17 gennaio 2021
DAI NUMERI AI NOMI PER UN ALTRO DECENTRAMENTO
Dare nuova forma alla città a cent'anni dalla “cinta daziaria”
17 gennaio 2021
Dare nuova forma alla città a cent'anni dalla “cinta daziaria”
In attesa di compulsare le 968 pagine del “piano aria e clima” presentato dal Comune, il cittadino comune può scorrere le slides riassuntive ove tra le sfide del piano compaiono lodevoli intenti tesi ad una città vivibile-resiliente-sostenibile-inclusiva-attrattiva, nonché sana-fresca-positiva.
Nella figura intitolata “sinergie” tuttavia compare anche un punto che curiosamente si distingue dalle abusate ed astratte aggettivazioni: “Una città, 88 quartieri da chiamare per nome”, da prendere in considerazione tenuto conto delle recenti dichiarazioni del ricandidato Sindaco a proposito della “città policentrica che garantisca ai cittadini tutti i servizi primari vicino a casa”.
Lecito pertanto supporre che tale intenzione (escludendo che la serietà del proponente la riduca a banale slogan pre-elettorale lanciato a inquiete periferie) sia supportata da un solido retroterra normativo ed amministrativo (*) nonché da un rinnovato interesse per l’identità e peculiarità locale.
Non si tratta evidentemente di riesumare nostalgie superate dai tempi della Milanin Milanon di Emilio De Marchi, bensì – visti i limiti messi in evidenza dalla pandemia del modello standardizzato e globalizzato – di recuperare cultura e socialità nella dimensione fisica, complementare alla colleganza virtuale offerta dall’ampia diffusione della rete e dei media.
Vengono allora al pettine i nodi di un decentramento artificiale, non a caso contrassegnato da un’anonima numerazione che delimita Municipi ridotti a burocratica appendice dell’amministrazione centrale, nonché parodia di partecipazione politica entro fittizi parlamentini in sedicesimo.
Il decentramento delle origini, nato dal basso nel magico quinquennio 1975-80, invero portò alla luce istanze innovatrici. Basti ricordare che alle venti zone istituite dalla prima giunta di sinistra corrisposero, per effetto di una legge regionale opera dell’iniziale virtuosa autonomia, altrettanti CSZ (comitati sanitari di zona) promotori della prevenzione e dell’integrazione socio-sanitaria, mediante SMAL (servizi medicina ambienti di lavoro), Consultori familiari (medico-sociali-legali) e simili servizi territoriali.
La successiva restaurazione ha portato invece alla situazione attuale, non modificata dalle ulteriori “riforme” degli enti locali: da ultimo la legge Delrio del 2014 che con una contorta deroga riservata alle città metropolitane con più di tre milioni di abitanti (ritagliata pertanto sul “rito ambrosiano”, Napoli ha ben altri problemi!) consente a Milano di conservare immutato il proprio assetto una volta cambiati i nomi delle Zone in Municipi e della Provincia in Città metropolitana! Il gattopardo non ha che da leccarsi i baffi!
Qualche speranza può tuttavia rinascere oggi se dal basso, dal legame con gli specifici problemi ambientali e territoriali sorge una spinta comune, una rete di forze sociali e civili capace di fare sintesi, di porre il tema dell’autogoverno locale all’attenzione di una politica pigra e subalterna.
Si avvicina per altro il centenario della “cinta daziaria” che segna tuttora il confine amministrativo cittadino. Istituita con Regio Decreto del 2 settembre 1923 (“aggregazione nel Comune di Milano di 11 comuni contermini”) aveva completato l’annessione territoriale dei Corpi Santi del 1873, che a sua volta – in epoca asburgica – aveva ampliato i limiti delle mura spagnole nonché – a cerchi concentrici – la cerchia dei navigli viscontea.
Tuttavia malgrado l’accelerazione esponenziale che, in quasi un secolo, ha cambiato i connotati economici, sociali e territoriali della città reale, la città legale è rimasta al palo; anzi è addirittura regredita con la frattura dell’area metropolitana ad opera della scissione brianzola.
Oggi, se non si vogliano ignorare le attuali dure prove, è venuto il momento di ripensare la forma della città, sia all’interno che all’esterno di un confine amministrativo obsoleto, superato fin dall’abolizione del dazio comunale del 1973 (la ricorrenza cinquantennale delle date è puramente casuale ma significativa!).
Recuperare i nomi dei quartieri può pertanto costituire un interessante punto di partenza per una trasformazione della città. Un territorio non più anonimo ma individuato e riconoscibile dalle comunità locali fornirebbe la base su cui appoggiare azioni e relazioni, ovviamente estese attraverso l’etere al vasto mondo.
Le persone non sono numeri ma titolari di nomi e cognomi che affondano nelle genealogie, spesso legate ai luoghi (vedi i Brambilla originari dell’omonima valle). Così le località sono depositarie di una stratificazione culturale e linguistica risalente nella storia e persino nella preistoria: ad esempio Lambrate deriverebbe il suo nome da un toponimo di origine celtica significante “guado fangoso” (**). Non è il “nome della rosa” ma è pur sempre un nome, non un numero!
Un nuovo concetto di appartenenza, esteso per gradi dal locale al globale, può dunque rivelarsi la chiave per un rinnovato ordine democratico, distinto dai poteri multinazionali e dalle chiusure sovraniste. Compreso, nel nostro raggio d’interesse, la irrisolta questione della città(dinanza) metropolitana!
Valentino Ballabio
(*) V.B. “Stesso sindaco e diversa Milano?”, 6 dicembre 2021
(**) Tito Livraghi, “Milano nasce celtica”, Meravigli ed. 2020, p.8
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