21 aprile 2021

GIANCARLO DE CARLO, MILANO E LA PARTECIPAZIONE

Un'esperienza che ci riporta ai problemi insoluti di oggi


Quando pensiamo alla gestione dello spazio pubblico e del patrimonio di abitazioni popolari, qui a Milano, viene alla mente il nome dell’architetto e urbanista Giancarlo De Carlo. Chi era e perché il suo lavoro è ancora attuale?

foto_7_De Carlo_Team X Spoleto_1976(Susanne Wettstein)

Giancarlo De Carlo nacque a Genova nel 1919 e visse stabilmente a Milano dal 1937. Stabilmente è un eufemismo perché non stette mai fermo, impegnato com’era in moltissime attività fuori dalla città meneghina: dai cantieri, in primis ad Urbino, dove lavorò per tutta la sua carriera, ma anche ad Ancona, Catania, Genova, Pavia, San Marino, Siena, Terni e Venezia; all’insegnamento universitario, prima a Venezia, poi a Genova; ai workshop internazionali di progettazione ILAUD che per molti anni si tennero – rigorosamente in inglese – a Urbino, poi sempre sotto la sua direzione anche a Siena, San Marino ed, infine, a Venezia; oltreché all’assidua presenza nelle università straniere, soprattutto statunitensi (Yale, MIT, UCLA, Cornell).

Dagli anni Sessanta la geografia del suo lavoro assunse un’estensione sempre più internazionale, come dimostrano, oltre alle attività già citate, anche l’organizzazione di alcuni incontri del Team X (un gruppo di architetti che cercava di ampliare i fondamenti disciplinari invalsi fino ad allora), la partecipazione assidua a concorsi internazionali, l’ottenimento di prestigiosi premi (tra i quali: Abercrombie nel 1967, Wolf nel 1988, Royal Gold Medal nel 1993) e le lauree honoris causae ottenute da molte università sparse in tutto il mondo.

Il suo centro rimase Milano, non tanto nella sua accezione fisica, ma piuttosto come fitto gomitolo di relazioni personali, determinanti per lo sviluppo del suo pensiero e per la realizzazione delle attività e delle architetture più significative di tutta la sua produzione, realizzate altrove.

Anche le occasioni di maturazione professionale furono incredibilmente importanti, si pensi soprattutto alle prime esperienze nello studio di Franco Albini; ma anche alla piccola casa al QT8 esito di un concorso sviluppato assieme a Luisa Castiglioni ed Eugenio Gentili; alle abitazioni collettive a Sesto San Giovanni, alla Comasina e al quartiere di via Feltre; all’insegnamento al Convitto Scuola della Rinascita; all’insegnamento e ai piccoli interventi alla Società Umanitaria. Queste ultime due esperienze citate furono particolarmente importanti perché testimoniano un’“affiliazione”, per lui ben più significativa di quelle istituzionali. Si pensi anche al suo ruolo nell’Msa (Movimento studi per l’architettura), nella redazione di Casabella-Continutà guidata da Ernesto Nathan Rogers, alle mostre che organizza alla Triennale (IX, X e XIV), agli incontri alla Casa della Cultura, alla partecipazione all’Ilses (Istituto lombardo di studi economici e sociali) e alla redazione del secondo schema del Piano Intercomunale Milanese con Alessandro Tutino e Silvano Tintori.

Sempre a Milano, negli anni della resistenza, De Carlo incontrò le persone che probabilmente furono più influenti per la sua formazione umana: Giuseppe Pagano ed Elio Vittorini. Del primo ne sottolineava in più occasioni l’integrità umana (1), del secondo ne rilevava il carattere antiaccademico, la condizione «eteronoma» della sua letteratura e l’idea che questa «dovesse coinvolgersi con le cose del mondo e aprire l’immaginazione e l’orizzonte critico degli esseri umani» (2). Questa frase, che egli usò per descrivere l’opera di Vittorini, potremmo utilizzarla tale e quale anche per illustrare il suo approccio.

Per continuare con le liaison che lo legano al capoluogo lombardo è interessante riportare quanto scrive su Casabella a proposito della Mostra dell’urbanistica alla X Triennale del 1954, elaborata assieme a Ludovico Quaroni e Carlo Doglio:

«Questa è la mostra dell’urbanistica. Non vi porteremo davanti a plastici, disegni, grafici, materiale tecnico. Perché sappiamo che non avreste voglia di guardarli. Sappiamo che ancora una volta pensereste che l’urbanistica è affare nostro, di tecnici. Invece l’urbanistica è soprattutto affare vostro. Con questa mostra proveremo a dirvi che cosa intendiamo noi quando diciamo Urbanistica. Ma cercheremo di farvi pensare a quello che potreste dire voi stessi quando sentirete dire Urbanistica. Vorremo persuadervi che anche questa volta avete grande diritto di portare il contributo della vostra opinione e della vostra azione. Siete voi i protagonisti di tutti i fatti che l’Urbanistica investe con la sua azione» (3).

foto_2(diateca Iuav)

Quello che propose in questa mostra era di aprire l’urbanistica al dialogo con i cittadini, dischiudendola dal suo freddo nocciolo tecnico. Sforzandosi di comunicare le intenzioni che si celano dietro alle aride relazioni – prima della loro definitiva approvazione – per “correggere il tiro”, qualora le opinioni dei diretti interessati – adeguatamente informati – lo rendessero necessario. Le stanze della Triennale accolsero per l’occasione una serie di Wunderkammer dove il pubblico si muoveva tra scenografie di Albe Steiner, sculture di Luciano Miori, fotografie di Giorgio Soavi, dipinti di Mario Tudor ed Ernesto Treccani e tre cortometraggi, sviluppati appositamente dagli organizzatori della mostra, con la collaborazione di Vittorini.

Le intenzioni della mostra confluirono nei progetti che De Carlo elaborò negli anni successivi e si tradussero concretamente solo nel Villaggio Matteotti (1969-1975), un complesso residenziale costruito alla periferia di Terni per i dipendenti delle locali acciaierie.

De Carlo, di comune accordo con Gian Lupo Osti (allora direttore generale della Terni società per l’industria e l’elettricità S.p.A.), cercò fin da subito di individuare quali erano le esigenze dei futuri abitanti per i quali si accingeva a progettare la nuova residenza. Il sociologo Domenico De Masi individuò i servizi del nuovo complesso di abitazioni e, appurata l’impossibilità di assegnare gli alloggi prima della progettazione, elaborò su basi statistiche i possibili utenti. Dopodiché, furono organizzati dieci incontri durante i quali venne intervistato, in totale, un campione rappresentativo di 100 persone, alle quali era stato preventivamente sottoposto un questionario. Secondo il parere di De Carlo, questa prima serie di interviste non portò i risultati sperati perché gli intervistati non avevano una preparazione necessaria ad affrontare il tema; pertanto si ritenne opportuno organizzare una serie di dibattiti allargati, preceduti da una massiccia opera di informazione.

Nel mese di aprile del 1970, venne allestita una mostra in una galleria del centro di Terni, dove furono esposti quattro progetti di complessi abitativi, considerati dei modelli di riferimento per la futura edificazione. I progetti vennero rappresentati su pannelli appesi alle pareti, che accoglievano fotografie e disegni redatti secondo lo stesso codice grafico, semplificato, per veicolare con immediatezza e semplicità le questioni ritenute più importanti: non solo di ordine funzionale e tecnico, ma anche qualitativo. Su tutte le tecniche di rappresentazione adoperate spiccavano gli spaccati assonometrici, scelti perché in grado di comunicare simultaneamente la distribuzione interna ai diversi piani. Inoltre, per agevolare la comparazione tra i casi studio, ciascuna destinazione d’uso venne individuata da un colore.

La comunicazione della mostra avvenne con l’affissione di manifesti e l’invio di depliant illustrativi a casa dei dipendenti. Ad essi era data la possibilità di visitare la mostra prima dei dibattiti, che si svolsero nella medesima galleria dal 27 al 30 aprile del 1970. La visita era guidata da studenti di architettura e iniziava con la proiezione di un documentario sugli esiti della speculazione edilizia nel nostro Paese.

foto_1(diateca Iuav)

I risultati dei dibattiti furono pubblicati sul numero 10 della rivista aziendale delle acciaierie, abbracciando così un auditorio ancora più ampio. Nel frattempo De Carlo mise a punto il progetto architettonico, che prendeva in considerazione i diversi stili di vita emersi durante i colloqui, dotandolo di un’ampia offerta tipologica (furono realizzate ben 15 tipologie principali, che con le relative varianti diventavano 45).

I numerosi problemi che De Carlo fu costretto ad affrontare in cantiere, aggravati dai difficili rapporti con le imprese pubbliche coinvolte (Italstat ed Italedil), lo portarono ad accantonare momentaneamente la partecipazione collettiva, almeno fino all’agosto del 1973, quando vennero pubblicate le graduatorie degli assegnatari. A settembre, sul numero 17 della rivista aziendale, venne pubblicato il progetto definitivo, spiegato in tutte le sue parti, dalla scala urbanistica a quella architettonica. Furono, inoltre, spiegate le possibilità di scelta dei futuri utenti che, in ordine di graduatoria, potevano scegliere posizione, tipologia e in alcuni casi anche la distribuzione interna del loro appartamento. Così informati, nell’ottobre dello stesso anno, gli assegnatari poterono partecipare ad un’altra mostra dove ebbero la possibilità di approfondire il progetto, facendo ricorso a disegni, semplici spiegazioni orali e a modelli scomponibili. Gli utenti, in questo modo, effettuarono consapevolmente la scelta di quella che sarebbe diventata la dimora della loro vita, da comprare a riscatto e ad un prezzo molto vantaggioso.

La metodologia usata da De Carlo a Terni mette in evidenza la sua visione libertaria, protesa a riconoscere come momento fondativo del progetto la visione pluralistica che anima lo sviluppo della città. Lo sforzo, compiuto in questo caso, fu quello di allargare la sua conoscenza sulle esigenze dei futuri utenti, attraverso un dibattito – costruito su un’opera d’informazione – che non riguardava solamente il progetto, ma più in generale la cultura architettonica. De Carlo in quegli anni cercava di definire nuovi strumenti concettuali ed operativi per l’architetto e l’urbanista che consentissero una progettazione più consapevole ed attenta ai reali bisogni dei cittadini. Se da un lato, quest’operazione ebbe il vantaggio di aumentare la qualità abitativa del complesso costruito, dall’altro, ebbe anche la capacità di innescare un processo di identificazione e radicamento degli abitanti, altrimenti difficili da produrre in un nuovo brano di città (4).

I vantaggi sono evidenti e le occasioni per chiudere il cerchio non mancano, dunque: perché non seguire l’esempio anche qui a Milano da dove tutto era partito?

Alberto Franchini

foto_4(Ternin.10a.1940)note:

(1) De Carlo, G. (2000, gennaio 31) Minima personalia. Belfagor 1, v. LV, p. 88.

(2) De Carlo, G. e Bunuga, F. (2014) Conversazioni su architettura e libertà. Milano: Elèuthera, p. 63.

(3) De Carlo, G. (1954) La mostra dell’urbanistica alla Decima Triennale. Casabella-Continuità 203, p. 18. Citato in Mingardi, L. (2018) Sono geloso di questa città. Macerata: Quodlibet, p. 40.

(4) Franchini, A. (2020) Il villaggio Matteotti a Terni. Giancarlo De Carlo e l’abitare collettivo. Roma: L’Erma di Bretschneider.



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema





7 settembre 2021

IL “CATTIVO CARATTERE” DI GINO STRADA

Giuseppe Ucciero



17 maggio 2021

SICUREZZA SUL LAVORO

Francesco Bizzotto









27 aprile 2021

IL “CONSULTELLUM” DELLA GIUNTA DI MILANO

Luca Beltrami Gadola


Ultimi commenti