2 gennaio 2021

PROMEMORIA ELETTORALE

Quanto contano i numeri


Walter Marossi, il vero storico della politica milanese e dei risultati elettorali, li ricorda ai futuri candidati, a chi intende formare una lista, a chi si candida a sindaco.

Quest’anno sarà anno di elezioni e nel mentre i candidati si preparano, vale la pena ricordare alcuni numeri.

Voti

La differenza a favore di Sala al primo turno versus Parisi fu di 5001 voti, di 17238 voti al ballottaggio. Gli altri candidati a sindaco presero complessivamente 94.118 voti, la lista Cappato con 10.081 voti pari allo 1,9% si apparentò al secondo turno con Sala.

Il vantaggio alle regionali di Gori su Fontana (turno unico) è stato di 6.162 voti, Ambrosoli aveva avuto 100.000 voti di vantaggio su Maroni; sia nel 2018 che nel 2013 gli altri candidati alla presidenza della regione avevano preso complessivamente tra i 123.000 e i 128.000 voti.

Il vantaggio di Pisapia al primo turno versus Moratti era di 42457 voti, al ballottaggio di 67.903 voti.

Negli anni il vantaggio del centro sinistra in città si è considerevolmente ridotto.

Contemporaneamente è aumentata l’astensione. Percentuale di votanti al ballottaggio Pisapia 67,4%, ballottaggio Sala 51,8%; primo turno Pisapia 67,7%, primo turno Sala 54,7%. Alle regionali in città votanti 68,4%; alle europee 58,7%.

Alle politiche in tutti i collegi la percentuale dei votanti è stata superiore al 70% con punte di oltre il 75%.

La Moratti che vinse al primo turno fu eletta con una partecipazione di votanti del 67,5%, Albertini nel 2001, anch’esso al primo turno con una percentuale di votanti del’81%.

In valori assoluti tra il 2001 e il 2016 più di 318.000 elettori del sindaco sono passati all’astensione, tra il 2011 e il 2016 123.619.

Nel 2011 60.663 elettori votarono solo i candidati a sindaco e non le liste, nel 2016 33.975.

Alle regionali 78.000 elettori hanno votato il solo candidato a presidente.

Sala è il sindaco meno votato nella storia post bellica della città.

Il gap tra centrodestra e centro sinistra si misura in un numero di voti relativamente ridotto dove l’astensione gioca un ruolo rilevante. Il doppio turno e la proliferazione delle liste ha finora premiato il candidato del centro sinistra.

Liste

Nel 2016 si sono presentate 18 liste, nel 2011 29, nel 2006 34

Nel 2016 8 liste non ebbero eletti (tra queste vale la pena ricordare Fratelli d’Italia che ottenne un 2,4% diventato alle regionali il 3,6% e alle Europee il 5,2%, in valori assoluti passando da 12.153 a 29.618 voti), nel 2011 16 nel 2006 21.

Tra il 2006 e il 2016 23 liste ottennero un numero di voti pari al numero massimo di sottoscrittori necessari per presentare la lista stessa.

Candidati a sindaco

Nel 2016 9, nel 2011 10, nel 2006 10.

Rammento tra coloro che vollero farsi sindaco nella seconda repubblica e che non hanno superato l’1%: Fatato Carlo, Vangeli Pietro, Bontempelli Sergio, Colombo Valerio, Frisali Ugo, Giardoni sante, Montuosi Fabrizio, Sabene Alberto, Ballabio Giorgio, Crespi Ambrogio, Fabbrili Giovanni, Fatato Elisabetta, Facca Cesare, Gazzoli Sergio, Maria Teresa Badiani, Pagliuzza Gabriele, Sarà Ugo, Bucci Giovanni, Schulz Giorgio, De Alberti Carla, Luigi Sant’Ambrogio, Carelli Attilio, Carluccio Stefano, Mantovani Marco, Natale Lazzaretto, Stroppa Claudio, Tordelli Marco, Armand Armani, Occhio Norelli Camilla, Marinoni Antonio, Staiti Codia delle chiuse, Paglierini Giancarlo, Cito Giancarlo, Maiolo Tiziana, Testa Arturo, Bossi Angela. Il record spetta a Vangeli Pietro nel 2006 392 voti, pari allo 0,06%.

Sondaggi

Non servono a nulla. Da ricordare il decano dei sondaggisti italiani, che ai tempi di Pisapia non aveva dubbi: “Secondo Affaritaliani.it, i numeri a sua disposizione dicono chiaramente che Letizia Moratti vincerà. La cifra distintiva di questa fase della campagna elettorale sembrerebbe il “5”. Cinque perché la Moratti ha il 50 per cento di possibilità di passare al primo turno, e il 50 per cento di possibilità di passare al secondo. Pisapia? Non ha chances. La “forchetta”, per Letizia, è tra il 48 e il 51 per cento. Per il candidato del centrosinistra la quota massima si attesta a 5 punti in meno”. Talvolta i sondaggi generano errate convinzioni e portano a sbagliare campagna elettorale, avvenne così per Boeri alle primarie e per Gori alle ultime regionali quando convinto dai sondaggi di avere 6 punti di svantaggio impostò una campagna elettorale che si concluse con 20 punti di differenza (“Mi sento di aver fatto la miglior campagna elettorale, l’abbiamo fatta con grande energia, non farei niente di diverso, sono state dette le cose che era giusto dire” (il giorno 5 marzo)

Assessori

I sindaci Baronetti (1903/1904), Bassano Gabba (1909/1910), Emanuele Greppi (1913/1914), Emilio Caldara (1914/1920), Angelo Filippetti(1920/1922), Virgilio Ferrari (1951/1961), Gino Cassinis (1961/1964), Aldo Aniasi (1967/76), Carlo Tognoli (1976/1986), Paolo Pillitteri (1986/1992), (cioè quasi tutti quelli eletti democraticamente) furono assessori nelle giunte precedenti.

A decine si contano gli assessori divenuti parlamentari.

Dagli anni ’60 oltre che protagonisti della vita amministrativa gli assessori furono anche la spina dorsale dei partiti, tant’è che venne coniato il termine di “Partito degli assessori”.

Toccava a loro infatti mantenere il contatto con l’elettorato organizzato, le categorie, le lobby, le corporazioni, i comitati, i sindacati ed in genere tutte le rappresentanze strutturate; mentre al sindaco ed al partito competeva l’elettorato d’opinione.

Costruire clientele divenne spesso l’altra faccia dell’attività dell’assessore, vi furono così i paladini dei tassisti, quelli degli ambulanti, dei parrucchieri e via dicendo; la preferenza divenne la principale unità di misura del potere politico.

Sala ha già comunicato agli assessori di più lunga data che non li rivorrà in giunta, è una scelta politica non banale. Essendo drasticamente ridotto il numero dei parlamentari gli esclusi non potranno neppure andare a Roma. Sono gli unici licenziati in tronco quando c’è il blocco dei licenziamenti. Elegantemente qualcuno si è già ritirato dalla corsa.

Danè

Le campagne elettorali costano, con la legge 96/2012 sono stati previsti massimi di spesa per la campagna elettorale ed in particolare: nei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti, le spese di ciascun candidato alla carica di sindaco non possono superare l’importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 250.000 e dal prodotto di euro 0,90 per ogni elettore comune; per il consigliere comunale 25000+0,05 per ogni elettore; per le liste 1 euro per ogni elettore comune escluse le spese sostenute dai candidati a sindaco e a consigliere.

Impossibile quindi una campagna come quella di Letizia Moratti nel 2011 che dichiarò una spesa di svariati milioni di euro e il cui marito versò oltre 11 milioni di euro al comitato elettorale (nel 2006 aveva speso 6 milioni).

L’ultima quantificazione sulle spese elettorali è contenuta nel referto del Collegio di controllo sulle spese elettorali della Corte dei Conti per le ultime regionali (4 marzo 1918) da cui a mò di esempio risulta che in Lombardia: UDC ha speso 0 euro; Liberi ed eguali ha speso in tutta la regione 0 euro; il Movimento Cinque Stelle 0 euro; la lista Gori presidente 0 euro: Fratelli d’Italia 0 euro: +Europa 0 euro; la Lega 37000 eur; Lombardia Progressista 44164; il PD153000 euro

Insieme tutti i partiti presentatisi alle elezioni regionali hanno dichiarato di aver speso 641.297,77 euro di cui 282.251,68 la sola lista “civica” del presidente Fontana. 14 liste su 19 hanno spedito in ritardo la documentazione.

La normativa è particolarmente complessa, basti dire che lo stesso collegio impiega una premessa (detto pippone) di 72 pagine per spiegarla e concludere che non serve a molto quindi ve la risparmio. Il collegio dichiara che: “i controlli devono essere limitati alla verifica della conformità alla legge delle spese sostenute e della regolarità della documentazione prodotta a prova delle spese stesse” in pratica il controllo è limitato agli aspetti di legittimità e regolarità documentale, così se non dichiarate nulle non dovete documentare nulla e tutto è in regola.

Se dichiarate le possibilità di sbagliare sono altissime come è capitato alla Lega la cui dichiarazione per le regionali è stata trasmessa: “alla procura della repubblica …per ogni competente valutazione circa la configurabilità della fattispecie di reato prevista e punita dall’art. 7 della legge 2 maggio 1974 n.195”. Di fatto l’unica irregolarità “scoperta” in Lombardia, Lazio e Molise è stata che la Lega si era dimenticata una cartuscella.

Se andiamo a guardare le spese dei candidati cosi come dichiarato sul proprio onore e pubblicato dal consiglio regionale (che lodevolmente pubblica anche a quanto ammonta l’indennità di carica mensile 6327 euro lordi e il rimborso forfettario mensile 4218) appuriamo che: Fontana ha speso 24.500 euro, Altitonante 71000, Gallera 62.000, Comazzi 53.728, Gori 22.400, Pizzul 18.000, De Corato 51.000, Bussolati 58.000, Sardone 49.849.

Per il consiglio comunale vigono altre norme rispetto alle regionali ad esempio: insieme alle liste e alle candidature dev’essere presentato un bilancio preventivo di spesa, da rendersi pubblico mediante affissione all’albo pretorio del comune” e anche “con esclusione dei candidati che spendono meno di euro 2.500 avvalendosi unicamente di denaro proprio, dal giorno successivo a quello di indizione delle elezioni coloro che intendono candidarsi possono raccogliere fondi per il finanziamento della propria campagna elettorale esclusivamente per il tramite di un mandatario elettorale” (fate attenzione al termine temporale).

Anche i controlli sono diversi: non esiste un Collegio presso la Corte dei Conti mentre le sanzioni sono simili, ivi compresa la decadenza dalla carica. Nel complesso le norme comunali sono più semplici.

Tra i candidati a sindaco sappiamo che Parisi ha speso 961.000 euro, Sala 745.368, Rizzo 15.639, Corrado 21.843. Parisi, Rizzo e Corrado depositano anche dichiarazioni di cui al 3° comma dell’art.4 della legge 18/11/1981, n 659 e successive modifiche ed integrazioni relative agli eventuali contributi ricevuti.

Per il consiglio comunale le spese variano dai 243 euro spesi da Lipparini ai 64.000 della Gelmini, nel mezzo troviamo tutti gli altri, cito a caso: Cristina Tajani 15.032, Luigi Amicone 6.100, Barberis 20.500, Bertolè 5.400, Emilia Bossi 62.000, Comazzi 11.200, Del corno 8.600, De pasquale 18.000; Fedrighini 270, Granelli 33.900, Maran 32.900, Marcora 10.000, Morelli 2830, Pontone 442, Pagliuca 11.200, Sardone 30.300, Scavuzzo 6.200, Uguccioni 10.535.

Tra i più risparmiosi Pacente e Patrizia Bedori che hanno speso 0 euro.

Anche i trombati devono dichiarare le spese ma per umana pietà è inutile citarli.

In linea di massima chi ha speso di più ha ottenuto risultati migliori nella competizione interna alle liste sulle preferenze. Complessivamente le cifre rendicontate, relativamente ai candidati, sia per il Comune che per la regione appaiono congrue.

A memoria ricordo che i gettoni di presenza per il consigliere comunale variano fino a un massimo di 25.000 euro lordi annui, l’indennità di funzione dell’assessore arriva a un massimo lordo di 71.000 euro, quella del sindaco a 109.000.

Documentate anche le spese dei candidati ai Municipi: tutti risparmiosi, i più non superano i 100 euro con la sola eccezione di un candidato al Municipio 1 che supera i 3.000 euro.

Preferenze

Le preferenze si contano e non si pesano. Le preferenze sono uno dei metri per quantificare il peso politico tant’è che la prima giunta Sala è stata fatta anche guardando le preferenze: Maran, Granelli, Majorino, Tajani, Del corno, Lipparini, Scavuzzo sono infatti in testa nella classifica delle rispettive liste e presumibilmente lo saranno anche alle prossime se candidati.

La preferenza riguarda non solo il peso locale ma anche quello nazionale tant’è che la recordman delle ultime comunali è la Gelmini a cui serviva una rilegittimazione per il suo ruolo nazionale; anche i leader nazionali di primo livello spesso si candidano in consiglio comunale, formalmente per trainare la lista in realtà, per ribadire il proprio ruolo di leader; il recordman di preferenze nella seconda repubblica è Silvio Berlusconi, mentre nella prima repubblica (escluso i sindaci uscenti ricandidati) è Giovanni Malagodi (ma le preferenze erano multiple).

Non è una novità ma un ritorno al passato, agli anni 80 quando non si muoveva foglia senza compulsare le preferenze. La novità sta nel fatto che allora il sistema dei partiti operava anche con il contrappeso degli iscritti e dei congressi che spesso limitavano il peso dei recordman di preferenze i quali dovevano acconciarsi a fare i gregari seppur di lusso.

Al comune di Milano, fino alla riforma presidenzialista, le preferenze esprimibili erano cinque con 120 combinazioni possibili (non considerando le varie variabili: scrivi nome e cognome, scrivi cognome e nome, scrivi numero e cognome, scrivi …).

Oggi il sistema elettorale prevede la doppia preferenza ma di genere.

L’indice che mette in rapporto i voti di preferenza espressi e quelli esprimibili, ovvero i voti di lista tradizionalmente vede in testa le città del sud (Brindisi con il 92%) ma il nord non è da meno: Belluno 66%, Asti al 73%, Como e La spezia al 60%.

Alle ultime comunali il PD milanese con 145.000 voti esprime 52.832 preferenze, Forza Italia ha all’incirca le stesse performance del PD, su 101.000 voti sono state espresse 35.000 preferenze; la Lega 16.379 preferenze su 59.360. La lista di Rizzo su 17.650 voti esprime 7.468 preferenze.

Alieni alle preferenze solo i 5 stelle che con 52.000 voti hanno espresso 4.438 preferenze, il secondo degli eletti della lista di Grillo ha preso 332 preferenze che gli sarebbero bastate per arrivare tra gli ultimi nella lista PD.

Mediamente il numero di preferenze espresso in città per le regionali è inferiore a quello espresso per le comunali, anche se esistono notevoli eccezioni come nel caso di Silvia Sardone che è passata dalle 2.336 preferenze alle comunali alle 4.882 delle regionali alle 11.880 delle europee (ma in una lista diversa).

La preferenza favorisce le carriere “lunghe”; troviamo cioè neo consiglieri comunali con alle spalle tre mandati in consiglio di zona e consiglieri di zona che arrivano dal consiglio comunale ma anche consiglieri che ci provarono la prima volta nel 1997. La preferenza aumenta il professionismo della politica. La preferenza essendo anche voto d’opinione richiede di essere alimentata e consolidata, come il voto clientelare, quindi necessita di protagonismo, di strutture, di strumenti, di danari quasi tutti a scapito del partito di appartenenza.

La preferenza è senza soluzione di continuità, finite le comunali occorre rattamente prepararsi alle preferenze regionali pena l’ingresso di concorrenti. La preferenza dà vita a un notabilato e ad una nomenclatura che gestisce voti ed opinioni non necessariamente con fini privati ma certamente in modi e forme diverse da quelle dei partiti. Così come crea un mercato del voto. Le liste spesso vengono fatte in funzione delle preferenze non sempre riempendole di portatori di voti ma anche escludendo chi “ha troppe preferenze” e può infastidire; forse si spiega così il fatto che ben 27 candidati di Forza Italia alle ultime comunali hanno preso meno di 100 voti contro 1 solo nelle liste del PD e uno solo nelle liste della stessa Forza Italia la volta precedente (pur considerando la diversa percentuale di voti ottenuta).

La preferenza genera la cordata, così già oggi si negoziano accordi tra aspiranti consiglieri comunali di sesso diverso e aspiranti consiglieri di zona. La preferenza svela i bluff: alle ultime comunali 280 candidati hanno ottenuto tra 1 e 20 preferenze (non cito quelli che non hanno preso neppure una preferenza perché palesemente candidati a scopo riempitivo), come a dire che si proponevano al governo della città non avendo neppure il consenso di un ristretto numero di amici. La preferenza talvolta non aiuta il candidato a sindaco perché il candidato al consiglio comunale concentra i suoi sforzi tra gli elettori già acquisiti allo schieramento e alla lista. Del resto come scrive Francesca Montemagno il sistema elettorale è un vincolo esterno che condiziona lo stile della campagna elettorale del candidato, le sue strategie comunicative, la sua conduzione.

Tempi

La questione del se è meglio partire per primi o attendere l’ultimo momento è annosa.

Io la penso come un antico spin doctor: “per lo ordinario erra più chi delibera presto che chi delibera tardi; ma da riprendere sommamente la tardità ad eseguire, poi che si è fatta la risoluzione”. Certamente annunciare delle decisioni, ad esempio farò una mia lista civica e poi aspettare l’ultimo minuto utile per farla è dannoso, logorare i candidati nella fase di schermaglie per il posto in lista invece che mandarli a cercare consenso esterno è dannoso, non dare certezza ai potenziali alleati di poter presentare una loro lista (ricordo che l’apparentamento è a totale discrezione del candidato a sindaco) è dannoso, tardare il fund raising è dannoso etc etc

Walter Marossi



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  1. Fausto BagnatoUna lucida lezione per organizzare il consenso per la prossima campagna per eleggere il nuovo sindaco di Milano. Cominciare da subito a creare il Comitato Elettorale/Organizzativo.
    6 gennaio 2021 • 12:45Rispondi
  2. Annalisa FerrarioRicordo che dopo le ultime comunali un esponente del PD, a chi gli faceva notare che fra Sala e Pisapia si erano persi 100.000 voti, finiti per lo più nell'astensione, be' lui tranquillamente rispondeva: vuol dire che ci sono tante persone a cui non interessa più chi li governa. Come dire: se ho una pizzeria, e le prenotazioni crollano, be' vorrà dire che la gente non ha più voglia di mangiare. O che forse la tua pizza fa schifo? Meditate, meditate...
    6 gennaio 2021 • 15:40Rispondi
  3. PaoloPer vincere e convincere bisognerebbe avere candidati seri, onesti, intelligenti oltre a programmi chiari e dettagliati....insomma...un lavorone !!
    7 gennaio 2021 • 08:45Rispondi
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