9 luglio 2020

IL BIOPOTERE E L’EMERGENZA SANITARIA

La liberalademocrazia in un mondo tecnologico e globalizzato


Tornano le recensioni di ArcipelagoMilano, con il libro "La liberaldemocrazia e la civiltà tecnologica" di Paolo Bellini: un viaggio alla scoperta dei meccanismi del biopotere e della nostra mente... possibile che ci lasciamo governare solo perchè abbiamo paura della morte?

 

bellon1Il mondo si è globalizzato. Il periplo si è compiuto. Il pianeta si è fatto globo ma ci appare l’opposto di quella repubblica universale che Kant pensava come Fine della nostra avventura. La nostra filosofia, la nostra scienza e la nostra tecnica, nel loro essere un unico insieme, sono un sistema che ha globalizzato il mondo. Ma dove sta la sua razionalità?

La crisi sanitaria, che ci ha colpito dopo l’arrivo del Covid19, ha rotto il vaso di Pandora di tutti i sistemi politici occidentali caratterizzati dalla formula liberal-democratica. Ne è fuoriuscito un aspetto rimasto a lungo latente all’interno delle relazioni di potere: la paura come fondamento del patto sociale e dell’obbedienza al potere costituito, descritta da Hobbes come timore della morte. A causa della pandemia, tale preoccupazione non si estende solo al nostro lógos ma all’intera collettività, configurandosi come un’inconfessabile paura di una morte incontrollata e incontenibile di fronte alla quale i sistemi politici reagiscono attraverso lo stato di emergenza.

A introdurre il lettore a una riflessione critica sull’evoluzione sistemica della civiltà occidentale e della sua cultura politica è Paolo Bellini – filosofo, esperto di immaginario collettivo, sistemi politici e processi di legittimazione del potere, e Professore di Filosofia Politica presso l’Università degli Studi dell’Insubria di Varese-Como – con il saggio “La liberaldemocrazia e la civiltà tecnologica”, della collana diretta da Claudio Bonvecchio (Mimesis, 2020, pp 64, euro 15).

In questi tempi “schiari”, come avrebbe detto Orwell in neolingua, le decisioni politiche in Occidente sono determinate dall’interazione tra il potere, il sapere tecno-scientifico e il popolo impaurito che invoca la speranza, ovvero il “binomio sacro” di timore, inteso come deferenza e paura, e di redenzione, intesa come desiderio di purificazione da uno stato di impurità e sofferenza. Tali termini passano da un piano teologico-sacrale a una dimensione empirica e profana, in cui il soggetto post-moderno ha maturato la consapevolezza di vivere su un piccolo pianeta, disperso nella vastità dello spazio siderale, ed è assalito dal timore di una fine prematura poiché cosciente della propria misera esistenza materiale.

Il potere, nella sua forma biopolitica, si nutre di questa paura e la adotta come metodo per governare, invocando il diritto alla vita contro il diritto alla libertà. In questo conflitto tra diritti emerge il seme del biopotere post-moderno. Attraverso lo stato di emergenza o eccezione, si evince la natura autentica del rapporto di comando e obbedienza alla radice di una civiltà globalizzata. La paura della morte e della perdita dello stile di vita acquisito spinge i cittadini all’obbedienza e all’acquiescenza. Non per paura di una punizione, ma per il desiderio di misure capaci di debellare il problema.

Il biopotere consiste in una serie inevitabile di procedure, dove in cima alla scala dei valori perseguiti ci sono la vita, la sicurezza e la conservazione del benessere materiale, al cui confronto ogni altro diritto appare sacrificabile. La redenzione riconduce, sotto il controllo del sapere, a ciò che sfugge all’intelletto umano: “controllare l’incontrollabile e riscattare così il soggetto conoscente dall’ignoranza e l’oggetto conosciuto dalla mancanza di controllo.”

Timore e redenzione rappresentano il paradigma simbolico della salvezza e, nel biopotere, si esprimono traducendo lo schema religioso della cultura cristiana in uno schema simbolico desacralizzato. Sconfitta l’emergenza, i governi, visti dal cittadino come restauratori di ciò che sembrava perduto, incrementano il consenso sociale.

Il biopotere, secondo l’autore, non necessita dunque di garanzie liberali e nemmeno di alcuna dottrina come il liberalismo in quanto teoria e pratica della limitazione del potere stesso, “piuttosto tale forma specifica della relazione di comando e obbedienza sussiste indipendentemente da ogni possibile limitazione.”

Anche se sul piano dell’immaginario collettivo le nuove tecnologie vengono viste come una forma di complotto nell’ambito delle emergenze, esse forniscono strumenti potenti per il rafforzamento delle libertà individuali, la protezione della privacy e un approccio critico ai fatti e alle relazioni politici.

La vera minaccia alla libertà umana viene da due aspetti tipici della vita post-moderna, genesi di derive paratotalitarie: la tecnocrazia e il dominio degli algoritmi. Con l’epifania della globalizzazione, si è costituita una classe dirigente “la cui vocazione, selezione e legittimazione non ha solide basi politiche ma si attua attraverso l’esibizione di competenze tecniche, saperi speciali e abilità gestionali” ci spiega l’autore, e ciò che è peggio sono le uniche basi su cui si prendono le decisioni politiche “nell’ignoranza del resto e nell’indifferenza rispetto ad ogni altra istanza”. Così facendo il concetto di popolo presto si trasformerà in una classificazione di utenti, inconsapevoli di essere schiavi di freddi algoritmi, del tutto insensibili alla felicità e al benessere collettivo e individuale.

Cristina Bellon



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