24 giugno 2020

MASCHERINE E DISTANZA? ROBA VECCHIA

La pubblicità tv ha già messo in soffitta le norme di sicurezza


Tutt'a un tratto le mascherine, così preziose fino a poche settimane fa, rotolano sui marciapiedi come cartacce, e gli scrupoli sul distanziamento sociale sembrano esser stati buttati fuori dalla finestra, il tutto in barba al Covid-19. Quindi... andrà tutto bene?

savoia

Tre mesi fa tutti le volevano, ma pochi le trovavano: erano diventate merce rara, rarissima, come i flaconi di disinfettante per mani o i guanti in lattice. Il fortunato che le scopriva in qualche farmacia, attirato da cartelli-esca in vetrina, ne prendeva decine a caso pur di accaparrarsele. E capitava che per sei mascherine dalla sigla misteriosa si ritrovasse a pagare anche 15 o 20 euro cadauna. Avete letto bene. Una bolla speculativa bell’e buona, con interi settori del sistema produttivo che annunciavano la riconversione dei propri impianti per far fronte a una domanda crescente, quasi impazzita, alimentata dal giusto timore del contagio.

In quei giorni, parliamo dei primi di marzo, l’allarme Covid era ancora fresco fresco, maschere e guanti erano diventati una specie di status symbol proprio per la loro scarsa reperibilità: non si indossavano, si ostentavano. Il distanziamento sociale predicato dai medici? Bastava mettersi in fila al supermercato per constatare che era rispettato, rispettatissimo. 

Sembra passato un secolo da allora, invece sono solo pochi mesi. Un’era comunicativa fa. Nei programmi e nella pubblicità si ripeteva di continuo “io resto a casa”, un mantra per convincere tutti che era meglio non scherzare con il rischio contagio. Non c’era spettacolo o programma radiotelevisivo in cui non si sottolineasse l’importanza dei presidii di sicurezza: rispettiamo la clausura, lockdown per gli amici, usciamo di casa il meno possibile e soltanto per motivi davvero validi, ma soprattutto non dimentichiamoci mai di proteggerci con maschere, mascherine, face shields, amuchina variamente declinata e tutto ciò che può rappresentare una barriera tra noi e gli altri.

Se ricordate, anche la pubblicità si adeguò in brevissimo tempo: i messaggi che accompagnavano la promozione dei prodotti erano tutti nella scia della generale attenzione ai rischi del momento. Così, a memoria, penso ad alcuni spot (Vodafone o Calliope, per esempio) che furono tra i primi a muoversi in questa direzione puntando sull’aspetto sicurezza. 

Certo, anche in quei giorni c’era chi voleva mostrarsi originale, chi non voleva credere al pericolo, chi parlava di manipolazione.

Un esercito di persone, all’epoca piccolo e con ranghi piuttosto ridotti, che aveva eletto Vittorio Sgarbi come suo comandante supremo, il cui slogan ripetuto ad ogni angolo di strada era più o meno riassumibile così: mi dovrei preoccupare perché c’è qualcuno che ha preso il raffreddore a centinaia di chilometri di distanza? Posizioni minoritarie che mettevano insieme tendenze provocatorie, dietrologie di varia natura, derive anarco-individualiste sempre presenti alle nostre latitudini. Di tutto un po’. Non importa se quelle posizioni venivano quotidianamente smontate dal mondo della medicina, l’importante era difendere il piccolo fortino della resistenza contro la iatocrazia, la dittatura della scienza medica.

 Ora che invece, con la fine della clausura, ci siamo lasciati alle spalle l’ondata della grande paura, il fortino si è ingrandito, ha trovato nuove armi, ha scoperto nuovi “resistenti”, nonostante che in alcune zone del Paese i numeri del contagio siano ancora preoccupanti non tanto per il rischio clinico, che ci dicono in calo, quanto per la loro inspiegabilità e per il rischio che anche da noi succeda ciò che sta succedendo in altre zone del pianeta, dove il Covid-19, dato frettolosamente per sconfitto, si sta ripresentando come prima. 

E se non ci stupisce che alcuni personaggi ostentino la non-volontà di indossare la mascherina o di far rispettare il distanziamento a chi partecipa ai loro appuntamenti pubblici – vi viene in mente qualcuno in particolare? Sì, è proprio lui -, colpisce che alcune aziende abbiano scelto di cavalcare l’”anelito di libertà” dagli obblighi, dai consigli medici, scattato all’approssimarsi dell’estate.

Basta guardare un qualsiasi programma tv, e le relative pubblicità, per cogliere questa tendenza. C’è la granita siciliana confezionata e pronta per essere gustata da gruppi di ragazzi festanti, che ridono e scherzano uno accanto all’altro: zero mascherine, zero distanza. C’è il gestore di servizi energetici che sulle note di un martellante brano di successo (“I’ve got the power” del 1990) per pubblicizzare i suoi servizi mostra in sequenza una discoteca piena di giovani scatenati, un bar e un ristorante in cui allegramente e italicamente ci si stringe a coorte. Mascherine? Neppure l’ombra. Distanziamento? Ma dai, non è cosa per noi giovani. E poi il lockdown non è finito? Di cosa dovremmo preoccuparci ancora? Messaggio chiaro.

E del resto, per capire come sia cambiato il destino delle mascherine, basta guardare per terra: anche i più distratti potranno notare che la merce rara di tre mesi fa è oggi abbandonata spesso ancora quasi nuova, gettata via distrattamente sui marciapiedi, in strada, dove capita. Magari anche nei bidoni della spazzatura, forse per sbaglio. Come prima, come sempre. 

Sicuri che stia andando tutto bene? 

Ugo Savoia



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