Rispondi
  2. Annalisa FerrarioSolo una piccola nota sugli indici di PGT applicabili all'area City Life: il PGT indica sì un indice base di 0,35 mq/mq, che appare così inferiore a quello di 1,15 usato per l'ex Fiera, ma allo stesso tempo fa salva la slp esistente (molto più alta, nell'ordine di grandezza dell'1,15). Lo 0,35 è solo uno specchietto per allodole, si applica di fatto solo sulle aree inedificate già destinate a servizi, e non su quelle dismesse, dove vengono fatte salve le volumetrie esistenti. Saluti
    26 maggio 2021 • 07:17Rispondi
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