8 settembre 2020

MILANO E L’AREA METROPOLITANA

Concentrazione, diffusione o policentrismo?


Il ruolo della città metropolitana è fondamentale per una ripartenza che non sconti i drammatici errori del passato. Oggi più che mai questo ruolo va ridefinito correggendo anche errori di architettura istituzionale.

targetti

L’agricoltura e la città sono le invenzioni che hanno consentito e prodotto lo sviluppo delle civiltà in tutto il mondo. Oggi oltre il 50% della popolazione mondiale vive in aree urbane e l’ONU prevede cha al 2050 tale quota salirà al 70%. Dunque la concentrazione della popolazione nelle città è una condizione irrinunciabile ed è un processo irreversibile. Si tratta di capire come governare tale processo in un equilibrio complessivo tra insediamenti umani e resto del pianeta.

Roma imperiale fu una megalopoli; oggi è al 69° posto nella classifica mondiale delle città per popolazione. In Italia non ci sono grandi città, ma numerose città medie e moltissimi comuni (8.000). Negli ultimi 50 anni però, si sono formate due aree metropolitane, Milano e Napoli con oltre 3 milioni di abitanti e con una densità di oltre 2.000 abitanti per Kmq, oltre alla città metropolitana di Roma che ha 4 milioni di abitanti ma una densità di 810 abitanti per Kmq.. Vi sono poi parti vaste del Paese ad intensa urbanizzazione diffusa.

La struttura insediativa e l’organizzazione sociale e produttiva del Paese determina una forte mobilità territoriale: la quota di popolazione che si sposta quotidianamente o comunque frequentemente dal proprio comune di residenza in altri centri urbani è consistente e crescente: è circa il 44 % in media. Nelle aree metropolitane tale quota è molto più consistente. Dunque la questione della concentrazione di popolazione e attività nelle città, piuttosto che la diffusione degli insediamenti nei centri minori o nelle campagne, in particolare nelle regioni ad intensa urbanizzazione, è questione fondamentale per il governo della società e del territorio e infine quindi dell’ambiente (Per questo la smobilitazione delle province voluta dalla legge è stato un errore).

A Milano se ne discute da almeno 60 anni o almeno ne discutono gli urbanisti a partire, se si vuol dare una data, dalla fondazione del PIM nel 1961. Il modello propugnato da una buona parte degli urbanisti era ed è ancora quello dello sviluppo policentrico, come soluzione per riequilibrare la crescita tra capoluogo e resto dell’area metropolitana ed evitare nel contempo la diffusione incontrollata degli insediamenti in tutto il territorio e nelle aree agricole. In realtà sono state le ragioni e le modalità dello sviluppo economico e di conseguenza gli interessi della rendita fondiaria, che hanno determinato, in concreto, il modello insediativo. Per 70 anni, dal dopo guerra ad oggi, concentrazione e diffusione insediativa nell’area metropolitana di Milano, ma anche nella regione, sono stati fenomeni fluttuanti.

Nei primi venticinque anni dopo la guerra, popolazione e posti di lavoro sono cresciuti in tutta la regione ma si sono concentrati nell’AM che ha avuto tassi di crescita anche maggiori del capoluogo. Poi negli anni ’70 Milano ha cominciato a perdere popolazione e posti di lavoro nell’industria manifatturiera, ma sono aumentate le attività terziarie e la popolazione diurna (pendolare) mentre il resto dell’AM continuava a crescere se pur a ritmi più contenuti, sia di popolazione residente e pendolare che di attività manifatturiere.

La popolazione di Milano al 2020 è di 1.396. 000 abitanti

La popolazione di Milano al 2020 è di 1.396. 000 abitanti

 

La popolazione della città metropolitana al 2020 è di 3.250.000 abitanti

La popolazione della città metropolitana al 2020 è di 3.250.000 abitanti

 

il dato del 2011 è dovuto ad un problema di coerenza tra anagrafe e Censimento

il dato del 2011 è dovuto ad un problema di coerenza tra anagrafe e Censimento

I dati relativi alla CM contengono anche i dati di Milano e quindi attenuano le differenze di andamento tra il capoluogo e il resto dell’area metropolitana.

L’economia manifatturiera di piccole e medie industrie ha prodotto un modello insediativo diffuso che ha costruito l’area metropolitana regionale (6,5 milioni di abitanti sui 10 della regione concentrati nel 16% del territorio regionale) ed ha urbanizzato in modo continuo l’area metropolitana milanese (3,250 milioni di abitanti), saldandola a nord con il capoluogo. L’economia terziaria direzionale ha prodotto invece la concentrazione dei posti di lavoro nel capoluogo, con effetti cumulativi.

Un modello insediativo fondato su centinaia di comuni e su una estesa e spesso irrazionale rete di viabilità che ha incrementato costantemente la domanda di mobilità, prevalentemente con mezzo privato.

Area metropolitana di Milano 1972 e Area metropolitana regionale 2001

Area metropolitana di Milano 1972 e Area metropolitana regionale 2001

Con la crisi economica del 2008 o comunque come esito del lungo trend dell’internazionalizzazione dell’economia, l’industria manifatturiera ha perso spinta propulsiva. L’economia “quaternaria” della Milano pre Covid, della finanza, della ricerca e sviluppo, dell’ università e della cultura, del turismo, delle relazioni economiche internazionali e del relativo indotto, hanno prodotto una concentrazione ancor più spinta nel centro del capoluogo (i famosi o famigerati grattacieli). La popolazione di Milano ha ripreso a crescere per effetto dell’immigrazione (da 1,200.000 abitanti nel 2011 a 1.396.000 ab nel 2020).

I Piani regolatori di Milano, quanto meno dagli anni’80, hanno sempre confermato e tentato di regolare i trends in atto, con il sostanziale consenso politico dei comuni dell’hinterland che avevano la loro quota di sviluppo da governare. Anche l’ultimo PGT di Milano ha scelto di sostenere il processo di concentrazione in corso, in quanto foriero di sviluppo e di crescita del ruolo internazionale della città. La Città Metropolitana (CM) con il suo Piano Territoriale, ancora in fase di approvazione , ha posto lo sviluppo policentrico come auspicio più che progetto coerente che coinvolgesse Milano.

Ora che fare? Si aspetta il vaccino anti COVID per riprendere il processo interrotto o si ripone in concreto il tema del riequilibrio policentrico dell’area metropolitana? Ma perché mai porsi il tema del riequilibrio policentrico e poi come perseguirlo in concreto? Consideriamo alcuni effetti dei modelli insediativi. I diversi modelli hanno una stretta interdipendenza con il sistema della mobilità che ha a sua volta effetti ambientali (e sanitari?) rilevanti. Il modello Milano-centrico è funzionale alla riduzione del trasporto privato su gomma (più inquinante) se si rafforza la rete radiocentrica del trasporto pubblico su ferro e la si estende nell’area metropolitana; l’uso della rete del ferro è intensivo e monodirezionale, alternato, secondo le ore di punta : è il modello assunto dal piano della mobilità di Milano.

Il modello diffusivo che coinvolge anche i piccoli centri, incrementa l’uso del mezzo privato (anche se dovesse crescere lo smart working); è il modello sostenuto dalla rendita fondiaria diffusa ora messo in crisi dalla crisi economica. Il modello policentrico riduce l’uso del mezzo privato e determina un uso più equilibrato della rete del ferro: è il modello in parte attuato con lo sviluppo dei poli metropolitani secondari: Legnano, Monza, Sesto s. Giovanni, Rozzano, ecc., anch’esso messo in crisi dalla crisi. Ma il modello policentrico è compatibile con lo sviluppo delle funzioni rare del capoluogo, proprie di una città internazionale ma che hanno bisogno anche di un bacino d’utenza locale consistente?

Qual è il punto di equilibrio funzionale, ottimale nel rapporto tra concentrazione e policentrismo, riduzione della domanda di mobilità e sostegno delle funzioni rare? La struttura dell’economia metropolitana, non più fondata sulla crescita della manifattura, ma soggetta ad una selezione che ne riduce la dimensione complessiva, è in grado di sostenere il modello policentrico? Ci sono gli strumenti di governo per invertire il trend alla concentrazione ? le istituzioni in campo, a partire dalla CM, hanno la forza necessaria?

Per proporre un modello policentrico concretamente fattibile, bisognerebbe fondarlo su una ragione d’ordine superiore: tale è il rapporto degli insediamenti umani con l’ambienta naturale: ovvero la questione ambientale. Come si sa non è affatto una questione nuova, da molto tempo è presente all’opinione pubblica (che non ha mai capito invece la questione del modello insediativo) alla politica, alle amministrazioni, al legislatore. La pianificazione urbanistica si occupa eccome di ambiente. Le leggi per il governo del territorio si occupano di ambiente, tanto che i Piani sono sottoposti a valutazione ambientale strategica (VAS) il che vuol dire nella prassi reale che, impostato il piano per lo sviluppo, se ne valuta l’impatto sull’ambiente, ovvero gli effetti sulla struttura idrogeologica, sulla qualità dell’aria, sulla biodiversità, il microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici, ecc.

Nella pianificazione corrente dunque i parametri di controllo dell’ambiente ci sono tutti. Tuttavia la questione ambientale resta comunque di second’ordine rispetto allo sviluppo e alle esigenze funzionali delle città ed è difficile capire se effettivamente il Piano raggiungerà gli obbiettivi di tutela ambientale. L’esito è che dall’opinione pubblica, almeno quella più attiva, qualsiasi attività edilizia è avversata perché consuma suolo, riduce il verde, inquina, ecc. e dunque smentisce gli obbiettivi ambientali dichiarati dal PGT.

Forse si dovrebbe invertire il processo di formazione del Piano (siamo nel campo delle congetture post COVID). Si dovrebbe prima impostare il Piano ambientale, ovvero il Piano per migliorare le condizioni ambientali della città e dell’ intera area metropolitana, con obbiettivi quantificabili e controllabili, per valutare poi quale modello insediativo è compatibile anzi è funzionale al raggiungimento degli obbiettivi ambientali.

Il Piano dovrebbe stabilire l’offerta di mobilità compatibile con la qualità dell’aria e la riduzione di Co2 programmata; individuare le opere necessarie al riequilibrio idrogeologico (per evitare le esondazioni in caso si eventi meteorici concentrati) stabilire la dimensione e la localizzazione della superficie di suolo drenante necessaria; stabilire la dimensione e la localizzazione della biomassa necessaria (forestazione); dare un limite quantitativo agli allevamenti intensivi (o proibirli) e molte altre cose. In un piano siffatto, per esempio, i servizi ecosistemici (secondo la definizione data dalla Millennium Ecosystem Assessment (MA), 2005, “i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano”.) andrebbero formalizzati come tecnica di piano, cui dare una base giuridica, come fu per gli standard a servizi negli anni ’60 (legge Ponte del 1967).

Per evidenti ragioni il Piano ambientale dovrebbe essere concepito a scala metropolitana (quanto meno) e comprendere naturalmente il capoluogo; a tale piano dovrebbero riferirsi i piani urbanistici di Milano e dei comuni dell’Area Metropolitana.

Il Piano ambientale dovrebbe essere l’oggetto principale del dibattito pubblico milanese che dovrebbe valutare la coerenza tra questo e il PGT. In tal modo la Valutazione Ambientale Strategica assumerebbe senso e perderebbe i connotati di un’ennesima procedura burocratica.

Il Piano territoriale metropolitano (PTM) che la Città Metropolitana sta approvando, ha, in nuce, una parte del progetto ambientale che riguarda in particolare le aree inedificate, ma è molto debole il rapporto con il PGT di Milano che, del resto, è stato concepito prima della formazione del PTM.

I parchi metropolitani, regionali e locali (PLIS), ovvero il Parco agricolo Sud Milano, il Parco delle Groane, il Parco Nord, il Parco del Grugno Torto, ecc., dovrebbero essere attori principali dell’attuazione del Piano ambientale che diventerebbe il filo conduttore organico ed unitario della loro attività.

Non penso che l’ amministrazione di Milano, che giungerà a scadenza far pochi mesi, possa mettere mano al PGT, anche se la pandemia di COVID ha stravolto gli scenari. Analogamente dicasi per la CM il cui sindaco coincide con quello di Milano. Ma il candidato sindaco di Milano, che sarà anche sindaco della CM, potrebbe porre nel programma elettorale, il ripensamento della pianificazione urbanistica nell’era del post COVID.

Ugo Targetti



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  1. Maria BotteroA Milano non si respira. Basta con la cementificazione. Occorre progettare un risanamento ambientale: Dove è finito il progetto degli Scali ferroviari e del verde urbano?
    19 settembre 2020 • 22:59Rispondi
  2. Luca BergoAbbiamo un problema di democrazia, quando parliamo di pianificazione urbanistica. Difficilmente gli interessi della collettività sono al centro, perché le scelte strategiche: dalla valorizzazione delle aree ai tracciati delle linee di forza del trasporto pubblico vengono definiti dagli interessi finanziari. Altrimenti non si spiegherebbe perché Milano abbia cinque linee di metropolitana che passano dal centro collegando i principali interventi sostenuti dal capitale privato: da Bicocca (gruppo Pirelli) a City Life (Ligresti) a Porta Volta (Hines) mentre ancora nessuno pensa a un anello interperiferico. Concordo con la necessità di invertire il processo di pianificazione, partendo non dagli interessi finanziari ma dalla necessità di un piano di riconversione ecologica - Targhetti lo definisce Piano Ambientale - che definisca gli obiettivi di riequilibrio del territorio metropolitano - e le scelte strategiche che i PGT locali - anche quello del capoluogo - dovrebbero realizzare.
    21 settembre 2020 • 17:10Rispondi
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