23 febbraio 2021

MILANO SOSPESA: I PROSSIMI CINQUE ANNI

L’inerzia della gestione Sala continuerà?


I due anni di Covid hanno segnato particolarmente Milano, anche perchè la scommessa di Sala basata sul traino di Expo (e sino alla comparsa dell’epidemia sostanzialmente vinta anche se spesso più autocelebrata che altro) era fondata sul far entrare Milano nel ristretto nucleo di città dove stare, il Place to be: in effetti Milano è tornata a crescere attirando giovani, sia per motivi di studio che per motivi di lavoro, e per la prima volta è diventata un’importante meta turistica, al di fuori dello shopping.

Beautiful Panoramic view of Duomo square in Milan with big stree

Immobiliare, ristorazione e accoglienza hanno conosciuto una loro età dell’oro che per le ultime due è poi decisamente declinata con l’affermarsi dell’epidemia, ingigantita dallo smart working che ha pure drasticamente diminuito il flusso giornaliero di lavoratori in città.

In compenso i grandi interventi immobiliari, che hanno evidentemente tempi e ragioni diversi rispetto a quelli contingenti e che hanno informato in modo preponderante la vita politica milanese (basti pensare agli Scali e a S. Siro) si presentano ancora come linea guida dei prossimi cinque anni di Sala, in sostanziale continuità con il primo quinquennio.

Un tratto ulteriore che ha segnato la passata consiliatura è stato l’insistito Milanocentrismo dell’amministrazione, incapace di guardare in modo propositivo alla Città Metropolitana se non per la (benedetta) definizione delle fasce tariffarie del Trasporto Pubblico, sistemazione attesa da molti anni: per il resto un’inerzia di difficile interpretazione, perchè da un punto di vista industriale è evidente che proprio l’area metropolitana rappresenta un bacino di utenza razionale su cui avviare progetti di livello europeo, mentre il ridotto milanese ha dimensioni di paesone provinciale, specie se paragonato con le concorrenti aree a gestione autonoma europee, non solo con le capitali come Londra e Parigi dotate di un loro sistema industriale, ma anche con le concorrenti tedesche (Monaco e la Rhur): non vedere la natura metropolitana di Milano è un apparente mistero senza spiegazione.

In realtà una parziale spiegazione di questo arrocco c’è ed esula dalla ipoteticamente conflittuale varietà di amministrazioni che governano i 134 comuni dell’area milanese: il sistema Milano è un nucleo chiuso retto da equilibri consolidatisi nel tempo che un allargamento, con relativa ridiscussione dei poteri, minerebbe alla radice in assenza palese di una forte direzione politica che lo imponga.

Poichè è evidente a tutti che con la fine dell’era Moratti, sorretta dal legame tra Forza Italia e Formigoni, non è comparso nulla in sostituzione che avesse lo stessa capacità direttiva e decisionale (oltre all’indiscusso primato formigoniano nell’aver occupato militarmente ogni pubblico pertugio come a dieci anni di distanza si può ancora osservare, Comune di Milano compreso) ecco che le armi in mano a Sala si sono ridotte drasticamente a pochi caposaldi, tra i quali il Comune stesso, affidato a Malangone ovvero colui che meglio rappresente la continuità con l’operatività precedente, l’ingombrante presenza di A2a che detta al Comune la sua particolare agenda energetica, peraltro in forte dissonanza con i tempi correnti e con gli orientamenti europei, e la prima della classe ATM, svanito il fronte renziano con FS in opposizione armata al carrozzone leghista delle Nord, in assenza di un partner industriale forte con cui combattere la futura battaglia sul TPL, si è trovata costretta ad inventarsi una soluzione ibrida (il Project di Next) per cercare di dribblare la gara ed evitare di dover discutere gli inevitabili efficientamenti interni che la prolungata pax tramviaria milanese avrebbe reso indispensabili per competere.

Per il resto le Partecipate, ovvero la principale arma di guerra nelle mani del Comune per l’avvio di politiche industriali attive sul territorio, restano attivamente rintanate entro i confini cittadini, compresa la stessa MM che pur nell’attuale processo di confluenza del Servizio Idrico Integrato in unico gestore con CAP avrebbe tutto da guadagnare proprio in prospettiva metropolitana, se riuscisse a conservare la sua storica capacità di Società di Progetto, mentre pare invece più modestamente destinata al nuovo ruolo di Ufficio Manutenzioni Cittadine.

A complicare le cose (o a semplificarle, a seconda dei punti di vista) vi è l’evidente assenza di una campagna elettorale antagonista, che porti all’attenzione dei votanti temi diversi da quelli attuali: probabilmente il volume notevole di edificazione previsto con una Giunta ben predisposta ad accettarne le regole (il PGT salvo qualche piccolo tocco di colore e qualche velleità moralizzatrice, si riduce a ben poca cosa al cospetto sia degli Scali che di S.Siro) toglie sponsor di peso all’opposizione visto che il tifo è tutto per gli amministratori attuali, mentre le possibili opzioni industriali ancora sul tappeto e non sposate dall’amministrazione Sala (la ridefinizione del sistema dei trasporti, la questione energetica alla luce delle emergenze ecologiche, la gestione dei rifiuti, l’unificazione del servizio idrico, l’integrazione amministrativa dell’area metropolitana, il riordino dell’assistenza a fronte del disastro annunciato della Sanità Regionale, lo storico problema della riqualificazione delle Periferie con l’evidenza del treno perduto del 110% sugli immobili comunali e l’inerzia sul Recovery Plan) non paiono appassionare il centro-destra, essendo tutti temi che richiederebbero il centro-sinistra all’opposizione per venire sollevati.

Al momento a decidere se e come il prossimo quinquennio vedrà un cambio di passo oppure si limiterà a concludere l’opera urbanistica iniziata, saranno solo gli equilibri risultanti fra le componenti pro-Sala, oltre ai nomi degli Assessori che verranno: peraltro da qui a settembre il tempo a disposizione potrebbe forse cambiare le carte in tavola, specie se l’effetto Draghi e lo sdoganamento della linea leghista di Giorgetti dovesse far arrivare anche a Milano il vento governista e razionale che ha spazzato via il Governo Conte e le sue velleità, a favore della necessità del Fare, messaggio molto milanese che però a Milano è stato sin qui declinato con un laissez faire al settore privato e una assoluta indolenza di quello pubblico, pur in presenza di una messe di finanziamenti e di opportunità mai viste prima.

I TEMI SOTTOTRACCIA E QUELLI DIMENTICATI

L’abbandonata questione delle Periferie, il mantra della scorsa campagna ed il luogo dove per poco Sala avrebbe potuto perdere le elezioni, segnala in modo drammatico l’incapacità del Comune e del suo braccio operativo MM di affrontare in modo radicale la riqualificazione delle stesse, ridefinendone funzioni e spazi: ciò è evidente dal disinteresse per la sbandierata riconnessione proprio a partire dallo Scalo Romana, dove la linea ferroviaria continuerà a rappresentare la linea di confine cittadina senza che a Ferrovie e appaltatori vengano imposte tali riconnessioni se non dove si incontrano le esigenze di A2a e Prada, ma soprattutto nella mancata riqualificazione energetica degli immobili ERP (1 mld di opere finanziate dal 110%, secondo stime interne) che MM non sarà in grado di avviare se non in piccolissima parte, lasciando i propri inquilini in balia di bollette esorbitanti proprio a causa degli edifici energivori di cui è proprietario il Comune e che concorrono all’inquinamento cittadino.

Similmente la riduzione di AMAT alle sole problematiche sul traffico senza il desiderabile collegamento proprio con la Città Metropolitana, ovvero l’Ente delegato al controllo delle emissioni su scala urbana, per la definizione e la classificazione degli assorbimenti energetici degli altrettanto inquinanti edifici milanesi e quindi la direzione delle politiche per l’abbandono delle energie fossili a favore di quelle rinnovabili, prima fra tutte la risorsa geotermica: qui l’ingombrante presenza del re dei fossili cittadini, ovvero il teleriscaldamento in alta temperatura alimentato per l’85% da fonti non rinnovabili e che per sua natura abbisogna di edifici ad alto consumo, blocca tutte le politiche di efficientamento attivo del Comune, proprio a partire da propri edifici, come sta a dimostrare la vicenda fantozzesca dell’ultimo appalto energia, conclusasi con un discutibilissimo ed antieconomico volemose ben tra multinazionali francesi e apparato tecnico del Comune.

Risulta altresì incredibile proprio a valle di Expo che il carrozzone SOGEMI, vero buco nero contabile fra tutte le Partecipate, e le sue aree dell’Ortomercato non entrino nel dibattitto politico , a dispetto dei molti piani annunciati, partiti e poi abortiti del tutto o in parte per evidente mancanza di visione industriale, vista la centralità del tema alimentare e della qualità delle sue trasformazioni, non fosse altro che la particolare posizione di Milano, la sua antica tradizione contadina e la vicinanza con l’intero sistema dei trasporti e la sua possibile trasformazione in hub, dovrebbero essere di stimolo per riaffermare la nostra centralità europea sul tema alimentare dell’Italia e quella di Milano in particolare.

Vi è poi la questione SEA, da sempre gallina dalle uova d’oro e rimasta per un pelo fra gli asset controllati dal Comune a valle dell’operazione a suo tempo sponsorizzata da Tabacci per ripianare i buchi di bilancio della Moratti trovati da Pisapia: oggi è in difficoltà come tutte le società del settore ma si attende un robusto rilancio dei voli e del traffico complessivo dalla fine della pandemia: però il vecchio modello romano basato sulla rendita di posizione delle attività aeroportuali e quindi su di un agevole monopolio destinato a mantenere intere famiglie di amministratori sonnolenti, oggi deve confrontarsi con un’Europa sempre meno tollerante sulle pratiche distorsive della concorrenza, e pur essendosi già riposizionata con Malpensa 2 e Orio sui target delle compagnie low cost, deve aggiornare il suo modello industriale soprattutto sulla necessità per lo scalo di Malpensa di relazionarsi con le altre modalità di trasporto, sia passeggeri che merci: la saturazione degli hub vicini (Zurigo su tutti) e la crisi di Alitalia incentrata su Fiumicino, avevano fatto balenare di nuovo un futuro per Malpensa ma ora la lenta transizione verso la normalità renderà queste opportunità meno vantaggiose

Infine restano sempre sullo sfondo due grandi battaglie ecologiche legate al ciclo dei rifiuti solidi e liquidi. Paradossalmente il fatto di avere una società efficiente e all’avanguardia come AMSA nella pancia però di una società di diritto privato come A2a, rende impercorribile la strada di una unificazione del servizio di raccolta e trattamento dove la struttura societaria ammissibile potrebbe essere quella consortile che ha consentito a CAP, grazie alla legge sull’acqua, di riunire le n-società municipali esistenti: con un convitato di pietra ingombrante come AMSA/A2a non è immaginabile nulla del genere e quindi la strada razionale di integrare l’intera area metropolitana resta nei desideri generati da una logica industriale razionale.

Al contrario le opportunità contenute nella prossima riunificazione in unica società del Servizio idrico Integrato, destinato oltretutto a ricomprendere pezzi di idraulica metropolitana per lunghi anni dimenticati e offesi come il reticolo minore, o a far fronte al ritorno del livello di falda alle quote storiche, vede schiudersi in questa ridefinizione le due grandi e trascurate prospettive dello sdoppiamento delle linee di adduzione (acque potabili ed acque tecniche) e di quelle reflue (tra acque destinate alla depurazione ed acque che possono venire immediatamente riutilizzate).

Due prospettive che la Legge sull’acqua pubblica sposa da sempre garantendone il finanziamento, sempre in regime di pubblicità: se per la divisione dei reflui il vantaggio più immediato si tradurrà in un risparmio sui costi di depurazione (oggi l’area metropolitana depura circa 140 mln di metri cubi in più di quelli che pompa negli acquedotti, il che, in considerazione delle dispersioni delle reti e degli usi che non terminano in fognatura, porta a 200 mln di metri cubi le acque parassite pulite inutilmente depurate) è sull’acqua tecnica che Milano potrebbe giocare la sua scommessa principale grazie al (quasi) infinito potere termico contenuto e che andrebbe a sostituire quasi del tutto la combustione diretta che oggi tra caldaie e teleriscaldamento copre ben l’85% del servizio in caldo dell’area metropolitana.

Su A2a, salvo un cambio deciso della classe politica milanese in senso decisionista sulla scorta di quanto avviene a Roma, non si può certo far conto, perchè Milano in quella compagine da sempre non decide un granchè e preferisce prendere solo ordini: ovviamente sarebbe stato meglio avere la società controllata come alleata nella lotta alle emissioni climalteranti e inquinanti.

Purtroppo l’atavica preferenza per il teleriscaldamento in alta temperatura, residuato sovietico legato alla fatiscente edilizia pubblica milanese intattamente energivora nonostante i proclami dei vari Piani Perifierie, impedisce il passaggio alle fonti energetiche non fossili che pur abbondano nel sottosuolo milanese, sino a giungere alla servile acquiescenza del Comune di Milano nel farsi suffragetta nella richiesta della suddetta società quotata di ben 550 mln di euro del Recovery Plan (di cui 200 mln a fondo perduto) per consentire di recuperare il caldo di Cassano d’Adda prodotto in modo discontinuo dalla inquinante Centrale Termoelettrica a metano, ovvero quelle centrali considerate, proprio perchè inquinanti, solo integrative nella produzione nazionale.

Così tra le opportunità su cui non far conto di sicuro ci mettiamo pure l’Europa, i cui soldi, peraltro anche nostri, vengono sponsorizzati a favore di un’operazione che industrialmente non è mai stata in piedi nemmeno quando gli inverni erano più rigidi, tant’è che dal 2008 A2a non è mai riuscita a metterla in pista.

Queste le potenzialità (e gli ostacoli) presenti sulla carta, certamente l’inerzia degli ultimi cinque anni non è un gran segnale positivo circa il fatto che a Milano si torni a fare industria del proprio territorio invece che venderselo a pezzi, ma da qui ad ottobre molte cose possono cambiare.

Giuseppe Santagostino



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  1. Andrea VitaliNon direi proprio che "il PGT salvo qualche piccolo tocco di colore e qualche velleità moralizzatrice, si riduce a ben poca cosa al cospetto sia degli Scali che di S.Siro": se lo guarda bene, sono state rese edificabili le aree destinate a servizi non attuate (circa 10 milioni di mq, perlopiù inedificate) con indice minimo di 1 mc/mq, raddoppiabile e più facendo edilizia convenzionata, è possibile la trasformazione d'uso di circa 8 milioni di metri quadri di aree produttive senza verificare che ci siano le scuole o gli altri servizi necessari... In confronto gli scali (2 milioni di Mq) e San Siro (nell'ordine del centinaio di migliaia di mq)sono noccioline. Il vero scandalo della Giunta Sala è il PGT, davvero sbagliato e fatto male. Ci credo che il centrodestra non fa opposizione, peggio di così neanche loro potevano fare!
    3 marzo 2021 • 10:36Rispondi
  2. Adriana BerraVoglio rassicurare Giuseppe Santagostino e tutti i suoi lettori che a Milano "una campagna elettorale antagonista (a Sala) che porti all’attenzione dei votanti temi diversi da quelli attuali" ci sarà. Non siate così rassegnati da non accorgervi della nascente coalizione tra Milano in Comune e la lista civica radicata nei comitati e nei gruppi di cittadinanza attiva milanese, candidato sindaco Gabriele Antonio Mariani. A breve leggerete le novità sui media. Oggi siamo ai primi di marzo, le elezioni saranno ad ottobre. Invito tutti coloro che non credono alle promesse di cambiamento di Sala (e alla possibilità che i suoi alleati, Verdi e Milano Unita in primis, possano condizionare le politiche dell'eventuale giunta Sala bis ) a farsi parte attiva a sostegno di questa coalizione antagonista
    4 marzo 2021 • 11:25Rispondi
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