4 gennaio 2021

VACCINO

Qualche notizia in più. L’Italia dov’è?


Quando si scriverà la storia del Covid -19 potremo capire bene, a futura memoria, cosa non si è fatto e cosa si poteva fare.

Ranci

Eccolo qua il vaccino. Troppo tardi per le vittime che possiamo solo piangere, troppo lentamente per i miei impazienti e fiduciosi coetanei che oramai aspettano la loro fiala per settimana prossima, ma straordinariamente presto rispetto a qualsiasi previsione basata su di una normale conoscenza del mestiere. Come hanno fatto? Non sono un esperto del settore. Ho letto cose interessanti e le riporto in breve.

Uno dei migliori giornali del mondo, il Guardian, reca un testo di Adam Finn professore di pediatria. Dice, innanzitutto, che il risultato non dipende da minori controlli e minor sicurezza. Poi spiega il perché in 10 punti, che lascio a chi vuol leggere (1).

Lui stesso li riassume in 3 parole: pianificazione, scienza e fortuna. Leggendolo, ne aggiungerei una quarta: interesse.

Pianificazione: si sapeva che qualcosa del genere sarebbe arrivato. Nel 2017 era stata creata CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations: chiaro, no?) un’associazione mondiale di diritto norvegese. Università e imprese avevano avviato preparativi. In Cina hanno identificato la sequenza RNA (gemello del DNA) del virus e l’hanno pubblicata nel gennaio 2020, così la ricerca mondiale è scattata anche senza avere in mano il virus.

Scienza (e interesse): naturalmente la ricerca attorno a questo virus non ha confronto con quelle storiche, prima della biologia molecolare e della genetica contemporanea. Ma non solo: nel caso del Covid-19 le normali procedure per definizione, approvazione e finanziamento dei progetti di ricerca sono state radicalmente snellite. È stata una gara a chi fa prima, per l’umanità, la gloria e i soldi: difficile distinguere. L’informatica è stata usata bene, come facevano da tempo le compagnie aeree per vendere posti online fino all’ultimo momento, e come invece non facevano le compagnie farmaceutiche e ancor meno gli organismi pubblici che le controllano, tutti fedeli alla carta con l’idea che così si fanno meno errori. Hanno scoperto che si può velocizzare qualsiasi pratica senza aumentare gli errori, anzi.

I controlli, sia aziendali che pubblici, sono stati fatti intanto che la ricerca avveniva, non cominciando quando era conclusa come si faceva prima. Così al momento della conclusione i controllori potevano ancora approvare o no, ma erano pronti e sapevano già tutto, avevano tutti i dati nei loro computer.

Fortuna: i test riescono meglio quando c’è una popolazione colpita in rapida crescita e si può vedere come i due campioni dei vaccinati e dei non vaccinati affrontano un’ondata di contagio. La seconda ondata da settembre ha fornito ai laboratori, che avevano i vaccini pronti da sperimentare, le condizioni più adatte. Infine, il contagio mondiale ha mobilitato un sacco di volontari pronti a partecipare allo sforzo. Non era mai stato così facile trovarne.

In conclusione, direi che è stata proprio una vicenda innovativa. Le imprese hanno rischiato nell’avviare la produzione prima di avere la certezza dell’approvazione da parte dei controllori pubblici. Se alla fine ci fosse stata una bocciatura, chi aveva già cominciato a produrre avrebbe dovuto buttar via tutto, gli investitori (fondi) che avevano messo soldi nei progetti avrebbero avuto una perdita. (Nel leggere, mi sono domandato se il verdetto possa essere stato forzato dagli interessi: ma non lo credo, in un gioco mondiale in cui le informazioni corrono liberamente non è facile imbrogliare. Per una volta, meglio poca privacy).

Sembra che questa volta l’intreccio tra privato e pubblico abbia funzionato bene, almeno fino alla scoperta. Ora vediamo come va la distribuzione e poi vedremo i bilanci delle imprese farmaceutiche.

Distribuzione. Sappiamo che la Commissione europea è stata attiva e veloce, centralizzando gli acquisti a beneficio di tutti gli stati membri, nonostante gli stati nazionali cerchino di fare il loro interesse (specie se hanno elezioni in vista come la Germania) sia nell’acquisto delle dosi sia nella scelta dei produttori che sono localizzati in parte in uno stato europeo (Sanofi in Francia, Astra-Zeneca in Inghilterra con un lab anche in Italia, Pfizer-BioNTech in Germania).

La Commissione è riuscita finora a ridurre al minimo le spinte nazionali, conferma l’ISPI di Milano. Noterei che anche l’acquisto di dosi per i Laender tedeschi in aggiunta allo stato federale, che ha indignato i giornali italiani, se pure va in porto, riguarda il 2% dell’operazione complessiva.

Il problema più grave riguarda la distribuzione nei paesi più poveri, in Europa e altri continenti,

si impara che la distribuzione non è del tutto soggetta alla forza economica degli stati. In particolare, proprio per la distribuzione dei vaccini ai paesi più poveri, dal 2000 c’è l’organizzazione internazionale GAVI basata in Svizzera. Assieme all’OMS (organizzazione mondiale per la sanità) il citato CEPI e questa GAVI hanno concordato un piano comune per il Covid-19 chiamato COVAX: si spera che Biden rovesci presto la posizione indifferente di Trump.

Bilanci delle imprese farmaceutiche. Di solito i brevetti portano lauti profitti, che vengono giustificati con la necessità di coprire i costi degli insuccessi, dato che la ricerca è un rischio. Spesso le multinazionali hanno usato l’argomento in modo disinvolto. Le popolazioni povere del pianeta hanno sofferto per non poter pagare gli alti prezzi dei farmaci e vaccini. I governi dei paesi più poveri hanno cercato di tenere più bassi i prezzi (e che il costo della ricerca lo paghino i paesi ricchi), sia contrattando sconti sia incoraggiando l’imitazione da parte di imprese locali, da cui lunghi conflitti legali. Questa volta dovrebbe andare meglio: il problema è mondiale e la ricerca è stata finanziata in parte da governi e fondazioni, che avranno avuto garanzie o comunque vorranno influire sui prezzi, assieme alle organizzazioni internazionali.

Che fa l’Italia. Sono andato a vedere il sito di quel CEPI che dal 2017 si preparava. È un’associazione di diritto norvegese; formata da istituzioni pubbliche, imprese e fondi d’investimento, enti filantropici, associazioni di volontariato; con sedi a Oslo, Londra e Washington; con un bilancio di 750 milioni; molto trasparente (CdA, comitato investitori e comitato scientifico con i relativi poteri definiti e tutti i CV dei membri). Ho notato la presenza di governi e autorità sanitarie (da Norvegia, UK, USA, Germania, Giappone, Cina, Ghana, Canada, Australia), grandi fondazioni (Gates), organizzazioni internazionali (OMS) e regionali (in Africa e America Latina), università e associazioni scientifiche (Oxford, Global Virus Network), imprese (Pfizer, Johnson&Johnson, Sanofi Pasteur). Ho frugato il sito, che è pieno di informazioni dettagliate, per cercare qualche persona o cosa italiana. Ho trovato solo due piccole imprese italiane che partecipano ai consorzi per i test. E ho visto che il 28 ottobre 2020 l’Italia ha aderito al CEPI con un contributo di 5 milioni di euro più 5 impegnati per il futuro. Tardi e pochino.

Pippo Ranci

  1. https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/dec/26/ten-reasons-we-got-covid-19-vaccines-so-quickly-without-cutting-corners



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