30 aprile 2021

UNA “A B C METROPOLITANA MILANESE”?

Blindare l'acqua dalla voracità dei privati


Nella miriade di ricorrenze che costellano questo 2021 (centenari, pluricentenari, cinquantenari e simili, di eventi storici in vari Paesi e di nascite e morti illustri) c’è anche il decennale – a giugno – del referendum italiano sull’acqua pubblica, che è indispensabile utilizzare in tutto il Paese come occasione per riprendere l’impegno, in primo luogo, perché venga approvata la proposta di legge popolare attuativa del referendum vittorioso, votato da 26 milioni di elettori ed elettrici: proposta di legge disattesa da tutti i governi che da allora si sono succeduti.

baroni

Questo impegno è reso fondamentale anche per il contesto internazionale in cui ci troviamo a operare , caratterizzato da un multiforme attacco all’acqua come diritto universale e come bene comune inalienabile: attacco rivolto all’acqua sia come elemento fisico ( le grandi dighe tuttora in costruzione in vari continenti), sia come valore, per cui si vuole trasformare in valore di scambio il valore d’uso di quello che è un elemento senza il quale la vita non potrebbe esistere sul pianeta: la quotazione alla Borsa di Wall Street come se si trattasse di una merce qualunque; le direttive europee che definiscono l’acqua “bene economico”; il rafforzarsi delle multiutility, società che gestiscono una pluralità di servizi puntando sull’ampliamento dell’ambito di intervento per realizzare le cosiddette economie di scala a scopo di profitto, ma avulse dalle varie realtà territoriali in cui operano e dai soggetti sociopolitici che le animano ; le posizioni del governo Draghi che puntano alla sostanziale privatizzazione del servizio idrico.

Pur senza arrivare alle tragiche condizioni africane, prima causa della fuga di tante persone disperate, anche in Italia l’acqua è un bene in parte scarso (abbassamento del livello dei fiumi e aumento della siccità e della desertificazione al Sud, per effetto del riscaldamento del clima del pianeta); in parte colpevolmente sprecato, per le cattive condizioni e le perdite degli impianti di adduzione e distribuzione; e in buona parte inquinato, a causa dell’uso massiccio di prodotti chimici in agricoltura, degli allevamenti animali intensivi, degli scarichi industriali. Da ciò gli ingenti investimenti per la depurazione dell’acqua.

A Milano e dintorni ci è poi offerta un’occasione irripetibile per riproporre e ottenere il riconoscimento dell’acqua come bene comune: il progetto – positivo da ogni possibile punto di vista, anche in quanto valorizza la dimensione metropolitana – di accorpare in un unico soggetto la gestione del servizio idrico integrato del Comune di Milano e degli altri Comuni componenti la Città Metropolitana; gestione attualmente ripartita tra Metropolitana Milanese e Cap Holding, entrambe società per azioni a capitale interamente pubblico.

Le società per azioni, però, in quanto soggetti di diritto privato, anche se inizialmente a capitale interamente pubblico, possono in qualunque momento essere aggredite da quote più o meno ampie di capitale privato e sappiamo per esperienza che, quando un servizio pubblico passa in gestione a privati, questi, per ricavarne un profitto, aumentano le tariffe, guastano la qualità del servizio, sorvolano sulla manutenzione degli impianti e peggiorano le condizioni di lavoro. Esiste la retorica della maggiore efficienza della gestione privata, come se il pubblico fosse per sua natura incapace di garantire efficienza. E come si spiegano allora le oltre 300 città del mondo che hanno ripubblicizzato la gestione del loro servizio idrico? Anche grandi città europee come Berlino, Barcellona, Parigi, Lione, con cui ci viene voglia di confrontare la nostra Milano: tutte desiderose di inefficienza?

Per garantire a tempo indeterminato gestione pubblica, qualità dell’acqua (a Milano l’acqua dell’acquedotto è buona e perfettamente bevibile) e tariffe contenute l’unica possibilità è che il servizio idrico metropolitano sia affidato a un’azienda speciale di diritto pubblico operante in ambito metropolitano. Meglio ancora sperimentando forme di partecipazione da parte del movimento per l’acqua pubblica e della cittadinanza attiva in generale, che non possono attivarsi in dimensioni troppo estese.

Perché allora non chiamare questa azienda A B C Metropolitana Milanese? A B C sta per Acqua Bene Comune: un nome icastico e bellissimo, mutuato dall’omonima azienda di Napoli, il cui servizio idrico era stato ripubblicizzato dal sindaco De Magistris su proposta e pressione dei soggetti sociali e ambientalisti di quella città. Nella Puglia che lottava per la gestione pubblica dell’Acquedotto pugliese c’era un Comitato A B C e dalle nostre parti si chiama A B C Lombardia la rete dei comitati locali che tutelano l’acqua pubblica. A Milano non saremmo i primi/e a usare questo nome, ma meglio così: è bello essere in buona compagnia.

In questa nostra città dai molti aspetti positivi e funzionanti, ma anche dalle marcate disuguaglianze in termini di reddito, condizioni abitative e di salute, si discute talora di un “modello Milano” o se Milano sia un “laboratorio”, accusando il primo concetto di staticità e puntando sul secondo per dare risalto alla ricerca e alla sperimentazione . A me pare questione di lana caprina, in quanto non sta scritto da nessuna parte che un modello non possa essere dinamico ed evolversi nel tempo, così come nulla vieta che ciò che viene sperimentato e prodotto da un laboratorio possa essere replicato e assunto altrove come modello, anche con adattamenti a situazioni locali in qualche modo diverse.

A me pare che dovremmo concentraci sulla sostanza. Una città importante come Milano, intesa come Città Metropolitana Milanese – e non più solo in senso localistico come Comune capoluogo -, dovrebbe porsi come modello all’avanguardia nella gestione interamente ed effettivamente pubblica dei servizi fondamentali: abbandonando ogni ipotesi di trasformazione privatistica dell’Azienda Trasporti Metropolitana, affidando il servizio idrico integrato a un’azienda speciale di diritto pubblico e riportando in gestione diretta da parte dei singoli Comuni – a partire dal capoluogo – le attività e i servizi sociosanitari-culturali in senso lato (dalle farmacie comunali, alle mense scolastiche, agli impianti sportivi, ai centri di promozione culturale e di aggregazione) che negli ultimi decenni sono stati privatizzati ed esternalizzati. Il che ha comportato, tra l’altro, precarizzazione del lavoro e disaffezione diffusa nei confronti della Pubblica Amministrazione e delle forme istituzionali della politica.

A Milano ripartiamo dunque dalla A B C Metropolitana Milanese per invertire la tendenza.

Maria Carla Baroni



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