3 novembre 2020
IL CROLLO DELLA CITTÀ METROPOLITANA
Le colpe non stanno solo nella legge Delrio
3 novembre 2020
Le colpe non stanno solo nella legge Delrio
Che la Città Metropolitana non godesse di buona salute ce ne eravamo accorti da tempo e non era che la conferma dei dubbi che tutti avevano espresso il giorno dopo la conversione in legge (legge 7 aprile 2014, n. 56) della famosa “Legge Delrio” in materia di riordino degli enti locali. Un fallimento clamoroso, l’ennesimo esempio di dissennatezza legislativa.
Era nata in un momento difficile quando il Governo era incalzato sulla spending review e sulla demagogia anticasta, e doveva dare qualche segnale di attivismo legislativo in materia di riforme: legiferare pur di legiferare.
Il risultato è sotto i nostri occhi ma pur con quella legge si poteva fare meglio, qualche colpevole c’è.
Il Covid per il momento ha fatto danni incalcolabili ma quantomeno ha mostrato la fragilità delle nostre istituzioni. Si potrebbe quasi dire un’operazione di trasparenza involontaria ma anche una lezione che quasi certamente non verrà raccolta dalla classe politica occupata dalle sue vicende elettorali.
L’ultimo de profundis per la Città Metropolitana lo ha pronunciato l’assessore Maran durante la prima sessione in streaming di Fare Milano il 18 ottobre: “abbiamo visto il sostanziale fallimento della Città Metropolitana che altro non è che il depotenziamento rispetto alla Provincia”.
Su questo fallimento della Città Metropolitana a modo suo si era pronunciato il governo Renzi, inserendo nella proposta di legge costituzionale – la Renzi-Boschi – bocciata con il referendum del 4 dicembre, che prevedeva semplicemente di eliminare la parola “province” dalla Costituzione, rinviando il problema a una futura legge ordinaria che rideterminasse le funzioni e le competenze di questi enti o la loro eventuale cancellazione o trasformazione. Insomma una nuova “Delrio” che eliminasse quantomeno i più gravi difetti di quella attuale.
Il referendum ha cancellato questa opportunità oltre a seppellire Renzi e le sue ambizioni.
La crisi del Titolo V della Costituzione è ancora molto lontana dal vedere la parola fine e lo scontro sarà ancora duro tra le forze politiche, come sempre disinteressate al bene comune travolte come sono dalla propria sopravvivenza.
Dove sta il problema? Sta nel fatto che i padri costituenti dovendo definire la carta politica del Paese, la sua ripartizione in regioni, comuni e province per l’urgenza e nel timore di scontri politici, adottarono quella che trovarono del Regno d’Italia, sommariamente corretta sui confini est per i territori persi a causa del conflitto mondiale.
Quella carta geopolitica la dobbiamo sostanzialmente a Pietro Maestri, milanese di nascita, multiforme ingegno figlio di Antonio, vicedirettore delle contabilità centrale della Lombardia.
Laureato in medicina ebbe una vita intensissima, mazziniano dissenziente, medico delle truppe di Garibaldi, nel 1862 ritornò in Italia dopo uno spontaneo esilio in Francia e fu nominato capo della Direzione dell’ufficio statistico italiano per la sua nota competenza, anche internazionale, in materia di statistiche.
Fu lui in pratica a tracciare confini regionali, provinciali e comunali secondo principii statistici a lui congeniali, essenzialmente per aree da lui ritenute omogenee per popolazione, attività, storia, morfologia del territorio. La vocazione politica dei territori, ossia la prevalenza di opinioni politiche tra i cittadini non suscitò in lui alcun interesse e dunque non ne tenne conto e aggiunse tra l’altro le due regioni, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige che nessuno prima di lui aveva perimetrato.
Dal varo di quella cartografia sono passati 140 anni e nel frattempo tutto è cambiato e, tanto per citare una delle contraddizioni più evidenti, qui da noi c’è la divisione regionale tra Lombardia e Piemonte che taglia il Lago Maggiore: la zona omogenea invece sono le due sponde del lago, il suo bacino.
Dopo la suddivisione sancita dalla Costituzione repubblicana vi fu un tentativo portato avanti da Nilde Iotti di creare una nuova regione: la Lunezia che accorpava territori che vanno dall’Emilia sino alla provincia di La Spezia e che trova sostenitori anche oggi riuniti in una associazione che mantiene in vita questa idea.
Insomma, sempre con quella cartografia dobbiamo confrontarci e quando la politica la utilizza o ci mette mano per il momento fa solo disastri.
L’ultimo tentativo, con gli esiti che vediamo, pur in ossequio al dettato costituzionale, fu il varo delle città metropolitane tra le quali la Città Metropolitana di Milano, la più grande, nata nel peggiore dei modi se i principii dichiarati per la perimetrazione sono certamente la continuità dell’edificato, delle strutture di supporto territoriale e i movimenti della popolazione al suo interno (grandi assi di comunicazione viaria, rete di trasporto, reti di sottoservizi).
L’istituzione della Provincia di Monza e Brianza (2004) sembra fatta apposta per negare la logica della futura Città Metropolitana di Milano ma solo come compiacenza alle aspettative locali e di separazione tra aree che avevano maturato un colore politico molto diverso.
Andiamo al sodo: La città Metropolitana di Milano non ha solo difetti di perimetrazione ma difetti di natura istituzionale a cominciare dalla formazione dei suoi organi rappresentativi e al modo della loro elezione e, per dirne una, alla norma che prevede che i rappresentanti di detti organi lo facciano a titolo gratuito. L’assunzione di oneri e soprattutto di responsabilità non deve essere a titolo gratuito a meno che non siano attività meramente formali ma nella Città Metropolitana non è così.
Comunque, siccome le cose vanno sulle gambe degli uomini, nel caso della Città Metropolitana di Milano uno dei responsabili del suo fallimento è il Sindaco che per il momento e fino all’elezione diretta, quando ci sarà, è il sindaco di Milano Beppe Sala le cui funzioni nella Città Metropolitana sono definite dall’articolo 19 dello Statuto della Città Metropolitana(1), funzioni che lo Statuto non considera delegabili, nemmeno al vicesindaco e che non mi risulta mai abbia esercitato se non in occasioni formali.
Le funzioni sono, ovviamente, anche dei doveri.
Quello che per Pisapia fu un fardello che gli capitò sulle spalle a metà mandato nel 2014 e non se ne curò più di tanto, per Sala non è così: Sala sapeva che se fosse stato eletto Sindaco di Milano lo sarebbe stato anche della Città Metropolitana di Milano ma nemmeno nella sua campagna elettorale ne fece mai cenno. Mai se ne occupò né allora né ora.
Oggi Milano e il suo Sindaco – comunale – vanno avanti per la loro strada, ostili alla cessione di potere che sarebbe indispensabile per riunire al capoluogo gli altri Comuni della Citta Metropolitana, quantomeno per un piano dei trasporti e della mobilità condiviso, un PGT non solo milanese, una politica ambientale che non finisca ai confini di Milano e così via.
Della Città Metropolitana di Milano si dovrà parlare ancora e approfonditamente, ma nella consultazione Fare Milano e nelle sue fasi in streaming non ne ho trovato traccia. Qualcosa devo ancora risentire su You Tube e dunque non ho perso l’ultima speranza.
L’ultima occasione persa o meglio non giocata è, e temo sarà, quella dei provvedimenti di contenimento della pandemia: sempre senza la Citta Metropolitana?
Di una vera e funzionale Città Metropolitana oggi più che mai ve ne sarebbe bisogno, per crescere.
Luca Beltrami Gadola
(1) Articolo 19 – Sindaco metropolitano. Funzioni
1. Il Sindaco metropolitano è il capo dell’amministrazione nonché il legale rappresentante dell’ente tranne nei casi in cui tale rappresentanza sia attribuita ai dirigenti per loro competenze gestionali.
Assicura l’attuazione degli indirizzi formulati dal Consiglio metropolitano, nonché delle funzioni di sua competenza, e specificatamente esercita le seguenti funzioni:
a) convoca e presiede il Consiglio metropolitano e ne attua gli indirizzi;
b) convoca e presiede la Conferenza metropolitana;
c) sovrintende all’esecuzione degli atti;
d) sovrintende al funzionamento degli uffici e dei servizi, anche provvedendo all’esecuzione degli atti;
e) propone al Consiglio gli schemi di bilancio previsionale annuale e pluriennale, i rendiconti annuali, i documenti di programmazione dell’ente e ogni altra documentazione connessa;
f) definisce e attribuisce, secondo le modalità stabilite dalla legge, dallo statuto e dai regolamenti gli incarichi dirigenziali di uffici e servizi dell’amministrazione metropolitana, la rappresentanza a stare in giudizio, nonché gli incarichi di collaborazione esterna;
g) provvede alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti della Città metropolitana presso enti, aziende e istituzioni, sulla base di un apposito regolamento, formulato secondo gli indirizzi del Consiglio metropolitano che garantisca la più ampia partecipazione delle sue rappresentanze alla gestione e al controllo, assicurando, altresì, il ricorso agli strumenti ad evidenza pubblica;
h) può sottoporre all’attenzione del Consiglio metropolitano, quegli atti di propria competenza che ritenga di particolare rilievo per l’interesse del territorio metropolitano, qualora ne rinvenga la opportunità di condivisione.
2. Al Sindaco metropolitano spettano, inoltre, tutte le competenze non espressamente attribuite dalla legge o dallo statuto al Consiglio metropolitano o alla Conferenza metropolitana e che non spettino ai dirigenti.
3. Il Sindaco metropolitano può istituire uffici e staff di sua diretta collaborazione.
12 commenti