1 giugno 2020

BEIC LA BIBLIOTECA CHE SARÀ

Un invito alla pazienza


Il dibattito sulla BEIC (Biblioteca Europea d' Informazione e Cultura), e sulla sua - non ancora iniziata - costruzione si infittisce: alla testimonianza di Alberto di Bello e alla risposta della fondazione, già presieduta da Antonio Padoa-Schioppa, si aggiunge ora la voce di Stefano Parise, Direttore Area Biblioteche del Comune di Milano.

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Dopo anni di silenzio è bastato l’annuncio di un incontro pubblico1, immaginato per riprendere il filo di una riflessione interrotta da troppi anni sul futuro del sistema bibliotecario di Milano e sul ruolo che lega i destini della nostra città a quello delle sue biblioteche, per rinfocolare polemiche che appaiono davvero “completamente fuori dal tempo” (per usare le parole di uno degli interventi che mi hanno preceduto).

Ma drammaticamente fuori tempo massimo appare anche l’idea che l’alternativa a un nuovo progetto bibliotecario di respiro internazionale sia il nulla, ovvero il mantenimento dell’esistente. E nostalgicamente fuori dal tempo, per chi abbia la minima consapevolezza dell’evoluzione che il concetto, il ruolo e le funzioni della biblioteca hanno compiuto negli ultimi trent’anni, è l’illusione che la gloriosa “Sormani”, la biblioteca dei milanesi studiosi, possa continuare a svolgere nei prossimi decenni in modo appena accettabile il ruolo di principale infrastruttura per l’accesso alla conoscenza di una città guida a livello internazionale come Milano.

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Per dirla in maniera chiara e senza tanti giri di parole, è abbastanza imbarazzante dover ammettere con i molti colleghi stranieri di passaggio a Milano che “quella” è la principale biblioteca pubblica della città: è come presentarsi – lo scrivo con la morte nel cuore – a un raduno di fuoriserie con una Balilla, fascinosa ma desueta, con cui nessuno oggi si sognerebbe di mettersi in viaggio.

La Sormani è oggi un istituto costretto in un palazzo patrizio sovraffollato – nei primi 45 giorni del 2020, prima del lockdown, i sensori a ciò predisposti hanno registrato una media giornaliera di 725 passaggi, altro che poche decine di frequentatori! – e angusto, che ha esaurito da decenni la sua funzione storica come moderna sede bibliotecaria. Ammetterlo pubblicamente è in primo luogo un atto di onestà intellettuale verso la città; dare un futuro sostenibile a questa grande istituzione milanese è un dovere per Milano e un investimento da effettuare in primo luogo nell’interesse e a beneficio di chi nel capoluogo lombardo vive, studia, produce.

Il rinnovamento della principale biblioteca civica milanese, tuttavia, non può essere realizzato se non in una nuova sede in grado di coniugare sia le funzioni che ormai connotano diffusamente il servizio bibliotecario pubblico contemporaneo nel mondo (spazi di studio, laboratori creativi, aule per programmi di alfabetizzazione all’uso delle reti e al digitale, spazi per la condivisione di letture, spazi per attività rivolte a specifiche fasce d’utenza), sia le funzioni di conservazione e di studio attualmente garantite, seppure con enorme fatica, dalla Sormani, che continuano a rappresentare un elemento culturale irrinunciabile per la città, da valorizzare in un quadro di profondo rinnovamento.

Mi sembra quindi interessante che si riprenda a discutere di un tema che negli ultimi dieci anni era completamente scomparso dai radar del dibattito pubblico. Ed è eccessivo, non foss’altro per questa ragione, addossare alla BEIC la responsabilità di aver bloccato ogni sviluppo possibile del sistema bibliotecario milanese.

Al contrario; vorrei ricordare che ci sono diversi progetti di rinnovamento in itinere che interessano le biblioteche rionali: il cantiere per la nuova Biblioteca Calvairate, l’ampliamento della Biblioteca Baggio, il progetto per la nuova e innovativa Biblioteca Lorenteggio, il raddoppio imminente degli spazi della Biblioteca Sant’Ambrogio, i lavori per la messa a norma antincendio di 10 Biblioteche rionali, il rifacimento recente della Biblioteca Accursio, a cui seguiranno Harar e Gallaratese, segno che il Comune ha compreso il valore di un servizio diffuso nei quartieri e molto apprezzato dai milanesi.

Apprezzato non solo per l’offerta di servizi tipici (sale studio, prestito, consulenza bibliografica), ma per la freschezza e l’intensità della proposta culturale, di intrattenimento e di apprendimento legati al libro, alla lettura e al digitale che hanno riposizionato il sistema bibliotecario nell’immaginario cittadino. Persino la Sormani sarà oggetto, nel 2021, di un intervento di restyling che, con un investimento contenuto, consentirà di ottimizzare e rinnovare parzialmente gli spazi a disposizione per garantire alla biblioteca di mantenere una funzionalità accettabile in attesa che la nuova sede venga realizzata.

Che tipo di biblioteca immaginiamo per Milano? Il decennio appena trascorso equivale a una piccola era geologica, se lo guardiamo dal punto di vista delle modalità di produzione, circolazione e conservazione del sapere. Oggi ciò che conta non è solo il possesso di estese collezioni librarie né la possibilità di accesso immediato a un’enorme mole di informazioni, sempre più efficacemente garantita dai dispositivi mobili personali e da reti a banda larga iper-performanti.

Il vero discrimine fra inclusione ed esclusione in tutti i campi fondamentali della vita associata è il possesso delle competenze indispensabili per affrontare la complessità che caratterizza la nostra epoca, che impone di possedere capacità avanzate nell’uso delle reti e nella ricerca e valutazione di informazione pertinente e attendibile. Mi riferisco al complesso di conoscenze, competenze e abilità che definiscono le digital and information skills, di cui la popolazione italiana adulta è drammaticamente carente, come documentato dall’Unione Europea2.

Per queste ragioni la nuova biblioteca centrale di Milano dovrà essere in primo luogo uno spazio pubblico di apprendimento per tutti, dove acquisire le competenze utili per vivere nella società del terzo millennio. La scommessa è quella di reinterpretare una delle funzioni fondative della biblioteca, istituto culturale dalla storia millenaria, declinando in senso contemporaneo il tema dell’apprendimento; rompere il paradigma prevalente dello studio silenzioso, effettuato in rapporto solitario con il testo, per abbracciare anche altri approcci (imparare giocando, imparare facendo, imparare secondo logiche improntate alla condivisione e non alla trasmissione…), in maniera da aprirsi alle esigenze di una platea di potenziali frequentatori diversa dal pubblico studentesco e acculturato, e desiderosa di imparare.

A questa comunità variegata dovranno essere offerti non solo spazi attraenti ma efficaci, perché specificamente progettati per i differenti approcci all’apprendimento, affrancando le sale di lettura dal modello dell’aula scolastica per favorire l’interazione e l’apprendimento maieutico, pur tenendo conto delle inevitabili limitazioni e delle trasformazioni indotte dalla tragica esperienza della pandemia, destinate a modificare per un tempo ancora indefinito la nostra esperienza d’uso degli spazi pubblici.

Non una biblioteca per l’alta formazione e la ricerca – funzione che a Milano i sistemi bibliotecari degli atenei e le biblioteche specialistiche svolgono già in maniera egregia – ma una piattaforma per l’accesso alla conoscenza contemporanea, internazionale e interdisciplinare, in cui le università milanesi dovranno giocare un ruolo da protagoniste garantendo in situ , con una presenza continua e diretta, attività di ricerca applicata alle tecnologie nel campo dell’accesso all’informazione (search, retrieval, data mining, web semantico…), dell’indagine sociale sui bisogni informativi e sulle pratiche di lettura, funzionali al miglioramento dei servizi offerti dalla biblioteca ai suoi utenti.

Infine, la nuova biblioteca costituirà uno spazio esperienziale in cui vivere l’emozione del contatto con il patrimonio creativo dell’umanità, non limitato agli ambiti letterari ma fortemente focalizzato sulla valorizzazione del libro come veicolo di scoperta ed esperienza vitale, legato indissolubilmente all’identità di Milano e alla sua storia civile ed industriale.

È, questo, un “supermercato degli svaghi”? Non credo. La nuova biblioteca non sarà né un hub né un community center, secondo le definizioni più in voga del momento, ma uno spazio di apprendimento del digitale aperto ai nuovi linguaggi espressivi (uno sperimentarium) e un ambiente evocativo in grado di stimolare la fantasia e l’immaginazione, soprattutto da parte dei cittadini di domani (un imaginarium). Non un take away del libro ma uno spazio di relazione, conversazione e connessione con la conoscenza, collocato nel cuore di Milano (e, si spera, anche in quello dei milanesi).

Queste componenti disegnano un modello che esula da quelli evocati (impropriamente) – la biblioteca rionale da un lato, declinazione locale della public library di matrice anglosassone, e la biblioteca di ricerca dall’altro – e mirano a una sintesi intelligente fra tradizione e innovazione, funzionale alle esigenze e alle ambizioni di Milano.

La BEIC, comunque si chiamerà, lavorerà su piani complementari: avrà vocazione metropolitana sul modello, ad esempio, della New York Public Library o della Seattle Public Library, e dovrà sostenere, non mortificare, la crescita e l’evoluzione di tutto il sistema bibliotecario di Milano, fornendo coordinamento e supporto operativo alle altre biblioteche presenti in città.

Dovrà assumere su di sé alcuni compiti di emanazione regionale (come la conservazione dell’archivio regionale librario del deposito legale) e operare in una dimensione nazionale, collaborando attivamente allo sviluppo della biblioteca digitale Italiana, all’attuazione del piano nazionale per la promozione della lettura e delle altre policy legate all’agenda digitale italiana; dovrà essere fortemente incardinata in una rete di partenariato per l’innovazione con le maggiori biblioteche del mondo.

Una biblioteca come quella che ho descritto è una sfida per la città, ma anche uno stimolo a rivedere gli aspetti del progetto BEIC che mostrano maggiormente l’impronta degli anni in cui esso è stato concepito. In questo senso – e torniamo all’inizio del discorso – “l’essere fuori dal tempo” impone di chiedersi in quale altro tempo stiamo entrando e come fruiremo di questo genere di infrastrutture nei prossimi anni, feriti dall’esperienza tragica della pandemia e condizionati dalla necessità del distanziamento sociale.

Questa situazione pone un enorme interrogativo agli architetti e a tutti coloro che devono progettare e gestire istituzioni di questa natura. Il tema è nuovo e va approfondito con serietà, e tuttavia credo di poter dire che le biblioteche avranno un vantaggio competitivo rispetto ad altri luoghi della cultura, perché la loro sostenibilità non si fonda sul numero di biglietti staccati ma sulla capacità di incidere sui bisogni della cittadinanza con servizi adeguati e di qualità.

Nemmeno la ricerca di una nuova normalità può diventare un alibi per l’immobilismo. La forza di Milano sta nel suo saper cambiare, cogliere le opportunità, cavalcare l’onda invece di esserne travolta. “La città che sale” di boccioniana memoria è anche la città che può crescere ancora, scommettendo sulla conoscenza e sulle competenze diffuse.

In un’epoca non lontana, e certamente segnata da eventi ben più drammatici, Milano decise che sulla ricostruzione della città dovesse imprimersi, indelebile, il sigillo della cultura: il capoluogo lombardo rialzò la testa stringendosi attorno a una delle sue istituzioni più prestigiose e simboliche, il Teatro alla Scala. Fu un atto di coraggio e di fiducia nel futuro – un futuro saldamente innestato nella storia della città – che oggi ha la possibilità di rinnovarsi, purché si abbia consapevolezza che la crescita del patrimonio cognitivo della comunità è il più formidabile e duraturo fattore di sviluppo che si possa immaginare, per consolidare il ruolo di Milano nel mondo.

Stefano Parise

Direttore Area Biblioteche del Comune di Milano

Vice presidente EBLIDA, European Bureau of Library, Information and Documentation Associations

1 Milano: il futuro in una biblioteca” doveva tenersi presso la Sala Buzzati della Fondazione Corriere della Sera il 28 febbraio scorso.

 

2 https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/desi



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  1. Pietro VismaraGrazie per l'intervento, davvero chiaro. Speriamo allora che la nuova biblioteca finalmente si faccia! Cordiali saluti
    3 giugno 2020 • 09:13Rispondi
  2. Ornella FoglieniQuanto scrive Stefano Parise È più che auspicabile . Una qualificazione ancor maggiore necessaria per Milano che deve avere anche un grande “cuore “pulsante bibliotecario garantito, sostenuto, coinvolgente , efficiente, bello, nuovo , certificato..sostenibile., O. Foglieni
    3 giugno 2020 • 16:51Rispondi
  3. luciana carla De GeorgioLuciana de Georgio Adesso · YouTube Leggo la notizia del "rilancio" della BEIC da parte di Stefano Parise. Mi è venuta in mente questa canzone." E se la memoria non m'inganna" ... nel 1998 durante la prima Conferenza di Servizio al Gallaratese ì' Assessore alla Cultura Carrubba e la Dottoressa Jahier, direttora della biblioteche comunali, annunciavano con soddisfazione che si stava preparando concretamente la BEIC (che già esisteva - si fa per dire . on line). Non fu gradito il mio intervento troppo problematic... Altro... youtube.com Dalida - Quelli erano giorni (Those were the days)
    10 giugno 2020 • 15:37Rispondi
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