18 gennaio 2021

SALVIAMO I NOSTRI FIGLI

Il Comune e la sua storica funzione educativa


Il Comune di Milano deve ritrovare la sua attività nell’educazione dei giovani. Milano aveva una storica tradizione in questo campo. Perché dimenticarla?

Gli studenti che protestano per andare a scuola, invece di rimanere chiusi in casa davanti al pc, è tra i paradossi più recenti indotti dal Covid 19. Sarebbe già un errore imperdonabile che il Paese non cogliesse la portata dirompente della rivendicazione. Più grave diventerebbe il vulnus se Milano perdesse l’occasione servita calda sul piatto della storia di coniugare tre fattori: le crisi umanitarie, ambientali, socio-economiche di decenni; la “cultura della cura” predicata da papa Francesco perché la pandemia, figlia anche di tante storture e perpetuatrice possibile di ulteriori ingiustizie, si affranchi dalla tentazione d’esser solo medicalizzata; le elezioni di Sindaco e Consiglio Comunale.

garzonio

Si tratta di mettere al centro di questa fase straordinaria un’idea-forte, che potremmo sintetizzare così: per “salvare il pianeta” – perché tale è l’obiettivo generale e ogni scelta piccola o grande, locale o mondiale, ha effetti su tutti – dobbiamo “salvare i figli”. Milano si vanta di anticipare fenomeni nazionali e, tra le Città del Mondo, svolge un ruolo significativo: sarebbe allora il caso che mettesse nell’agenda delle elezioni (in programma in altri Comuni, pensiamo a Roma, Torino, Napoli) i giovani e tutti i cambiamenti di mentalità e di vita necessari in un contesto che non è più quello di prima e che, a dispetto di molte superficialità pubblicistiche e politiche, non tornerà mai più ad essere “come prima”: in nessun modo.

Senza aspettare di ricordarci di loro quando arriveranno alle superiori e poi alla disoccupazione, dobbiamo preoccuparci ben da prima: dagli inizi, da quando i figli sono pensati (o da pensare!), subiscono le prime emozioni nella vita intrauterina, vengono al mondo, sono nutriti, accuditi, cresciuti, introdotti nelle occasioni di socialità, istruzione, formazione. I risvolti un po’ crudeli della storia si incaricano di rendere evidenti i nessi tra i fenomeni, quando prevalgono smemoratezze e rimozioni di fronte alla realtà del corso delle generazioni. Fermiamoci su un paio di immagini.

La prima, da cui siamo partiti: ragazze e ragazzi che vogliono tornare a scuola per stare con compagne, compagni, professori.

La seconda, quella che chi ha figli e nipoti conosce tanto bene da non farci più caso: genitori che a tavola mettono un tablet davanti ai più piccoli perché li intrattenga, così da poter parlare e far le cose loro senza essere disturbati. È la premessa di tutte le successive incontrollate concessioni in termini di strumenti tecnologici resi sempre più indispensabili da una pubblicità invasiva e da una cultura affascinata dai like più che dall’esperienza diretta e dal pensare. Così che contraddizioni e ingestibilità crescono.

Preoccupazioni di adulti (magari più per anagrafe che per maturazione) perché ragazze e ragazzi stanno ore sui social. Boomerang dei giovani che protestano: “ridateci la scuola”; basta con lo scaricare su noi giovani le vostre inadeguatezze d’una società, d’una cultura, d’una politica, d’una finanza che si limitano a escogitare forme (pur necessarie per carità) di ristori economici.

Giovani che magari in maniera maldestra ci rimproverano: imparate a porvi i problemi di come si educano i figli e gli si garantisce il futuro, visto che li avete messi al mondo voi, o ve li trovate qui perché son venuti con badanti, colf, lavoratori regolari o clandestini che fanno i mestieri che a noi non va più di fare, figli di immigrati coi quali a noi andrebbe anche bene di integrarci, siamo giovani, ma non va bene a voi coi vostri modelli culturali; oppure fate finta di non sapere che i figli dei migranti che oggi vi servono sono rimasti nei Paesi d’origine dove crescono con le rimesse dei genitori, ma presto presenteranno un conto salato a un Occidente la cui bussola sembra impazzita. E ben prima che il virus ci mettesse del suo.

La cura dei bambini, il corso delle generazioni, il passaggio di consegne storico e culturale misurano il grado di civiltà e sono sfida vitale. La città è il luogo in cui la transizione del testimone può avvenire, oppure soffocare e morire. Milano lo sa. É divenuta sé stessa perché storicamente s’è fatta carico, ha innovato, ha incarnato una cultura del materno-infantile, della scuola, della formazione professionale.

In un mix unico ha coltivato una vocazione animata dall’iniziativa privata e da quella pubblica, spesso in sinergia tra loro. Senso civico, prossimità, virtù civili, politica son stati pilastri e muri maestri della casa comune. Per memoria vale la pena di appuntare solo alcuni nomi: Ferrante Aporti, Montessori, Asilo Mariuccia, Rinnovata Pizzigoni, Parco Trenno, Artigianelli, Salesiani, don Calabria, Feltrinelli, Rizzoli, Mondadori. Per non parlare delle strutture più direttamente dedicate ad assistenza e cura.

Qualcuno è più avanti nella corsa (ricandidatura Sala) e altri scaldano i motori (in realtà hanno assestato un bel colpo con la Moratti in Regione a far da traino al centrodestra in Comune), ma tutti coloro che ambiscono a guidare Milano, uomini, donne, partiti hanno la responsabilità di dire quale è la loro idea sui figli e che cosa intendono fare per i giovani (da 0 a 18 anni). Per rendersi conto della concretezza degli impegni da prendere, ecco tre esempi di quanto si giocherà il futuro prossimo di Milano post pandemia.

Il primo: va pensato un sostegno psicologico e culturale da dare a ragazze e ragazzi per i quali un solo termine dà l’idea dei patimenti di un anno: traumatizzati. Sono ferite dell’anima, dagli effetti imprevedibili, il dentro e fuori dalla scuola, blindati in casa, col rischio di ritiri di tipo autistico a lungo andare, illusi dalla propaganda sul “didattica a distanza è bello”, privi di socializzazioni e scambi personali coi docenti. La fragilità adolescenziale eletta a potenza.

Il secondo: vanno pensate iniziative fin dall’estate che verrà – premessa di successive da inventare coi calendari scolastici da reimpostare – perché la pausa delle vacanze sia un recupero di cultura, umanità, spazi di aggregazione, sport, incontri con le istituzioni (Comune e Zone) che ascoltino: con umiltà e voglia di imparare.

Il terzo: all’avanguardia nella tecnologia e nelle start up Milano non può non pensare a nuovi linguaggi di comunicazione con i giovani e tra i giovani; non basta denunciare i limiti della “dad”; occorre prepararsi ad altre emergenze dovesse venire.

Ovviamente se davvero al centro di noi stessi poniamo i figli e non solo lo skyline della città. E gli interessi che questo si porta dietro. E i costi indiretti sul lungo periodo. Tanto li pagheranno i giovani del futuro, giusto?

Marco Garzonio



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  1. attiliouna osservazione e un suggerimento osservazione : metterei ( da ex-alunno e non solo ) anche i gesuiti ( Leone XIII) tra i 'produttori di Cultura a Milano suggerimento : da anni, oramai in pensione, opero da 'esperto' in diverse scuole per gli orti scolastici. Mi convinco sempre di più che potrebbe essere uno strumento potente non solo per una educazione 'alimentare' ( come viene comunemente inteso ) ma anche come base per una didattica più efficace in tanti campi ( es. : geografia, storia, matematica, ecc.) come in parte attuato in Montessori e Pizzigoni, oltre che naturalistica e di cittadinanza
    20 gennaio 2021 • 22:58Rispondi
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