8 giugno 2020

IL MONDO DELLO STATUTO DEI LAVORATORI

Provate per credere. Pagina di diario


Come sempre la vita reale è ben diversa da quella che dovrebbe essere secondo lo Statuto del Lavoratori: una conquista che lentamente viene cancellata perché “ostacolerebbe” la mobilità, versione aggiornata del licenziamento

Sono nato nel 1953 e ho fatto l’operaio per quarantatré anni. Ho cambiato diciannove posti di lavoro, e quasi tutti mio malgrado. Sono stato licenziato numerose volte, sei, sette, otto, non ricordo, ma tante volte. Ho visto e subìto le quattro crisi economiche più importanti che si sono succedute dagli anni ’90 fino a oggi. Crisi che hanno fatto strame di lavoratori, scaraventati sulla strada con letterine di licenziamento spedite ad agosto, durante le chiusure aziendali (oggi addirittura per mail).

Adesso, se qualcuno mi vuole ascoltare, racconto che cos’è davvero lo Statuto dei lavoratori e qual è l’importanza del suo motore principale: l’articolo 18.

Ciò che vi scrivo è patrimonio della maggior parte degli operai e di molti impiegati della mia generazione. Non è teoria! E’ dolore, disperazione, sconfitta, impotenza. Dover dire alla propria moglie, magari già disoccupata, “Sai, oggi mi hanno licenziato!”. Vedere lei che lancia uno sguardo triste alla figlia. Osservare l’abisso di preoccupazione nei suoi occhi. Lo smarrimento totale. “Che cosa facciamo adesso? C’è la crisi (l’ennesima) e in giro non c’è lavoro! La banca ci porterà via la casa!”. E poi, magari, sei pure costretto a inorridire sentendo pronunciare belle frasi come questa:

La flessibilità significa assicurare ai lavoratori posti di lavoro migliori, la ‘mobilità ascendente’, lo sviluppo ottimale dei talenti. […] La sicurezza, d’altro canto, è qualcosa di più che la semplice sicurezza di mantenere il proprio posto di lavoro: essa significa dotare le persone delle competenze che consentano loro di progredire durante la loro vita lavorativa e le aiutino a trovare un nuovo posto di lavoro.”.

Ma che cosa state dicendo! Il mutuo scade settimana prossima! Mi hanno licenziato oggi! La mia famiglia deve mangiare! Non ho tempo di aspettare che qualcuno doti i lavoratori di competenze affinché trovino un posto di lavoro!

E poi di quali competenze stiamo parlando? Non siamo mica tutti giuslavoristi dotti come Pietro Ichino! Né siamo professoroni plurilaureati mantenuti agli studi da mamma e papà! Le nostre competenze ce le siamo costruite con l’esperienza. Abbiamo perso dita, piedi, arti e ci siamo rotti le schiene per crearci la nostra professionalità, e mille di noi ogni anno muoiono per crearsi le competenze! Mille, capito? Noi non viviamo nei salotti che rimbombano di parole come “flessibilità”! Noi viviamo nella realtà! Quella dura, quella che non perdona se sbagli! Siamo persone semplici, noi. Siamo quelli che pagano il settanta per cento delle tasse. Siamo quelli che pagano anche per molti professoroni che blaterano di lavoro senza aver mai visto una catena di montaggio, un camion della spazzatura, un cantiere edile con gli operai che lavorano a trenta metri di altezza senza sicurezze. Professoroni che spesso hanno i conti correnti all’estero e se ne infischiano di ciò che è giusto o sbagliato. L’importante è ciò che conviene!

E noi lavoratori che cosa abbiamo chiesto negli anni ’70 in cambio dei nostri sacrifici? Solo una piccola cosa. Piccolissima. Uno Statuto dei lavoratori, che comprendesse un articolo (l’articolo18) sui licenziamenti; un articolo di poche righe ma capace di garantire il diritto di difendersi di fronte alle prepotenze! Sì, cari signori illustri: prepotenze! E per conoscere davvero le prepotenze occorre lavorare sotto qualcuno che è convinto di essere proprietario di tutto: dell’Azienda in suo possesso, dei mezzi, degli utensili, dei macchinari e della vita dei suoi dipendenti. Sì, proprio in quest’ordine d’importanza.

Quando ho lavorato in imprese sopra i quindici dipendenti, ho potuto difendere i miei diritti e talvolta quelli dei miei colleghi perché ero nella ragione, e l’articolo 18 dello Statuto ha sempre protetto chiunque avesse ragione: datore di lavoro o lavoratore che fosse. Se il lavoratore aveva torto perdeva il posto di lavoro, se il lavoratore aveva ragione aveva diritto all’annullamento del provvedimento disciplinare e, nel caso avesse subito un licenziamento ingiusto, sarebbe potuto rientrare in fabbrica o farsi risarcire dal prepotente in maniera congrua.

Mi è anche capitato di avere torto oppure di non avere tutte le ragioni, e il giudice mi ha dato torto. E’ giusto così.

Poi ho lavorato in aziende sotto i quindici dipendenti e quindi prive della protezione concessa dall’articolo 18 ai lavoratori di imprese più grandi. Quando un dipendente non si può difendere, il “padrone” (che non è il ben più nobile “Datore di lavoro” alla Mutti o alla Della Valle, ma è una figura subdola e infinitamente più diffusa) ne approfitta. Talvolta si creano situazioni insostenibili, abusi di ogni genere, sopraffazioni (le donne ne sanno qualcosa!) e mobbing, tanto mobbing! L’esclusione dal gruppo, in modo che la vittima si senta una nullità, ogni giorno, tutti i giorni della sua vita lavorativa. Capito, cari signori Pietro Ichino & Company? Tutti i giorni della sua vita lavorativa, fino a quando non scoppia e se ne va. Altro che …

… “Il vero problema di oggi non è premiare i meritevoli, ma portare il maggior numero di persone in condizione di realizzare il massimo delle loro potenzialità.”

Puttanate! Il dipendente e soprattutto la dipendente, devono subire! Chi se ne frega delle loro “potenzialità”! Ma dove le leggete queste cose assurde? I lavoratori che capitano sotto quei “padroni” e subiscono soprusi, non possono adire le vie legali perché non avranno mai testimoni.

Chiunque osasse presentarsi in tribunale per raccontare le ingiustizie perpetrate su un collega dal proprietario o da un dirigente, da un quadro o anche da uno di quegli untuosi capetti lustrascarpe di cui amano circondarsi i “padroni”, perderebbe il posto di lavoro all’istante. E sapete perché, signori Ichino & Company? Perché nelle aziende piccole non si applica l’articolo 18. Sì, proprio quell’articolo 18 che avete contribuito a eliminare con tanto entusiasmo. E senza l’art. 18 non c’è il reintegro nel posto di lavoro in caso di ingiusto licenziamento. Quell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori giudicato inutile e dannoso dai giuslavoristi che non hanno mai visto una fabbrica in vita loro, dai politici amici della peggiore imprenditoria e dagli economisti simpatizzanti del Fondo Monetario Internazionale, che hanno imparato la loro materia leggendo solo libri e senza mai preoccuparsi di trascorre un periodo di studio in un’acciaieria, per capire che stanno parlando di persone e non di buoi.

Mauro Valentini



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