11 marzo 2021

CONTROCONTEMPORANEA – AUTORITRATTO

Fare gli intelligenti


Manfredi-Controcontemporanea

Fare gli intelligenti.
Io stesso, quando compongo queste «memoires» sono rapito da «un’insensata voglia d’equilibrio» mentale che mi porti ad apparire più appariscente degli altri in prestanza intellettuale. Riferendomi a fatti di modesta tiratura che su i giornali sono più simili a scoregge di mosca piuttosto che a notizie, ricamo dei « calembours » sintattici per poter sguinzagliare la mia modestissima opinione.

Fare gli intelligenti.
Schifare il pensiero uniforme e uniformato.
Ipnotiche acrobazie sinaptiche che non vanno da nessuna parte.
Mi basta dare due lette ai giornali, una manciata di paroloni, confrontare la mia tesi con la sua oppinabile antitesi per fare quello che ne sa a pacchi e avere una visione autoriale del presente.

Voilà, il critico, l’intellettuale, l’artista a contatto con la modernità!
Con i miei interventi allontano gli ignoranti e diverto i borghesi accusando la deriva culturale in cui siamo senza per questo offrire alcuna alternativa. C’è gusto decadente e avanguardista – ovviamente. Impellicciato nei mei costrutti mentali, sbadiglio guardando dal balcone i miei amici che si smenano nelle loro quotidinità. E sento quello che i francesi chiamano «l’appel au vide» (L’appello al vuoto) che mi fa desistere da buttarmi dal terzo piano e mischiarmi con una società distrutta preferendo alla mischia il ragionare distaccato di chi ama lamentarsi delle sue frustrazioni.

Polemizzo e faccio finta di stare sul pezzo.
Come tutti quanti in sostanza; tutti quanti qui stipati nelle liste di Youtube e Spotify. Come tutti quanti qui, tento la mia personalissima corsa all’oro nella landa senza storia di Internet. Racconto i cazzi miei nelle pieghe dei codici CMS; mi faccio la mia copertina con le «palettes» di Photoshop e scelgo un pitch accattivante per il trailer del mio podcast.
Siamo in tanti in questa maratona e -devo dire- diamo precisamente l’idea di un periodo storico delineato a cui qualcuno, tra cinquecento o forse mille anni, darà un nome qualsiasi facendo la figura dell’ennesimo intelligente.

Ma se dovessimo veramente guardarci attorno, cosa potremmo dire (noi che ci viviamo) di questo primo periodo cibernetico?
Certo, sono finiti i momenti in cui qualcuno si apriva un blog per il semplice fatto di raccontarsi. Chi si lancia sul web sa, oggi, che può capitalizzare con la sua persona e il suo brand. Chi vuol diventare influencer sa che ben presto avrà un’equipe per aprire una Start-up e il regime forfettario della partita IVA sarà in men che non si dica insufficiente. I blogger di oggi non sono intellettuali come me, sono perloppiù ragazzini che si vestono da imprenditori commercializzando la loro immagine. Il risultato del prodotto finale che abbiamo è di straordinaria efficacia: persone comuni che si raccontano e parlano a loro simili di cose comuni. Nella scelta dell’argomento, molto spesso superfluo, ci sono valutazioni di mercato più che efficienti: gaming, cucina, lifestyle, moda, economia, sessualità… ognuno trova nella propria nicchia la propria identità.

Noi cervelloni dunque ci scandalizziamo di cotanta mediocrità, siamo infastiditi quando scopriamo che non abbiamo più la possibilità di non vedere quelli che in tempi di pace avremmo definito microbi del sistema. Mentre ragionavamo sul tempo presente con categorie mentali degli anni ’60, abbiamo realizzato che noi illuminati non siamo più ciechi e la luce della conoscenza ci ha fregato mentre ci insultavamo a vicenda. Non è più possibile non vedere l’invasione del Web nelle nostre vite; l’invasione di tutti questi streamer che hanno altri valori e sistemi concettuali e che ci stanno buttando fuori di casa calcolando persino la loro gentilezza nei business-plans.

Poi ci siamo noi, per esempio, i secchioncelli di «Arte svelata», «Fatti di teatro», «Scrittura creativa», «Le sedici candeline», tutti podcast che non possono competere con i demenziali «Me contro te» piuttosto che «Vice», «Gucci Podcast» o «Vogue». Noi non serfiamo sulla vibe, vogliamo diventare virali cercando di far entrare concettoni dell’arte conemporanea in formati che sono nati per altri fini. Ecco, noi avremo bisogno di tempo prima di capire che invece che svilire i contenuti con forme esistenti, sarebbe meglio inventare nuove forme per i nostri contenuti. Noi siamo indietro e non abbiamo una lingua che parli del presente.

Intanto il mondo avanza mentre nuove forme vengono forgiate. Continuiamo a scandalizzarci per un mondo che non ci gusta e a in cui cerchiamo di inserirci accusando i nostri vicini di essere dei cretini ma non offriamo servizi alternativi di qualità.

Ma per chi poi? Ma chi ce l’ha chiesto? Ma se non funzionava negli anni ’90 tra i corridoi del liceo il fatto di parlare di Kandinsky e Schopenhauer e abbiamo tutti preferito fumare dei bong e parlare di figa, ma perché mai ci scandalizziamo oggi? Cosa dovrebbe essere cambiato?
Noi ci indigniamo perché ci piace e ci fa stare bene, poi ci sdegnamo e finalmente gettiamo la spugna con gran dignità. Ci rimettiamo sul divano con il nostro Cointreau e sbuffiamo perché c’abbiamo una moglie coi baffi e un maritino panzotto con le gambe rachitiche.

Gira voce che Fedez voglia intervistare nel suo podcast Silvio Berlusconi (Il Berlusca!) e ci da fastidio; vediamo Favji appena ventenne che col suo Vlog ha un capitale stimato di 3,4 miliardi di visualizzazioni e ci rode il culo; quando scopriamo che Cicciogamer guadagna ci 15mila euro al mese siamo presi una rabbia dislessica. Ma perchè? Cosa ci scandalizziamo di cosa?

Internet è come l’America del 1800 e tutti quanti cerchiamo oro e petrolio perché abbiamo visto qualcuno farlo e riuscire. Se all’inizio poteva essere semplice e spontaneo, adesso per emergere servono idee nuove, radicali ed efficaci. Idee nuove radicali ed efficaci che vengono da altre generazioni, che vengono dal futuro. Un futuro disincantato, onirico e divertito; un futuro dove i costumi si stanno realmente mescolando. Un futuro dove si parla di hotel su Marte e la nuova precarietà ha il nome di Amazon, Deliveroo e Uber. E quindi ci rimaniamo di stucco ogni volta che vediamo modelli e modelle guadagnare cifronissime mentre ci insegnano a tonificare i nostri culetti. Ci dimentichiamo tutte le videocassette degli anni ’80 che si compravano per fare ginnastica? Cos’è cambiato? Le cifre? I canoni estetici? Mi fa innervosire chi fa l’ipocrita.

Mi da fastidio chi applaude a Corrado Formigli, giornalista e conduttore del programma «Piazza Pulita» in onda su La7 mentre intervista il fenomeno del web Wrldstar1727.
Wrldstar1727 è esploso, come molti, durante la prima quarantena esibendo la sua personalità. Nelle sue Room su Twitch pippa cocaina, si fa di steroidi, s’attacca con gli spacciatori di quartiere e gira porno con la sua ragazza che fracassa di mazzate. E’ ovvio che Wrldstar1727, detto «Fratellì» è una deriva del nostro discorso, è quello scoglio dove le nostre riflessioni si infrangono e le nostre categorie cognitive devono essere riviste. Wrldstar è una «cosa» nuova che non pensavamo potesse esistere e guadagnare così tanto. Ma non è facendo la figura dei benpensanti cattocomunisti di mezz’età in prima serata che si affronta il problema, non è invitando lo psicologo X durante l’intervista che si può conoscerlo meglio, non è martoriandolo pubblicamente denunciandone l’assenza di valori che possiamo sviluppare un discorso proficuo. Questi personaggetti del tempo che fu fanno un lavoro triste come la miseria: ci mantengono distanti e divertiti condannando «Fratellì» a mostro per poterci rischierare noi dalla parte del bene e lui dalla parte del male.

Il discorso che oggi si fa su questi fenomeni è un discorso ancora bigotto, goffo e governato da 50enni che fanno i professoroni. Internet è un nuovo mondo e in quanto nuovo mondo è il primo bacino di sbagli, fraintendimenti e allibratori pronti a sfruttare qualsiasi opportunità piuttosto che emergere dalle loro vite di merda.

BelloFigoGu, rapper afro-italiano inascoltabile racconta nei suoi testi che vuole scoparsi le fighe bianche come Matteo Renzi e mangia solo pasta col tonno. Lui ha i suoi motivi per farlo e li spiega, chi lo intervista lo fa come lo farebbe mia nonna e non fa che generare odio in nuove generazioni che non vogliono più avere niente a che fare con i loro padri. Alongi ha raggiunto un livello di popolarità incredibile per il semplice fatto di aver fatto la figura del tossico che gode la Mazda (che è bella da dio!) ad «Un giorno in pretura ». Anche lui, martoriato dal ben pensare comune. Camidituttoedipiù è diventata virale dicendo un’unica frase su Instagram : «Emily, t’a piji en der culo! ».

Allarmi! Scandalo! Morte! Distruzione!

Eppure sputiamo sul piatto dove mangiamo perché Internet non è così inoffensivo e le nostre vite sono sempre più legate a questa nuova modalità di comunicazione. Ogni cosa è digitale: dal sesso allo shopping, dalla finanza al divertimento.

E’ stato stimato che se Internet fosse un settore impatterebbe sull’economia reale dell’8 per cento. Nei paesi del Nord Europa la parte di Internet calcolata nel PIL è attorno al 6 per cento, in Italia del 2,2per cento. E lo sarà sempre di più.

E’ bello avvenutarsi in questa giugla perché sempre di più si stanno dividendo generazioni e la battaglia tra nuovi sistemi concettuali e vecchi tabù che tanto aspettavamo sta avvenendo. E’ ovvio non condividerla al 100 per cento ; è normale schifarne una parte, ma non si può non constatare che qualcosa sta cambiando. Sinceramente chiedersi se stia cambiando in meglio o in peggio piuttosto che affidarsi alle pagine «Noi degli anni ’90» o «Ma che ne sanno i boomers» etc etc… è il discorso più triste che si possa fare sul presente. Anche io, nel mio piccolo, vivo nel mondo reale, eppure faccio un ritratto di me con le parole e con i concetti ; non uso i pennelli, non li rubo ai pittori.Mi dipingo a pensieri immergendomi nel mondo del web che una parte di me abita e più ci sto dentro più capisco che questo nuovo mondo è l’espressione di una ribellione silenziosa che ho sempre sognato e di cui non faccio parte (e paradossalmente non voglio farne parte).

Come me, siamo in tanti a perdersi in un bicchiere d’acqua e a non sapere più che giorno è.

Siamo in tanti a non aver ancora capito la domanda sul nostro futuro.



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