16 giugno 2020

LA “NORMALITA” NON CI BASTA

Senza profonde riforme sociali resta intatto il sistema malato pre COVID


L’atteggiamento della classe politica di fronte alla crisi di sistema che ha travolto il nostro Paese è quello di affidare la ripresa semplicemente ricostruendo il sistema pre Covid senza tener conto di uno scenario sociale profondamente in crisi anche prima. Il ritorno al passato tout court come strategia è pura cieca follia.

ucciero-taiscaptures

La tragedia dei morti, la sofferenza ed il disagio esistenziale che la pandemia ha inflitto alle famiglie, alla società ed all’economia, fa nascere in tutti, ora che pare vengano avanti giorni migliori, un viscerale desiderio di normalità, lasciando alle spalle un periodo tra i più bui della nostra vita.

Non si vede l’ora, e giustamente, di tornare a scuola, al lavoro, verso le vacanze e la movida, ma questo desiderio, che segna il prevalere delle ragioni della vita e del futuro su quelle della morte e del passato, non deve, non può, farci dimenticare che quella normalità cui quasi dimentichi aspiriamo non era il paradiso in terra, densa e segnata, allora e oggi ancor di più, da profonde contraddizioni, ingiustizie, sofferenze sociali, crisi ambientali.

Suona la grancassa, il grande partito del “torniamo a com’era prima”, che non solo non intravede, e neppure vuole intravvedere, quel largo mondo di sofferenza sociale che sopravviveva a stento fino ai primi di marzo, ma neanche è disponibile a compiere un serio bilancio critico delle relazioni causali che hanno fatto del virus SARS COVID 2 il flagello sanitario degli ultimi cento anni.

Relazioni che rimandano, come in cerchi concentrici, alla crescente follia di un sistema globale di produzione e scambio privo di regole e tutele, a un sistema sanitario centrato sull’eccellenza tecnologica dei grandi ospedali distruggendo il presidio medico sociale di territorio, a un approccio d’impresa che mette prima di tutto il business e in nome dei “danèè” è disposto a imporre gravi rischi sui lavoratori e al territorio, a un modello di vita cittadina cresciuto esponenzialmente sulla droga del “divertimento urbano”, versione moderna del panem et circenses dove i giovani precarizzati trovano povera compensazione nel rito dello spritz.

C’è un grande partito, che vuole solo tornare a macinare produzione e utili, occultando deliberatamente come quel modello di produzione e di iniqua spartizione del reddito prodotto, ha creato una società, dove i giovani sono ancora ai margini (altro che merito), le donne sottoposte a crescente carico di cura, il lavoro sfruttato e privato di diritti, l’ambiente degradato a discarica.

Questo grande partito cerca e vuole imporre la sua “normalità”, operando per un ritorno al passato privo di qualsiasi effettiva autocritica, lasciando al più un consolatorio culto della memoria, ma senza esagerare neh, che la produzione urge. Chi fa parte di questo partito? Certamente Confindustria che si pone alla guida, le diverse associazioni imprenditoriali, ma anche parte delle organizzazioni sindacali, una notevole parte del mondo politico istituzionale, ma con differenze rilevanti. E il partito che vorrebbe che tutto quanto di sua responsabilità, pre covid e durante il covid, andasse in cavalleria.

Ma noi ci chiediamo se non si debba pensare invece a un’altra “normalità”, anzi alla sola autentica normalità, sana e non malata, ispirata a una visione che sappia connettere il gusto esistenziale del ritorno alla vita con la presa in carico effettiva, non declamata, delle principali questioni che ora si vorrebbero cacciare come polvere sotto il tappeto delle compatibilità, del “siamo tutti sulla stessa barca”, della glorificazione ipocrita e offensiva di medici, operatori socio sanitari, forze dell’ordine, lavoratori, morti involontari ma consapevoli delle gravissime negligenze e degli errori della classe dirigente, politica e no.

Abbiamo la forza e l’intelligenza progettuale di dire, come quel personaggio di Eduardo De Filippo, “Nun me piace ò presepio”, non ci piace il panorama di false priorità, di idoli tecnocratici rappresentati in un teatrino dove le responsabilità passate e recenti vengono occultate dietro le rappresentazioni di comodo: chi ha coscienza delle ragioni, dei guasti, delle profonde ingiustizie, deve avere il coraggio di sottrarsi alla chiamata del partito della “normalità” e offrire un racconto diverso e un diverso programma, tanto essenziali perché finalmente praticabili.

Abbiamo negli occhi gli Stati Generali, che Conte ha convocato per dare forza simbolica alla fase 2 e perfino all’incombente fase 3. Abbiamo visto il programma di Colao, le priorità invocate per ridare slancio al nostro Paese. Ce n’è per tutti, ma in una logica tecnocratica: digitalizzazione, sburocratizzazione, infrastrutture, ma invano cercherete una chiara parola sul lavoro, che semmai compare in tiepida premessa per essere poi considerato come ricaduta oggettiva del programma di investimenti e men che meno sul sociale, dove si annida invece larga parte della nostra ridotta produttività.

Si ripropone il mantra della flessibilità, che nel caso disgraziato del nostro paese diviene sempre e soltanto lavoro poco pagato e poco protetto, invece che essere, pour cause, pagato di più ed egualmente protetto. Che dire poi della scandalosa vicenda delle false cooperative, quei soggetti imprenditoriali fasulli dietro di cui si nasconde l’avidità dei più grandi gruppi economici, scandalo completato dai “contratti pirata” grazie ai quali l’istanza di specificità della rappresentanza apre il varco a retribuzioni e difese sotto i livelli minimi di sussistenza.

E non è che il lavoro a tempo indeterminato, loro fratello maggiore, se la passi poi così bene. A parte le pesanti pressioni del dopo Covid, lo scempio del Jobs Act, pur rintuzzato per la sua inconsistenza giuridica dalla stessa Corte Costituzionale, che ne ha depurato gli aspetti più aggressivi e retrivi, ha comunque lasciato il segno nelle relazioni tra dipendente e imprenditore, spostando a favore di questi un equilibrio fissato 50 anni fa dallo Statuto dei Lavoratori. Ed infine che dire anche delle partite Iva, spesso false per consentire all’impresa di lucrare sulla differenza del costo del lavoro e del suo status?

Di tutto questo non si dice nulla, mentre attendiamo l’effettiva operatività del “Family Act” (basta con il provincialismo anglofono) nel concreto miglioramento della condizione della donna, cui si chiede di lavorare come l’uomo, di prendersi cura di figli, genitori e suoceri, molto più dell’uomo, di guadagnare assai meno, ma tacendo però, in famiglia, sul lavoro ed in pubblico. La condizione della donna è l’altro aspetto essenziale di una società iniqua e generatrice di iniquità, e forma la colonna di un programma alternativo di cambiamento capace di generare nel post covid una “sana normalità”. A quando correttivi legislativi sugli assetti retributivi, a quando investimenti forti sulle strutture socioassistenziali, a quando una effettiva libertà di scelta tra dimensione privata e quella pubblica?

Si potrebbe procedere ancora per molto, quasi senza fine, ma una menzione specifica va alle periferie, critiche sia perché i cittadini sono impoveriti (e non è un dono del cielo) sia perché la condizione abitativa e sociale è deprivata dei servizi. A Milano, vi si concentra la maggior sofferenza sociale e qui si deve, compiere il maggior sforzo per il cambiamento, ripristinando uno status di cittadinanza troppo spesso negato dai fatti. Diciamo Milano città, ma anche Milano metropolitana. E se si deve mettere mano al portafoglio di chi ha, che si faccia.

Infine, se davvero si vuole una “sana normalità”, merita grande attenzione la relazione malata società – ambiente, incubatore ormai plurisecolare di inquinamento, degrado del vivere, distruzione del paesaggio. Milano, a torto o a ragione, punta tanto sulla Bellezza incorporata come fattore di successo nella vendita della Smart City, ma se questa è la partita, è pure legittimo chiedere fin dove valga: prima, seconda cerchia dei navigli o circonvallazione 90-91, Darsena o Lambro, Bosco Verticale o Orti diffusi?

Qui, non si può andare oltre, ma la questione delle riforme sociali si pone di fronte alla politica ed all’amministrazione, particolarmente al campo democratico che per sua natura non deve mai accontentarsi dello status quo, ma sempre operare per creare una “normalità” sana perché vera e vera perché fondata sulla giustizia sociale ed il nuovo protagonismo del lavoro.

Giuseppe Ucciero



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


  1. Giovanni PerosinIn questa nota non ho trovato una sola virgola fuori luogo. Ma se cosi è anche per altri (molti altri?), credo proprio che occorra rapidamente trovare una conseguente messa a punto sul fronte delle risposte che l'opinione pubblica si attende dai diversi soggetti Istituzionali. Diversamente di fronte alla inerzia di coloro su cui grava l'onere di guida e di elaborazione della direzione di marcia dell'opinione pubblica, si produrrà un ulteriore allontanamento dalle Istituzioni. Non credo che ce lo si possa permettere.
    24 giugno 2020 • 15:43Rispondi
  2. giuseppe uccieroCaro Perosin, vedo solo ora il suo commento e mi sento obbligato a rispondere, sia pure fuori tempo massimo. Lei coglie nel segno, dopo l'analisi serve la proposta, ma qui viene il difficile, anche se forse non sono le pagine di ArcipelagoMilano le più indicate allo scopo. Personalmente, credo che al nostro foglio virtuale tocchi prevalentemente una funzione critica più che l'elaborazione di proposte. ArcipelagoMilano, così la penso io, può certo contribuire ma non sostituirsi al compito che tocca a soggetti più attrezzati e rappresentativi. Cordialmente Giuseppe Ucciero
    13 luglio 2020 • 15:01Rispondi
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema


23 aprile 2024

IL BOOM DELLA DESIGN WEEK

Gabriele Lussu






19 marzo 2024

STRUZZI, SQUALI E AVVOLTOI

Giuseppe Santagostino



5 marzo 2024

MODELLO MILANO DOVE SEI?

Licia Martelli



20 febbraio 2024

URBANISTICA SOTTO INCHIESTA A MILANO

Ugo Targetti



23 gennaio 2024

QUESTIONE ABITATIVA A MILANO: ALCUNI DATI

Gregorio Praderio


Ultimi commenti