21 maggio 2021
GIORGIO GOGGI CANDIDATO SINDACO
Le ragioni di una scelta
A Milano è stato fatto un paziente lavoro per riunire tutte le anime disperse del socialismo, sfociato nella costituzione dei “Socialisti di Milano”, al fine di avanzare una proposta elettorale autonoma e unitaria e ribadire i valori della cultura amministrativa che sempre ha sorretto Milano nei momenti più difficili.
Sono da sempre socialista, anche se per un periodo sono stato assessore tecnico nella Giunta Albertini, sempre, però, rivendicando la mia diversa appartenenza politica.
Ora mi è stato chiesto di rappresentare questa lista come candidato sindaco, un onore che mi ha colto alla sprovvista ma che infine ho accettato, perché mi sembra che sia necessario avere voce per denunciare, anche in politica, tutto quanto non va a Milano e che anche Arcipelago da tempo denuncia.
Penso che, dopo tanto tempo, sia arrivato il momento di riaffermare i valori e le idee del socialismo democratico e riformista milanese, perché sono convinto che Milano, soprattutto dopo la pandemia, abbia bisogno dell’apporto socialista per rinascere.
Così come la città è rinata, dopo la Prima guerra mondiale, con il Sindaco Caldara, dopo la Seconda con il Sindaco Greppi e dopo il terrorismo con il Sindaco Tognoli, che “non prometteva la luna” ma ha rimesso in piedi la città.
Una cultura amministrativa che vuole una città giusta, libera, equa per tutti, ma soprattutto capace di guardare alle molte persone in difficoltà.
A noi socialisti, che pure da sempre siamo estranei alle destre, purtroppo non piace nemmeno quella che oggi si definisce sinistra. È troppo lontana da tanta parte di Milano, soprattutto dai quartieri più lontani dal centro.
Inebriata dai grattacieli e dal profluvio degli investimenti immobiliari privati, rivolti ai ceti più abbienti, l’attuale sinistra si dimentica di chi ha bisogno della casa.
Si dimentica della Città Metropolitana che la legge pone sotto il governo del Sindaco di Milano, il quale però l’ha completamente trascurata.
Anzi, oggi il Comune si chiude sempre di più al suo interno, punta ad accrescere la popolazione del capoluogo, elabora continuamente progetti di nuove edificazioni nei punti centrali (ultimo in ordine di tempo Piazzale Loreto), lo chiama “reinventare la città” ma si attua con una gran quantità di nuovi metri cubi.
Inoltre, pone barriere nei confronti della regione urbana milanese, rendendo difficile l’accessibilità ai suoi abitanti che pure tanto hanno contribuito e ancora contribuiscono alla ricchezza di Milano.
E, nel fare ciò, teorizza un’ulteriore divisione all’interno dello stesso territorio urbano, pensando a quartieri che non si rapportano tra loro, dove viene scoraggiata la mobilità e l’uso del complesso della città, indebolendo, così, il senso comunitario e la condivisione.
Una sinistra che non sembra avere alcuna visione di uno sviluppo complessivo della città a favore di tutti i ceti.
Tant’è che nella pandemia non si è nemmeno visto l’operato di colui che per legge è il responsabile della sanità della città, ovvero il Sindaco.
Vogliamo proporre un nuovo progetto per Milano, per uscire dalla pandemia e per le generazioni future.
Milano oggi ha bisogno di una rivoluzione del welfare, che veda un maggior peso del Comune, che può rivendicare il ruolo del Municipio anche nelle politiche della salute.
Bisognerà ricostruire la sanità territoriale che è mancata e il Comune dovrà fare la sua parte.
Milano ha molto bisogno di una nuova stagione dell’Edilizia Residenziale Pubblica. Un nuovo Piano casa anche a livello della Città Metropolitana.
Bisogna abbandonare l’urbanistica classista, che bada ai grattacieli e ai cosiddetti “interventi tattici”. E’ necessaria, invece, una vera strategia complessiva e di lungo periodo.
Serve una nuova rivoluzione della mobilità che allarghi l’accessibilità urbana, metropolitana e regionale. Invece i progetti di metropolitane, che ora sono in corso di costruzione, sono gli stessi del piano del 2006 e del 2010, ma con l’eliminazione di importanti interventi.
Serve una vera rivoluzione ambientale non fatta solo da divieti, ma di un ripensamento delle grandi aree da riqualificare, di aumento del verde, di una protezione dal traffico dei quartieri che non mortifichi l’accessibilità, di una nuova gestione delle acque.
Una nuova stagione di decentramento, con una parte del bilancio comunale conferito direttamente ai municipi.
Infine, ed è un punto fondamentale, noi proporremo al Parlamento una modifica della legge Delrio perché la Città Metropolitana elegga a suffragio universale un suo Sindaco che sia alla pari con il Sindaco di Milano.
In modo che anche la Città Metropolitana possa avere voce e autonomia. Voce e autonomia di cui oggi non dispone. Che gestisca le complessità territoriali che ora sono trascurate e che possa comporre, insieme al Sindaco di Milano, gli inevitabili conflitti tra Milano e la sua Città Metropolitana.
Il buon governo della città si misura nella capacità di identificarsi con tutti i propri cittadini e nello stesso tempo dei cittadini di identificarsi con l’Amministrazione comunale, e questo deve valere anche per la Città Metropolitana.
Aggiungo il mio personale timore che Milano stia ora progettando il proprio declino.
Milano ha sempre prosperato su un fondamentale patto sociale. Anzi, un doppio patto sociale: tra il territorio e tra i ceti(ii).
Milano non ha mai voluto allargare la propria urbanizzazione a macchia d’olio come ha fatto la gran parte delle metropoli. Storicamente, ha frenato la propria crescita(ii) per favorire lo sviluppo di tutti gli insediamenti circostanti collegandoli in un unico sistema economico che garantisce la ricchezza di entrambi: Milano e la sua regione urbana.
Carlo Cattaneo lo aveva già capito e chiamava Milano “nutrice di città” perché molte ne faceva crescere al suo intorno.
I cittadini della regione urbana ora vivono e lavorano nello spazio economico milanese, molti di loro lavorano anche a Milano e hanno il vantaggio di essere indipendenti sul piano amministrativo locale.
Dall’altra parte la ricchezza milanese non aveva mai dimenticato gli ultimi, aveva promosso il più largo sviluppo economico della sua società, avendo realizzato il più efficiente ascensore sociale. Il patto sociale tra i ceti sta anche nell’offrire opportunità e servizi nel modo più largo.
Ci sono esempi famosi.
Alla fine dell’800 il ricco mercante Moisè Loira fondò la Società Umanitaria e la finanziò con un lascito equivalente a oltre 30 milioni di euro di oggi.
Il Sindaco Caldara municipalizzò i tram, istituì scuole per handicappati, l’Azienda consortile di consumo per offrire generi alimentari e combustibile ai bisognosi, per fornire ampia assistenza ai reduci della Prima Guerra, fondò il Comitato Centrale di assistenza per la guerra, (non dimenticò la cultura istituendo l’Ente teatro della Scala), nacque in quel momento il detto “Milan col coeur in man”.
È stato anche il primo a concepire le metropolitane: già allora era consapevole del patto territoriale.
Con Caldara era Paolo Pini, medico che visitava gratuitamente i pazienti poveri, figlio di Gaetano Pini, che istituì il Pio Istituto dei Rachitici.
Anche il successivo sindaco democraticamente eletto, il liberale Mangiagalli, promosse la realizzazione dell’Istituto dei Tumori e dell’Università degli Studi di Milano; quando fu necessario utilizzò le aree comunali per dare alloggio provvisorio ai senza tetto.
Questo è il vero “modello Milano”: patto col territorio e patto tra i ceti.
Io temo che ora, con la tendenza all’isolamento di Milano, il disinteresse per l’area urbana circostante, la mortificazione dell’accessibilità, si stiano violando questi storici patti sociali.
Da qui può iniziare il declino.
Giorgio Goggi
i) Un mio contributo più esteso su questo tema è in corso di pubblicazione.
ii) Concetto chiaramente espresso nella Relazione del PRG del 1950.
6 commenti