10 dicembre 2020

MILANO E LOMBARDIA: LA CADUTA DI UN DOPPIO MITO

Imprevisto ma inesorabile effetto collaterale del virus


Ballabio chiude il suo pezzo con un quesito: chi ci ascolta? La risposta è semplice: il potere ascolta solo chi gli dà ragione, chi lo asseconda nelle sue iniziative anche se sono frutto della più banale ignoranza. Si ascoltano solo gli amici soprattutto quelli nuovi.

ballabio

Tra le vittime eccellenti della pandemia, giunta alla seconda ondata, sono da compiangere due affermate figure politico-istituzionali abbattute a sorpresa, come simboliche “torri gemelle”, dal virus terrorista. Parliamo del “modello Milano” e della “autonomia differenziata” lombarda.

Il primo, tralasciando gli antichi fasti della “Milano da bere” anni ’80, si può datare con la svolta intervenuta paradossalmente tra due sindaci appartenenti alla stessa area politica. Da Albertini “amministratore di condominio” a Letizia Moratti tenace promotrice di un’ambizione universale: nutrire il pianeta con un grande evento a Rho-Pero.

Da allora, grazie al moltiplicatore di piccoli e medi eventi generati da Expo, il “modello” si è auto-alimentato fino alla vigilia del Carnevale ambrosiano del corrente anno, senza sostanziali soluzioni di continuità attraverso le amministrazioni di Giuliano Pisapia e Beppe Sala, quest’ultimo già DG di donna Letizia e dominus del memorabile Grande Evento del 2015. Si è così affermata la dottrina dell’effimero e dell’immagine come combustibili di uno sviluppo avveniristico ma instabile, in sintonia con le punte emergenti della globalizzazione.

Il motore del ciclo espansivo restava comunque il vecchio “mattone”: paradossalmente, mentre la crisi immobiliare-finanziaria colpiva il resto del paese e buona parte del mondo, Milano recuperava, a scapito del proprio intorno a cominciare dalla periferia, una stupefacente concentrazione di cubature, all’ombra di arditi ed eccentrici grattacieli nati da enigmatici investimenti ed esposti alla movida permanente (magica attrazione alla “oh bej oh bej!).

Ora tuttavia la “dura replica della storia” mette tutti davanti al bivio: proseguire sulla stessa strada, come la ricandidatura di Beppe Sala fa intuitivamente supporre, oppure pensare una nuova svolta come trapela da più stimoli che fermentano in città, di cui Arcipelago si è per altro fatto in buona parte interprete?

A cominciare dalla definizione dell’ambito verso cui pensare ed operare. La seconda ondata del contagio, a differenza della prima che aveva colpito i margini della regione, ha disegnato con buona approssimazione i contorni dell’area metropolitana reale, comprendente a pieno titolo tutta la Brianza e il basso Varesotto, contravvenendo pertanto alla scissione provinciale monzasca e confermando invece la tendenza del Bustocco di aggregarsi a Milano, poi arrestatasi a fronte dell’evidente fallimento della Città Metropolitana ex legge Del Rio.

L’altro “cadavere eccellente” rimasto sul campo è il mito della supremazia lombarda, sino a ieri campione celebrato di efficienza sanitaria e non solo, motivo di rivendicazione di ulteriore autonomia “differenziata” rispetto a quella già assai discutibile derivata dalla modifica costituzionale del 2001, frutto del malcelato compromesso tra la tracotanza della lega di Bossi e la remissività di un centrosinistra provato dalle capitolazioni successive di Prodi e D’Alema.

I poteri “concorrenti”, da condividere con lo Stato, aprirono allora la strada alla lunga stagione formigoniana, fondata sull’aziendalizzazione e privatizzazione del sistema sanitario. Ovvero il rovesciamento dell’assetto istituito con la riforma del 1978, basato sulla continuità prevenzione-cura-riabilitazione ad opera di unità sanitarie territoriali, comprendenti anche la gestione ovviamente pubblica degli ospedali di base.

Gli attuali responsabili Fontana e Gallera non ne sono che i maldestri continuatori. Tuttavia non si è avvertita nei quattro lustri trascorsi una lucida e coerente opposizione, esclusa una timida contestazione ai tempi di Civati, poi risoltasi inspiegabilmente con l’acquiescenza verso costose e inutili operazioni immobiliari-ospedaliere (es. Niguarda, Como e Vimercate, guarda caso oggi tutte dentro l’area di maggior sofferenza della medicina territoriale!).

Come se ne esce? Con che animo e propositi gli amministratori in carica e i responsabili politici e parlamentari possono affrontare le imminenti elezioni comunali nella inedita situazione? Un’occasione è offerta dalle precise proposte sintetizzate da Ugo Targetti il 27 novembre (“Grande Milano e prossime elezioni”) su queste colonne, che meritano adeguata attenzione e risposte.

Come merita interesse e confronto l’elaborazione di un “nuovo progetto di città”, in corso da parte della Rete di comitati della Città Metropolitana che accosta una ventina di associazioni e comitati vigili e attivi. O si ritroveranno la consueta vana promessa di partecipazione ed ascolto (con l’orecchio del mercante)?

Chi intendesse lodevolmente candidarsi o ricandidarsi, e/o le forze politiche di riferimento, è pertanto disponibile ad un dialogo e confronto di merito?

Valentino Ballabio



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