11 maggio 2021

GLI INVISIBILI DELLE CASE POPOLARI

I dimenticati che non hanno voce


Da Draghi a Letta il mantra più diffuso è: “Non lasceremo indietro nessuno”. Il tempo del Recovery Fund. Chi nutre un’ultima speranza sono gli abitanti delle case popolari, da troppo tempo gli ultimi. Ma da quando sono diventati gli ultimi? Una volta non lo erano. Oggi sì.

Editoriale

fonte: confcommercio

Quando parlo di case popolari mi riferisco particolarmente a quei quartieri della città nati a partire dalla  legge 31 maggio 1903 che istituì L’Istituto della case popolari, un’istituzione che ebbe lunga vita per trasformarsi più tardi in Istituti Autonomi Case Popolari, enti pubblici non economici con competenze di tipo locale, come successe a Milano che diventò IACPM

Nel 1996 la Lombardia trasformò con una legge regionale gli IACP del territorio in Aziende lombarde per l’edilizia residenziale (Aler), qualificati come enti pubblici di natura economica, con il compito di gestire il patrimonio edilizio secondo un criterio misto, non esclusivamente di tipo pubblico-assistenziale.

L’edilizia popolare fu anche un’attività importante dei Comuni ed particolare del Comune di Milano che ad oggi conta circa 30.000 alloggi mentre l’Aler ne possiede 50.000.

Il primo segnale di abbandono a se stessa dell’edilizia popolare si ebbe nel 2016 con la legge Regionale 16/2016 “Disciplina regionale dei servizi abitativi”, che al Capo II recita” Alienazione e valorizzazione del patrimonio abitativo pubblico.”

Detta in parole povere si pensava, in malafede dico io, che il patrimonio pubblico vendendone una parte riuscisse non solo a mantenere il restante, ma addirittura a costruirne del nuovo. Il ricavo delle vendite avveniva a un prezzo di1.000€ al metro quadro, di molto inferiore a solo nudo puro costo di costruzione del nuovo. Dunque il tracollo.

Ci si voleva disfare per patrimonio pubblico tra spinte privatistiche e il desiderio di guardare altrove?

Cosa era cambiato nella politica del Paese? Assorbita la prima immigrazione di massa dal sud con i suoi lavoratori andati a occupare la periferia e i Comuni della corona, cui avevano in qualche modo provveduto a regolarne l’insediamento gloriose istituzioni come il CIMEP (Consorzio Intercomunale Milanese Edilizia Popolare), oggi in liquidazione, e il PIM che dalle origini ad oggi ha molto cambiato la sua missione, ecco che ora di immigrati lavoratori ora non ne servono più.

Nelle case popolari l’età media si è alzata e molti sono i pensionati, molti gli invalidi, le nuove generazioni arrivate sono costituite prevalentemente da immigrati extracomunitari, un insieme di certo non produttivo o marginale.

L’ideologia dominante è dunque quella della Moratti quando disse: “la Lombardia ha diritto a più vaccini perché è la parte più produttiva del Paese”: o si produce o non si serve più. Le case popolari escono dal radar, i loro abitanti diventano “invisibili”.

Da tempo si mescolano tre problemi: le case popolari, le periferie, le case per chi dal punto di vista del reddito sta nel mezzo e non può accedere alle case popolari ma nemmeno al libero mercato – troppo alto -, quello che oggi si chiama Housing sociale e ne troviamo una sintetica definizione in Wikipedia.

In questa definizione ci sono dentro anche le “case popolari” ma questo, a mio modo di vedere, è un errore perché le case popolari, come le intendo io, sono un mondo a parte che non riguarda solo un fatto edilizio.

Le case popolari sono un mondo di disagio sociale in tutti i suoi aspetti più drammatici tra i quali la componente meramente edilizia non è il solo e nemmeno il più grave.

Per capire meglio basta leggere gli articoli (18) che Franca Caffa ha scritto per noi e in particolare l’ultimo, quello che contiene un appello al Presidente dalla Repubblica: nei suoi articoli c’è tutto il mondo delle case popolari ma anche la disattenzione, gli appelli e il mancato ascolto.

Come si dice ora “per saperne di più”, basta digitare “case popolari” sul nostro pulsante di ricerca e troverete almeno altri 20 articoli che di questo parlano.

Le case popolari a Milano – tra Comune e Aler come ho detto sono circa 70.000 – le dimensioni di una città media di 120.000 abitanti e forse come tale andrebbe considerata

Se pensiamo che anche solo 1/4 (30.000)di queste siano in stato di disagio grave, ci rendiamo conto delle dimensioni del problema.

Non si può negare che il Comune di Milano sia rimasto con le mani in mano: molto ha fatto al di là della famosa “urbanistica tattica”, ma bisogna fare di più, seguire la strada imboccata per il “Quadrilatero del Lorenteggio” con più soldi, più risorse umane per intervenire anche sull’assistenza sociale diretta ai più disagiati.

Nel Piano Nazionale Ripresa e Resilienza mi piacerebbe vedere anche una voce “casa” con un capoverso intitolato “casa popolare” ma non c’è. Del problema se ne parla per accenni tra coesione sociale e riduzione delle disparità, troppo poco.

Vorrei che se ne parlasse nel capitolo delle “infrastrutture”, perché la casa “è” una infrastruttura abilitante, che rende possibile lo sviluppo, come le ferrovie o gli ospedali. Un mio mantra.

Dei fondi destinati a Milano nel Pnrr, quanti il Comune ne destinerà alle case popolari? Capiremo da che parte staranno Giunta e Sindaco.

Luca Beltrami Gadola



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  1. Pietro VismaraNon dimentichiamoci che da circa quarant'anni la politica si occupa di chi "sta nel mezzo", quella fascia cioè che non riesce ad accedere al libero mercato ma non ha neanche i requisiti per accedere alle case popolari: fascia corteggiata, perché porta voti, incarichi, lavori alle cooperative. Dando per scontato che chi ha i requisiti possa invece accedere alla casa popolare: cosa falsa, falsissima, ma dimenticata (forse perché appunto non porta voti, ma problemi - questo è il punto)
    12 maggio 2021 • 15:38Rispondi
  2. Vitaliano SerraIl degrado delle periferie e dei quartieri popolari a MIlano é ormai atavico, sono decenni e decenni che ci si trova di fronte ad un abbandono urbanistico, edilizio manutentivo e sociale che solo in parte si é tentato di mitigare con qualche intervento qua e là di mimesi estetica. Le origini di tale abbandono vanno molto oltre il 2016, e credo di non sbagliare se lo si possa datare almeno al 1997, anno in cui la Regione Lombardia dopo circa 70 anni decise di chiudere gli IACP trasformandoli in Aziende in enti economici con l’obbligo del pareggio di bilancio. Le Aler, sulla base della nuova ideologia neoliberale che voleva il privato più capace ed efficiente del pubblico nella gestione della case popolari. E infatti financo nella terminologia vennero apportate delle modifiche che trasformavano gli assegnatari “utenti casa” in “clienti” di una azienda di servizi. Tale controriforma si accompagnò alla cessazione, più volte annunciata dei flussi di finanziamento GESCAL agli IACP, capaci di sanare l'inevitabilità dei disavanzi di bilancio e, si deve ricordare bene, oggetto di esclusivo versamento dalle buste paga dei lavoratori. Peccato che al necessario superamento dei fondi Gescal nessun governo si degnò di rifinanziare attraverso la fiscalità generale, come il sindacato chiedeva da anni, ma inducendo le regioni a finanziare il pareggio di bilancio ( naturalmente mai ottenuto concretamente ) delle nuove aziende di gestione degli alloggi pubblici attraverso la vendita degli stock edilizi in gestione. Una vera e propria disfatta, sia nei numeri sia soprattutto nelle ricadute sulla qualità dell'abitare per gli inquilini e dei cittadini orbitanti attorno a quei caseggiati popolari. L'inevitabile processo di degrado manutentivo, già in corso da anni, da lì in poi ebbe una accelerazione dovuta alla oggettiva impossibilità per le Aler non solo di avviare con la dovuta continuità e programmazione i progetti di ristrutturazione edilizia, ma anche di svolgere la normale attività di manutenzione ordinaria, quella finanziata da una parte degli introiti provenienti dai canoni di locazione che non a caso di legge regionale in legge regionale cominciarono ad aumentare parallelamente al crescente disagio sociale che quei cittadini cominciavano con maggiore virulenza a sopportare e causati essenzialmente da due fattori, l'aumento delle fasce sociali disoccupate, la riduzione progressiva dei redditi e l'aumento di due fattori rilevanti dovuti ai processi migratori, in gran parte incontrollati e che proprio in quelle periferie e in quei quartieri hanno trovato dimora non sempre regolare. La crescita esponenziale di fenomeni di morosità e di abusivismo spesso gestito da attività illegali di controllo del territorio. In questo quadro desolante le scarse alienazioni di alloggi pubblici hanno inoltre creato ulteriori disagi ai cittadini che si erano premurati di acquistare il proprio alloggio allettati dalle favorevoli condizioni economiche previste dalla normativa regionale. Infatti Aler spesso o per carenza di acquirenti, ma forse ancor più per evitare il rischio di sottostare poi a scelte dei condominiali che avrebbero , se fosse stata in minoranza nelle assemblee di condominio, costretto a dover finanziare una quantità importante di nuove risorse, necessariamente togliendole alle già scarse risorse per gli interventi ordinari. Che infatti languivano e languono in una spirale di disagio e degrado solo episodicamente e magari per intervento esterno posti al centro dell'attenzione mediatica. Buon ultima la visita di Papa Francesco al Quartiere Zama- Salomone a Milano, cui seguirono sprazzi di interessamento mediatico la ripartenza di lavori straordinari in precedenza programmati ma fino ad allora non eseguiti, e poi il solito assordante silenzio su tanti altri realtà popolari a Milano, in Provincia e nella regione che restano in buona parte ancora abbandonati a se stessi. Insomma senza adeguate e corpose risorse finanziarie che mettano i gestori ( Aler o MM fa lo stesso ) nelle condizioni di operare tutti gli interventi manutentivi e strutturali necessarie sia per rispondere con urgenza e continuità ai programmi manutentivi ordinari e a quelli straordinari e urbanistici. Ma non si può rnon vedere come il disagio sociale, la mancanza di lavoro, l'invecchiamento della popolazione, l'insicurezza in cui si trovano a vivere molti cittadini residenti in questi quartieri per la difficoltà, e a volte l'assenza di controllo di legalità in queste periferie, lo spaccio, la microdelinquenza, le occupazioni abusive, rendono queste realtà uana vera e propria polveriera socila, che rischia di esplodere se non troverà risposte adeguate ed urgenti. Una volta, troppi anni fa ormai, gli IACP erano soggetti gestori pubblici che avevano a cuore, e avevano tutte le risorse economiche per farlo, l'inclusione, c'erano non solo progetti urbanistici e edilizi socialmente avanzati, ma c'era anche l'attenzione alla socialit, esistevano persino squadre di assistenti sociali che accoglievano i nuovi assegnatari e davano loro indirizzi e aiuto per un corretto inserimento nel contesto sociale esistente. Certo é ormai troppo il tempo passato e non é facile rimettere sui binari giusti la questione. Ma serve un cambio radicale di paradigma economico, a tutti i livelli, e la casa deve ritornare ad essere, con la salute e il lavoro e la scuola il centro dell'azione politica della città, della regione e del governo nazionale, dello Stato che mobiliti tutte le imponenti risorse finanziarie necessarie. Senza questo cambio di paradigma la condizione di queste periferie e di questi quartieri non potrà che peggiorare.
    12 maggio 2021 • 21:49Rispondi
    • ValerioBuon articolo, serio e approfondito, io gacvio volonrariato in fondo al giambellino che riproduce buona parte delle tue analisi.l'istat dice che ci sono 6 milioni di poveri, oggi forse di più, sono tutti o quasi nelle periferie delle città.in lombardia poi come dici tu con il pateggio di bilancio e la ttadformazione in aziende come la sanità ha dato il colpo finale voluto dalla destra regionale.non se ne esce, i 6 milioni continuetanno ad essere poveri, a occupare quando posdono gli stabili vuoti lastrati, a vivere di lavoretti, di carità ed altro.
      13 giugno 2021 • 10:52
  3. bianca"Il primo segnale di abbandono a se stessa dell’edilizia popolare si ebbe nel 2016 con la legge Regionale 16/2016 “Disciplina regionale dei servizi abitativi”, che al Capo II recita” Alienazione e valorizzazione del patrimonio abitativo pubblico." Questa indicazione contenuta nell'articolo di LBG mi ha di colpo illuminata, facendomi capire quanto questa Legge abbia influito su un quartiere che io conosco bene, perché adiacente alla mia abitazione e molto frequentato in questi anni come insegnante volontaria in una scuola di donne straniere, sul cui destino continuo ad arrovellarmi. Si tratta del quartiere Selinunte o "quadrilatero" di San Siro, grande, storico insediamento popolare degli anni '30/40, da anni lasciato in stato di parziale degrado da parte di Aler, l'azienda regionale pubblica che ne è proprietaria. Su tale stato e anche sulle strategie finanziarie che sotto sotto stanno costruendosi attorno a questo quartiere ( ora molto ben connesso con la città grazie all'arrivo della linea 5 della metropolitana) non intendo soffermarmi, ci sarebbe troppo da dire. Ne accenno solo per esempio di quali guasti una semplice Legge, nel caso la L.R.16 citata, possa causare. Tali sono quelli che questa ha causato nel quartiere San Siro, permettendo una sotterranea continua vendita di alloggi - i migliori - senza che tali vendite configurassero possibili interventi di più generale riqualificazione del quartiere, essendo fatti " a macchia d'olio" e senza una apparente strategia. Ma anzi venendo a costituire nuclei di dominio privato entro un traballante sistema pubblico, creando dinamiche incontrollate e vincoli per la sua gestione delle affittanze, le sue decisioni sulle manutenzioni e i ripristini. E, ancora, favorendo un diffondersi di azioni di scarsa trasparenza, per il fatto che molti degli alloggi acquistati - spesso anche da stranieri non residenti - venivano subaffittati a inquilini non censiti da Aler, che avevano la loro residenza ufficiale altrove : creando così un clima di opacità diffusa che non di rado ha portato a pericolose illegalità.
    13 maggio 2021 • 02:02Rispondi
  4. DanieleIn prima, premetto che non ho titoli e nemmeno informazioni corrette, ma penso che l'apparente opulenza delle zone, fatte di torri di architetture ardite, ancora in crescita, che sono gestite da immobiliaristi, investitori aggressivi e con visioni lungimiranti, mi chiedo come mai i Signori Assessori della Giunta Comunale non propongano a questi pensatori e costruttori di futuro, che i famosi " oneri di urbanizzazione" non siano destinati a quattro aiuole e cinque o sei alberi, ed una asfaltata, asili e scuole, poi destinate ai futuri abitanti di questi dorati nuovi quartieri, ma la ristrutturazione e riassestamento nelle zone degradate, anche se lontane dai cantieri in corso d'opera, che distribuiscano un poco di bellezza dove necessita, e anche la costruzione di nuove case popolari, ed anche magari ospedali e ricoveri per anziani, a loro libera scelta da proposte Comunali. Se così fosse che già esiste questo tipo contributo per il sociale, ho indicato questo per nulla, me ne dispiace e me ne scuso.
    18 maggio 2021 • 18:35Rispondi
  5. ValerioFaccio parte di una associazione in giambellino vicino p.zza tirana.porzione di casa cje verrà abbattuta nel famoso quadrilatero da ristrutturare entro il 2025 con gran parte di soldi europei e un contorno di aggiusyamenti comunali di marciapiedi, alberelli sulla linea del 14.quadrilatero in origine operaio che a partire dagli anni 90 ha visto l'arrivo dell'immigrazione,soprattutto araba ma che ha visto arrivare il mondo rom, sinti che occupano le case vuote da decenni.case vuote che l'aler non ha ristrutturato anche perché il suo buco economico è spaventoso come è spaventoso il disprezzo della giunta regionale per gli ultimi.la richiesta di case è molto alta ma proprio perché parliamo degli ultimi non viene presa in considerazione.
    20 maggio 2021 • 09:35Rispondi
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