28 novembre 2020

MILANO, DECLINO E AGGRESSIONE AI BENI COMUNI

Quando l’urbanistica ignora il carico ambientale


I mali di Milano vengono da lontano e dalla incapacità di leggere i dati sul carico antropico della città: ha prevalso la “voracità” degli operatori economici in particolare degli immobiliaristi. Il rischio è di restare sempre ultimi tra le città europee capaci di sviluppo.

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In tre precedenti articoli (Un Green Deal ispirato ad un nuovo Bauhaus, Una gestione dei dati rigeneratrice della democrazia, Un nuovo ecosistema pubblico) ho cercato di definire la struttura: a) del prossimo bilancio comunitario (Next generation EU) finalizzato ad innescare un modello innovativo di sviluppo basato su regole biologiche e sullo sfruttamento dell’informazione, che soppianta il modello industrialista basato su regole meccaniche, b) delle misure straordinarie e congiunturali (Recovery Fund) legate alla pandemia e destinate al riassetto del sistema sanitario, al sostegno dell’occupazione e a fronteggiare le emergenze.

L’impianto del bilancio comunitario non è nuovo, infatti è coerente con gli obiettivi ed il percorso dell’Agenda ONU 2030 per la sostenibilità (2015), la cui impostazione è data dalla Conferenza di Rio (1991) che, dieci anni fa, ha originato il Green New Deal dell’UE (Conferenza di Toledo 2010). Senza tanti giri di parole il suo scopo è evitare “la grande estinzione”, causata dal nostro vivere al di sopra dei limiti del pianeta, che sta compromettendo in modo irreversibile i nostri beni comuni.

È dunque molto impegnativo lo sforzo programmatorio che la città metropolitana di Milano deve affrontare, con scadenza a breve, per dimostrare di avere capacità e volontà di operare in coerenza con il” Next generation EU”, partendo da un quadro a dir poco allarmante.

Negli ultimi trent’anni, la metropoli lombarda ha infatti accompagnato il declino nazionale in termini di produttività, coniugandolo con una aggressione violenta ai beni comuni, testimoniata da un carico ambientale fuori misura causato da una politica urbanistica che ignora i requisiti fondamentali del rispetto dell’ambiente, leggibile nel poco invidiabile primato del tasso di cementificazione più alto in Europa negli ultimi sette anni, un record destinato a durare grazie alla programmazione degli interventi sugli ex scali, alla Bovisa, a S. Siro,…, per i quali sarebbe necessaria una compensazione ambientale pari almeno all’intera superficie della provincia di Milano.

Una questione ben colta dalla magistratura che ha richiesto una verifica del rapporto indice edificatorio – superficie verde dello scalo Farini, sulla base della popolazione complessiva attratta dall’insediamento, ossia sulla base del carico ambientale dell’insediamento stesso. Un bell’avvertimento per un’accademia e per i tecnici seduti sulla retorica del bell’edificio sostenibile a servizio della speculazione immobiliare.

A Milano, dopo la caduta del muro di Berlino (1989), è mancata una riflessione sul modello di sviluppo per adagiarsi su un sistema fondato sulle rendite: fondiarie, professionali, accademiche.

Questo perché la città che storicamente aveva cavalcato con tempestività l’ondata di innovazione della seconda rivoluzione industriale, fondata su materia ed energia, non ha saputo inserirsi nella nuova ondata, nata con la quarta rivoluzione industriale, fondata su materia, energia, ed informazione.

Non comprendendo il ruolo propulsivo dell’informazione il sistema è entrato in collasso di produttività e si è rifugiato nelle rendite. È un peccato perché verso la fine degli anni ’80 il progetto “Lombardia cablata” (1987) dotava l’area metropolitana di un sistema neuronale destinato ad innovare profondamente la produzione e distribuzione delle informazioni metropolitane, dieci anni dopo l’Agenda 21 per Milano (1997) dotava la metropoli di un alfabeto collaborativo fondato sulla rivalutazione delle risorse ambientali.

Questi patrimoni nei decenni successivi sono andati distrutti, con grande indifferenza del corpo intellettuale, produttivo e politico. Come ricorda Rifkin ogni rivoluzione è accompagnata dalla creazione di un nuovo alfabeto, se questa simmetria non si realizza la società declina, per deficit di empatia. Così la metropoli lombarda ha subito la pressione dell’innovazione, senza che si generasse un nuovo alfabeto civico; brutalmente, il progresso tecnologico ha dato luogo ad una serie cumulativa di processi recessivi a causa di un deficit di gestione sociale.

E il covid 19 non ha fatto altro che mettere a nudo una serie preoccupante di deficit strutturali della metropoli. L’importante rivista “The Lancet” ci ricorda come la pandemia sia stata ridotta a fenomeno biomedico mentre è un fenomeno complesso di origine sociale.

Abbiamo ridotto la pandemia a una mera malattia infettiva, concentrando gli interventi sul taglio delle linee di trasmissione virale, la “scienza” che guida i governi è composta soprattutto da epidemiologi e specialisti di malattie infettive, che comprensibilmente inquadrano l’attuale emergenza sanitaria in termini di peste secolare. Ma la realtà è più complessa, ci troviamo davanti a un virus ad alta trasmissibilità (il covid 19), cui si devono aggiungere una serie di patologie croniche non trasmissibili (obesità, malattie cardiovascolari, tumori, malattie respiratorie …), in relazione a condizioni ambientali (inquinamento, cambiamento climatico, …) e socio-economiche. Quindi la pandemia è data da un sistema complesso di elementi e non è di conseguenza circoscrivibile al sapere dei virologi o degli epidemiologi e curabile nella box di un ospedale, ma deve essere gestita grazie a un sistema complesso di interazioni la cui origine è sociale. Queste interazioni presuppongono un’alta capacità di raccogliere, manipolare e trasmettere informazioni.

Che questo sia il nodo della questione ce lo ricorda il numero dei morti: le nazioni con alta capacità di gestire il flusso informativo a supporto di un’organizzazione olistica, sia della società che delle cure, registrano un basso numero di morti contro la mortalità esponenziale del vecchio occidente:

Decessi per milione di abitanti al 1.12.2020

Giappone 17 Italia 920

Singapore 5 Spagna 964

Corea del Sud 10 Germania 201

Questi numeri, che vedono la Padania al top della mortalità, spingono ad un radicale e rapido cambiamento nella governance complessiva della metropoli: da un modello incentrato su una articolazione funzionale ad un modello incentrato sulla interconnessione. L’inadeguatezza della nostra governance è questione vecchia di decenni, ricordata da ogni documento europeo, quale elemento di debolezza strutturale dell’Italia ed ignorata con sufficienza da politici di ogni colore e grado, viene ribadita dalle ultime raccomandazioni specifiche dell’UE, che sollecitano un’urgente riforma della pubblica amministrazione, gravata da deficit di competenze e riottosità nella presa di decisioni.

Quindi l’organizzazione degli interventi coerente con il bilancio europeo “Next Generation” deve avere come elemento strutturante una pubblica amministrazione metropolitana rinnovata, tesa alla co-creazione, che agisce come acceleratore di un modello di sviluppo guidato dal “Green Deal”, il cui ruolo primario è stimolare l’intelligenza collettiva per fermare i processi di distruzione dei beni comuni.

Questo implica che gli interventi del “Next generation” siano inquadrati in una “Agenda metropolitana condivisa, finalizzata all’aumento delle capacità delle risorse umane”, i cui principi potrebbero essere:

– il passaggio dalla progettazione guidata dalla finanza, che attualmente caratterizza il “green design”, al “green deal”, un paradigma che valorizza l’equità sociale e approcci rispettosi dell’ambiente rispetto al guadagno finanziario a breve termine. Ciò richiede una governance lontana dal tradizionale modello lineare e dalle politiche degli interventi settorializzate, a favore di una governance sistemica e resiliente, compatibile con la ‘robustezza’ (ossia con le condizioni strutturali) della società, dell’ambiente e dell’economia;

– una governance sistemica particolarmente attenta alla sostenibilità sociale perché gli interventi fisici sostenibili non possono essere efficaci se sono accessibili solo ai settori più ricchi e privilegiati della società. Il primo passo in questa direzione è avviare processi decisionali aperti, che comprendano le diverse voci della società, per attivare processi di più alta equità metropolitana, che rispondano ai bisogni complessi e disparati delle nostre comunità;

– un principio di equità esteso a tutti i viventi, per avviare una politica biocentrica, che consenta una rielaborazione della visione metropolitana inclusiva delle migliaia di specie non umane che attualmente abitano il nostro territorio. Gli ecologisti calcolano che se il 12% della biocapacità della terra fosse assegnato ad altre specie, saremmo in grado di mantenere la resilienza sistemica. Oggi utilizziamo il 175% della biocapacità della Terra ogni anno solo per gli umani;

– un’applicazione del “green deal” europeo che stimoli una governance metropolitana che riconosca la natura complessa e interdipendente degli ecosistemi e riposizioni il ruolo della comunità umana metropolitana e della sua economia al loro interno. I cicli di feedback a cascata del cambiamento climatico sollecitano una transizione rapida verso questo nuovo paradigma sistemico.

Questa impostazione dell’Agenda è importante perché finalizzata a dimostrare la simmetria tra politiche metropolitane e politiche europee, prerequisito fondamentale per accedere ai programmi, altro prerequisito è la capacità di gestire l’intero ciclo del progetto, per cui i fondi saranno erogati in base al raggiungimento degli obiettivi e non in base alla spesa. Questione fondamentale che sembra sfuggire a politici e commentatori, che continuano a parlare di finanziamenti e spesa e non di programmi, la cui importanza è ribadita dalla prof. Gloria Bartoli della LUISS, la quale ricorda come l’efficacia del Piano Marshall sia stata legata alla qualità del programma e alla sua gestione più che dalla dimensione delle erogazioni.

Gli elementi programmatici dell’Agenda sono riconducibili a:

– programma per la transizione digitale (20% della dotazione globale), che dovrebbe integrare il potenziamento delle infrastrutture, reti e programma ‘replica digitale’, con il potenziamento della rete neuronale pubblica metropolitana, al fine di garantire ai cittadini un uso democratico della materia prima dati, da loro generata. Questo per contrastare, o almeno contenere, l’oligopolio in atto delle major della cibernetica. Una questione al primo posto dell’agenda delle democrazie liberali, come ben illustra l’articolo “Come salvare la democrazia dalla tecnologia” della rivista Foreigh Affairs (gennaio/febbraio 2021). Questo programma dovrebbe prevedere azioni importanti destinate al potenziamento delle risorse umane e alla revisione della dimensione spaziale della metropoli. Riguardo alle risorse umane è indispensabile l’educazione alla cibernetica dei funzionari della pubblica amministrazione e dei politici e la riconversione dell’ecosistema dell’istruzione. Riguardo alla dimensione spaziale della metropoli si potrebbe attivare il programma “metropoli ubiqua”, destinato ad esportare le capacità metropolitane oltre i suoi confini fisici, per sviluppare una dimensione collaborativa della metropoli destinata a potenziare le aree svantaggiate del paese, per avviare nuovi processi di prosperità e stabilità;

– programma di transizione ecologica coniugato con la transizione energetica (60% della dotazione globale), destinato a recuperare il ritardo nella rilevazione della qualità degli ecosistemi metropolitani e dei loro livelli energetici, al fine di impostare politiche di rigenerazione destinate a rimediare al degrado, generato dal carico ambientale delle politiche urbanistiche in atto;

– programma di scaling up di innovazione e sviluppo (5% della dotazione globale), destinato a recuperare il ritardo nella riconversione biologica dei settori prioritari della plastica, del tessile, delle costruzioni (quest’ultimo settore può attingere anche alle risorse per la transizione energetica);

  • programma “sanità post-covid” (5% della dotazione globale), destinato all’impostazione di un efficace ecosistema sanitario, che tenga conto dei cambiamenti strutturali imposti dalle nuove tecnologie e da una cultura della cura che integra il “grande container” dell’ospedale con il sistema neuronale delle cure diffuse. In sostanza una rigenerazione della relazione spazio civico

  • salute dei cittadini.

In sintesi l’Agenda di sviluppo del Next generation metropolitano dovrebbe avviare una epocale riconversione e potenziamento delle risorse umane, per rimediare all’assenza di cultura dell’informazione degli ultimi trent’anni; la partita è difficile, ma impegnarsi nella sfida che abbiamo davanti è un atto dovuto al numero esorbitante di morti che quotidianamente contiamo, la cui origine, abbiamo capito, non è la sola virulenza della pandemia.

Giuseppe Longhi



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  1. Sergio BrennaRingrazio Beppe Longhi per aver dato atto (pur senza citarci esplicitamente) che lo sforzo solitario mio e di alcuni cittadini residenti in attiguità agli ex scali ferroviari di non arrendersi alla caparbietà dell'intesa Comune/FS Sistemi Urbani/COIMA Catella in dispregio alle necessarie dotazioni di spazi pubblici è un contributo fondamentale all'affermazione di una nuova concezione "Green economy oriented" dello sviluppo di Milano. Riporto qui di seguito il passo in questione :" 28 novembre 2020 MILANO, DECLINO E AGGRESSIONE AI BENI COMUNI Quando l’urbanistica ignora il carico ambientale di Giuseppe Longhi COPIA LINK I mali di Milano vengono da lontano e dalla incapacità di leggere i dati sul carico antropico della città: ha prevalso la “voracità” degli operatori economici in particolare degli immobiliaristi. Il rischio è di restare sempre ultimi tra le città europee capaci di sviluppo. longhi2 In tre precedenti articoli (Un Green Deal ispirato ad un nuovo Bauhaus, Una gestione dei dati rigeneratrice della democrazia, Un nuovo ecosistema pubblico) ho cercato di definire la struttura: a) del prossimo bilancio comunitario (Next generation EU) finalizzato ad innescare un modello innovativo di sviluppo basato su regole biologiche e sullo sfruttamento dell’informazione, che soppianta il modello industrialista basato su regole meccaniche, b) delle misure straordinarie e congiunturali (Recovery Fund) legate alla pandemia e destinate al riassetto del sistema sanitario, al sostegno dell’occupazione e a fronteggiare le emergenze. L’impianto del bilancio comunitario non è nuovo, infatti è coerente con gli obiettivi ed il percorso dell’Agenda ONU 2030 per la sostenibilità (2015), la cui impostazione è data dalla Conferenza di Rio (1991) che, dieci anni fa, ha originato il Green New Deal dell’UE (Conferenza di Toledo 2010). Senza tanti giri di parole il suo scopo è evitare “la grande estinzione”, causata dal nostro vivere al di sopra dei limiti del pianeta, che sta compromettendo in modo irreversibile i nostri beni comuni. È dunque molto impegnativo lo sforzo programmatorio che la città metropolitana di Milano deve affrontare, con scadenza a breve, per dimostrare di avere capacità e volontà di operare in coerenza con il” Next generation EU”, partendo da un quadro a dir poco allarmante. Negli ultimi trent’anni, la metropoli lombarda ha infatti accompagnato il declino nazionale in termini di produttività, coniugandolo con una aggressione violenta ai beni comuni, testimoniata da un carico ambientale fuori misura causato da una politica urbanistica che ignora i requisiti fondamentali del rispetto dell’ambiente, leggibile nel poco invidiabile primato del tasso di cementificazione più alto in Europa negli ultimi sette anni, un record destinato a durare grazie alla programmazione degli interventi sugli ex scali, alla Bovisa, a S. Siro,…, per i quali sarebbe necessaria una compensazione ambientale pari almeno all’intera superficie della provincia di Milano. Una questione ben colta dalla magistratura che ha richiesto una verifica del rapporto indice edificatorio – superficie verde dello scalo Farini, sulla base della popolazione complessiva attratta dall’insediamento, ossia sulla base del carico ambientale dell’insediamento stesso. Un bell’avvertimento per un’accademia e per i tecnici seduti sulla retorica del bell’edificio sostenibile a servizio della speculazione immobiliare. "
    2 dicembre 2020 • 09:53Rispondi
  2. Sergio BrennaChiedo scusa per aver copiato l'intero articolo; il passo specifico è questo " Negli ultimi trent’anni, la metropoli lombarda ha infatti accompagnato il declino nazionale in termini di produttività, coniugandolo con una aggressione violenta ai beni comuni, testimoniata da un carico ambientale fuori misura causato da una politica urbanistica che ignora i requisiti fondamentali del rispetto dell’ambiente, leggibile nel poco invidiabile primato del tasso di cementificazione più alto in Europa negli ultimi sette anni, un record destinato a durare grazie alla programmazione degli interventi sugli ex scali, alla Bovisa, a S. Siro,…, per i quali sarebbe necessaria una compensazione ambientale pari almeno all’intera superficie della provincia di Milano. Una questione ben colta dalla magistratura che ha richiesto una verifica del rapporto indice edificatorio – superficie verde dello scalo Farini, sulla base della popolazione complessiva attratta dall’insediamento, ossia sulla base del carico ambientale dell’insediamento stesso. Un bell’avvertimento per un’accademia e per i tecnici seduti sulla retorica del bell’edificio sostenibile a servizio della speculazione immobiliare.
    2 dicembre 2020 • 09:57Rispondi
    • Giuseppe LonghiAvevo affrontato l'argomento nell'articolo "Se non facciamo l'impossibile dovremo affrontare l'impensabile" del 27.5 in cui fornivo un calcolo di massima del carico ambientale delle volumetrie previste per gli ex scali. E' una valutazione di massima che mi piacerebbe approfondire, approfittando dell'opportunità dello scalo Farini
      4 dicembre 2020 • 11:06
  3. Giuseppe SantagostinoCondenserei l'analisi assolutamente pertinente, nella richiesta di una nuova prospettiva industriale per l'area metropolitana a indirizzo pubblico, grazie ai finanziamenti europei (e se in Comune non dormissero anche sulle risorse nazionali, 110% in primis). Il Green Deal non solo sarebbe nelle nostre corde (ristrutturazione, impiantistica e infrastrutture energetiche) ma già oggi si ripagherebbe da sola, sia pur su orizzonti lunghi che i finanziamenti europei abbrevierebbero. Il vero deficit milanese (e per trascinamento, metropolitano) è industriale, ovvero l'incapacità della politica di fare progetti che stiano in piedi, anche quella del manager Sala uso a portare a buon fine i compiti assegnatigli ma al momento assai fiacco nell'indicare strade e compatibilità economica di questa transizione necessaria (ovvero ciò che chiede l'Europa)
    8 dicembre 2020 • 09:00Rispondi
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