26 maggio 2020
MEAZZA. IL PRIMO ERRORE DELLA RIPARTENZA
La “nuova normalità” dell’urbanistica milanese ma non c’è peggior sordo ….
26 maggio 2020
La “nuova normalità” dell’urbanistica milanese ma non c’è peggior sordo ….
Quando sui quotidiani ho visto riemergere la questione dello Stadio Meazza a San Siro, non credevo ai miei occhi. Pensavo che, visti i tempi, della questione non se ne parlasse più. Mi domando solo chi tra Sindaco e Giunta abbia avuto la brillante idea di riaprire la questione, forse l’assessore Maran, il grande sponsor della strategia chiamata “urbanistica del pennello”.
Che ne sarà dunque dell’urbanistica milanese? Una voce uscita dalla Giunta dopo la gaffe iniziale di Sala – “Milano riparte” di cui si è scusato – diceva: “é come se avessimo fermato un film, basta riaccendere il videotape”. Dei cosiddetti continuisti ho detto tutto il male possibile e non val la pena di aggiungere altro, adesso invece facciamo un giochino istruttivo.
Vogliamo proprio riaccendere il videotape? E sia! Prima però riavvolgiamo il nastro, ma riavvolgiamolo a partire dal 2005, quando la sciagurata Legge Regionale 12 stabilì l’obbligo per i Comuni lombardi di dotarsi del famoso PGT (Piano di Governo del Territorio). Su quella sciagurata legge molto è stato scritto, inutilmente. L’avvio di un disastro.
Telecomando e tasto avanzamento veloce: eccoci al 2011, Giunta Moratti, – Assessora alle periferie Ombretta Colli, tanto per dirne una – e all’Urbanistica Carlo Masseroli.
Adesso tasto Play: sul monitor scorrono tutti i PGT sino a oggi a partire appunto da quello di Masseroli, uomo di Comunione e Liberazione e del relativo braccio secolare, Compagnia delle opere.
Mano al telecomando! e dito pronto sul tastino “fermo immagine” pronti a schiacciarlo quando arrivate a un PGT di sinistra che rompa con le Giunte di Centro Destra.
Cosi vediamo scorrere Palazzo Lombardia (terminato nel 2010), Palazzo Unicredit (term. nel 2012), City Life (inizio 2007), Milano Portanuova (progetto approvato nel 2004), Torre Diamante (term. nel 2012). Tutte opere pianificate prima del fatidico cambio della guardia del 2011, quando Letizia Moratti cedette il passo a Giuliano Pisapia. Tutte opere che costituiscono la nuova immagine di Milano e del suo skyline.
Diamo dunque a Cesare quel che è di Cesare ma resta anche la penosa eredità della vicenda degli scali ferroviari, fortunatamente ancora con qualche probabilità di profonda ridiscussione, visto il drammatico cambiamento di scenario prodotto dal Covid-19 e dai mutamenti ormai definitivi.
Siete arrivati a oggi senza nessun fermo immagine? Nessun PGT di sinistra? Non siete i soli, nessuno lo trova. Di Giunta in Giunta c’è continuità politica e culturale.
Non fatemi spiegare che cosa sarebbe secondo me una Giunta di sinistra. Mi è più facile dire che cosa non dovrebbe essere.
Tanto per cominciare non dovrebbe essere una Giunta erede senza batter ciglio di un passato che non piace a tutti e che si limita a lanciare slogan di sinistra del tipo “le periferie al centro” senza fare poi concretamente nulla, o a dire che in quindici minuti di cammino i cittadini debbano trovare i servizi senza pensare nemmeno a una nuova distribuzione delle farmacie e a chi la dovrebbe fare – o a far rinascere il commercio di vicinato. Non si può contemporaneamente approvare un piano – San Siro da ultimo – con un grosso centro commerciale che, come tutti i centri commerciali, ucciderà quel poco che resta del commercio di vicinato.
Sullo stesso tema non si dovrebbero aprire in centro grandi magazzini monomarca o megacaffetterie e poi lamentarsi che in via Mazzini, a un passo da Duomo, siano scomparsi quasi tutti i negozi che la rendevano vivace.
Una Giunta dovrebbe vedere che si allungano le code alle mense caritatevoli e domandarsi perché, e dall’altra parte dovrebbe domandarsi anche perché la pandemia abbia colpito così duramente Milano.
Da ultimo ma dirompente: non c’è operazione urbanistica promossa da questa Giunta che non veda nascere comitati, movimenti non organizzati di contestazione. Non è opposizione ideologica perché sono tutte operazioni “trasversali”. Questa è una “normalità” per una Giunta che si dichiara vicina ai cittadini e attenta alle voci dal basso?
La settimana scorsa abbiamo pubblicato un articolo di Giancarlo Consonni che illustra perfettamente i guasti della politica urbanistica del prima e dell’oggi, è però anche l’involontaria ammissione della triste sconfitta di una generazione storica di urbanisti e anche della generazione attuale.
Anche qui vale la pena di domandarsi: perché?
Molti anni orsono, quando gli urbanisti di sinistra erano i soli che volessero condurre una lotta alla speculazione edilizia, scrissi che la cassetta degli attrezzi della quale si servivano – i Piani Regolatori – sarebbe stata inefficace e che l’argine alla speculazione edilizia lo si sarebbe fatto assai meglio con strumenti fiscali: imposizione sugli utili delle società immobiliari e sui trasferimenti di proprietà, ricupero al pubblico del plusvalore delle migliorie specifiche, INVIM e una diversa gestione degli oneri di urbanizzazione.
Se così si fosse fatto non avremmo certo sconfitto il panzer della speculazione edilizia ma comunque avremmo scoraggiato molte operazioni meramente speculative e avremmo ricuperato alla collettività e in particolare ai Comuni una parte della ricchezza della quale era stata scippata. Forse m’illudevo ma guardando a quel che è successo mi riaffeziono alla stessa idea.
Oggi comunque quella cassetta degli attrezzi va in gran parte abbandonata, visto che i “fondamentali“ dell’urbanistica sono cambiati e volendo riassumerli in un uno solo diciamo “qualità della vita”, che va definita adottando standard minimi: qualità dell’aria/inquinamento, livello massimo del carico antropico, spazi collettivi, infrastrutture di trasporto e perequazione del tempo lavoro/trasporto, verde…
Stabiliti questi minimi non si dovrà posare un solo mattone che non sia nella direzione del raggiungimento di quegli standard, non solo per i cittadini ma anche per gli “ospiti” – turisti, studenti … – e per gli abituali city users.
Utopia? Vagheggiare la città ideale? Fuga in avanti? No, solo la “nuova normalità” dell’urbanistica milanese pensando agli Scali, alla Piazza d’Armi di via Forze armate a Città Studi e a tante piccole e grandi trasformazioni territoriali.
Allora, tanto per cominciare, mettiamo un paletto di partenza: lasciamo lo Stadio Meazza lì dov’è, anche perché nessuno ha mai risposto alla vera domanda: cosa succede se si lasciano le cose così come stanno? Era per far fare un po’ di cassa al Comune? Comunque una goccia nel mare delle necessità comunali del dopo Covid-19.
Luca Beltrami Gadola
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