3 luglio 2020

I “FONDAMENTALI” DELLA DEMOCRAZIA

Libertà di stampa, Statuto dei lavoratori, meritocrazia


Queste “libertà” fondamentali hanno molti nemici più o meno dichiarati, più o meno subdoli. Anche negli ultimi tempi della politica sono sotto attacco. Chiunque ami la democrazia deve difenderle senza se e senza ma.

valentini

Vorrei approfondire tre temi già comparsi su queste colonne: la libertà di stampa, lo Statuto dei lavoratori e la meritocrazia. La libertà di stampa è strettamente collegata sia con la Democrazia sia con la libertà di opinione. Uno dei principi sui quali si fonda la Democrazia è il concetto di “persuasione”. I cittadini devono essere persuasi delle buone ragioni per cui sceglieranno i propri rappresentanti.

Non li si può costringere, non li si può forzare e non li si può ingannare. I metodi di persuasione devono rispondere a criteri di assoluta correttezza. Oggi parliamo di libertà di stampa (preferirei chiamarla libertà dall'”editoria”) ma circolano diversi strumenti di persuasione sotto forma di mezzi di comunicazione di massa: i giornali, la televisione, i social e spesso la pubblicità (uno strumento di persuasione di solito sottovalutato dalle discussioni in materia).

Tutti questi media fanno capo a proprietari, quindi a interessi privati legati strettamente a un profitto. Il profitto non sempre è di tipo economico, può tradursi anche in potere politico e talvolta può essere motivato dalla semplice vanità del potere.

Stiamo comunque parlando di interessi personali. Come si possono conciliare gli interessi personali con la libertà di stampa e il diritto a una corretta informazione? Impossibile. Le due cose sono incompatibili a meno di una pura coincidenza: che la corretta informazione non contrasti con gli interessi dell’editore.

Le pressioni dell’editore sul giornalista non sono sempre esplicite. Giannini, ottimo professionista, sosteneva in televisione che i suoi editori non hanno mai esercitato pressioni su di lui né sui suoi colleghi. Ed io ci credo. Ma l’editore esercita pressioni per il solo fatto di esistere: finché scrivi ciò che non mi danneggia ti lascio vivere. Ma il giorno in cui mi procuri dei problemi o il giorno in cui ho bisogno di una stupenda notizia falsa e tu ti rifiuti di scriverla, io ti caccio, ti rovino, ti distruggo, posso costringerti a cercarti un lavoro malpagato in un giornale di parrocchia perché vedi, caro Giannini, fra noi potenti editori ci pariamo le chiappe a vicenda e ci scambiamo spesso dei grossi favori. Fa’ molta attenzione a quello che scrivi!

Liberarsi dall’editoria (e quindi dalle pressioni politiche e dall’influenza pubblicitaria) significa avviarsi sul sentiero della libertà di stampa, cioè di un corretto metodo di informazione e di persuasione dei cittadini.

Avrei delle idee su come combattere lo strapotere dell’editoria, ma il discorso è lungo e so che già a questo punto state cominciando a odiarmi, mentre io vorrei spendere due parole sullo Statuto di lavoratori: Legge 300 del 20 maggio 1970. È la legge secondo la quale un lavoratore può ribellarsi con educazione e dignità a un’ingiustizia perpetrata dal datore di lavoro, senza subire la ritorsione del licenziamento. E’ ineccepibile. Eppure i media sono riusciti a definirla il “privilegio” di pochi rispetto ai molti che non ne potevano godere (proprio come le pensioni).

E’ vero che molti non ne potevano godere, ma solo perché i media e il loro padroni l’hanno sempre osteggiata in nome dei propri interessi economici e politici. Il bombardamento mediatico era stato negli anni così fitto che al momento del referendum per estendere la legge a tutti i lavoratori (e non più solo ai lavoratori delle aziende sopra i quindici dipendenti), moltissimi cittadini non si sono recati alle urne annullandone gli effetti della consultazione. Erano confusi. Non sapevano più di che cosa si stesse parlando. Se lo Statuto dei lavoratori fosse esteso a tutti, ma proprio a tutti, i giornalisti sarebbero molto più liberi di quanto non siano ora.

So che ora non ne potete più di me e se fossi sulla croce un colpetto di lancia nel costato me lo dareste volentieri. Ma ho un’ultima cosa da dirvi prima di esalare l’ultimo respiro: la meritocrazia.

Faccio mie le parole sul nepotismo di Beltrami Gadola in un suo editoriale, il familismo e l’assenza di meritocrazia. Ma l’assenza di meritocrazia ha un’attenuante: non è mai stata definita per legge. Definiamo per legge il concetto di meritocrazia e applichiamolo al lavoro, ai partiti, alle carriere in genere.

La meritocrazia è … E si deve applicare ai seguenti casi … Non applicarla è reato … E’ difficilissimo definire il “merito”, lo capisco, ma l’Italia è il regno dell’arte del linguaggio, abbiamo più avvocati a Roma che spighe di grano nella Pianura Padana, non dovrebbe essere difficile stabilire un concetto esaustivo di “merito”. Oppure avviamo un concorso e premiamo chi esprime il miglior concetto di “merito” applicabile al maggior numero di situazioni possibili. Non avremo più bisogno delle “Pari Opportunità”: se meriti vai avanti, se non meriti rimani dove sei. Punto.

Mauro Valentini



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