25 maggio 2020

SE NON FACCIAMO L’IMPOSSIBILE, DOVREMO AFFRONTARE L’IMPENSABILE

Una nuova urbanistica per ripartire


Anche quest’anno, grazie all’ospitalità e alle sinergie con il Laboratorio Complex Data del Dipartimento di scienze e politiche ambientali dell’Università di Milano, promuovo una discussione in occasione di Milano Digital Week. L’evento, date le circostanze, sarà in virtuale, avrà come titolo “Una città aumentata – civitas oriented” e si avvarrà dei contributi interdisciplinari della rappresentanza del Parlamento europeo a Milano (che dà il patrocinio all’incontro), di operatori sociali (MondoHonline, che collabora alla gestione dell’iniziativa), progettisti (TAM Associati), charity (Fondazione CARIPLO) e accademici (Laboratorio Complex Data e Value of Differences). La discussione è programmata per venerdì 29 maggio ore 18 , per collegarsi digitare qui.*

longhi

Milano Digital Week quest’anno aveva come titolo “la città aumentata”, e pre-coronavirus ci aveva ispirato un percorso guidato dalla sinergia fra apparati di comunicazione immateriali, intelligenza artificiale e sviluppo delle relazioni civiche, possibile solo con la disponibilità di dati.

La pandemia ci obbliga a un cambiamento radicale della narrazione, perché ci ha brutalmente messo di fronte ad una sostanziale indisponibilità e carenza di dati nella cultura pubblica, da cui derivano forti preoccupazioni nei cittadini, sia per l’evoluzione della questione pandemica, sia per la sopravvivenza delle istituzioni. Per cui propongo di articolare il problema in tre sezioni: dati per una cultura predittiva, dati per una ripartenza ecosistemica, dati per una nuova governance.

Dati per una cultura predittiva

E’ sotto gli occhi di tutti la mancanza di dati, sia dal punto di vista sanitario, sia sul fronte civico.

Sul fronte sanitario i primi dati elementari disaggregati riguardanti la città metropolitana sono pervenuti dopo più di due mesi dall’inizio della pandemia, sul fronte civico non disponiamo di nessuna rappresentazione predittiva e ‘sensibile’ delle differenze strutturali dei municipi; una tale rappresentazione avrebbe probabilmente contribuito non poco al miglioramento dell’assistenza sia sanitaria sia sociale.

Non è questa la sede per trattare nel dettaglio la questione dei dati, ma è importante sottolineare alcune emergenze strutturali:

  • la mancanza o scarsa qualità dei dati implica l’impossibilità di avviare politiche predittive, indispensabili per affrontare eventi dirompenti, che sappiamo saranno sempre più frequenti;
  • ugualmente, la mancanza o scarsa qualità dei dati implica l’impossibilità di ricostruire gli ecosistemi, siano essi sociali, fisici o ambientali, e questo impedisce un’efficace politica degli interventi (e anzi aumenta la probabilità di scelte lineari dagli effetti disastrosi).

Questi elementi aprono scenari di preoccupazione per i cittadini a causa:

– dell’assenza di direttive del governo centrale in presenza di politiche di cura dicotomiche (dal tutti in ospedale in Lombardia, come nella peste del ‘600, alla filiera predittiva del Veneto);

– delle carenze imprenditoriali nell’offerta di beni strategici al personale sanitario e ai cittadini, oltre che del collasso di produttività dell’ex motore industriale (una ‘pipettatrice’ – lo strumento per analizzare i tamponi – comprata in California dai veneti analizza più tamponi dell’intero sistema di laboratori lombardi!);

– del voler saltare direttamente dalla fase 1, tutti in casa, alla fase 3, tutti al mare, senza adeguati provvedimenti logistici, salvo la raccomandazione del tempo della spagnola: state distanti e lavatevi le mani;

– del triste spettacolo dei virologi televisivi, che uniscono lo spettacolo dei limiti della loro specifica scienza con quello dell’incapacità di riconoscere le regole elementari dell’organizzazione dei sistemi complessi sanitari/sociali.

Questa situazione è aggravata dalla specificità milanese-padana della scarsa qualità degli ecosistemi naturali, a causa del degrado dell’aria e della biodiversità, la cui accelerazione è da imputare all’abnorme pressione ambientale esercitata anche dalle politiche urbanistiche municipali che ragionano ancora in superficie e standard di verde, come nell’ottocento.

Modernamente la metrica degli interventi urbani è definita: 1) dall’impronta ecologica, in grado di dare una misura dell’intrusione degli interventi fisici rispetto alla bioproduttività e 2) dall’intelligenza al metro quadro, ossia dalla capacità di sviluppo delle risorse umane offerta dagli interventi.

Per dare un’idea del livello dirompente sugli ecosistemi della politica urbanistica metropolitana, il calcolo dell’impronta ecologica delle superfici interessate ai soli interventi edilizi sugli ex scali rivela che quelle densità edificatorie dovrebbero essere compensate da una superficie ‘verde’ pari a più di 150.000 ha globali, mentre la destinazione a parco prevista è di 87 ha globali!**

La questione che pone il passaggio dalla fase 1 alla fase 2 è dunque quella di una ripartenza che coniughi la sopravvivenza economica con una visione ecosistemica tesa a rivalutare la biodiversità, a contrastare il cambiamento climatico, a difendere la salute dell’uomo.

Dati per una ripartenza ecosistemica

La visione ecosistemica della ripartenza è quanto proposto dai ministri europei del clima e dell’ambiente di 17 nazioni (fra cui l’Italia) in una recente dichiarazione in cui esortano i governi a “trasformare la ripresa dell’UE in chiave verde e costruire il ponte tra la lotta contro Covid-19, la perdita di biodiversità e i cambiamenti climatici”.

Questa dichiarazione tende a rafforzare la proposta comunitaria del “Green Deal” come tema principale e motore per una crescita rinnovata e per una rapida trasformazione dell’economia verso un futuro sostenibile e neutrale in termini di emissioni di carbonio.

La politica comunitaria intende quindi usare le nuove risorse non per ripristinare il vecchio mondo ma per aiutare a creare quello nuovo. Se lo sviluppo del “Green Deal” è fondamentale, il coronavirus complica la questione perché i leader politici di tutto il continente subiscono pressioni per gli aiuti economici ai cittadini, le industrie insistono per far funzionare di nuovo le loro vecchie fabbriche, una serie di ricchi paesi rifiuta la condivisione del debito collettivo per aiutare quelli più indebitati.

Questo genera preoccupazioni, che il responsabile del Green Deal, Frans Timmermans, sintetizza così: “La crisi climatica che era alle porte prima della crisi del corona è ancora lì e non ha perso nulla della sua urgenza. Ma se nel prossimo futuro non sarà più al primo posto delle priorità nella sensibilità delle persone, crolleremo. ”

Combinare una visione ecosistemica dello sviluppo con la ripresa immediata dell’occupazione e la crescita dell’assistenza sociale è il difficile esercizio cui ci invita la comunità europea, che vedrà la sua applicazione pratica nella discussione del bilancio per i prossimi sette anni (in calendario per giugno). Un’occasione fondamentale per il nostro paese, da sempre in difficoltà nel produrre visioni strategiche del suo sviluppo, e un’occasione di riscatto per la nostra metropoli, in crisi di progettualità, come dimostra il documento “Milano 2020, strategia di adattamento”.

Si dà l’occasione per la nostra metropoli di proporre un’agenda ambiziosa, che potrebbe essere ‘scalare’ per l’intero paese, basata sull’interpretazione estensiva delle politiche proposte da Stiglitz-Stern, ad alto potenziale sia di moltiplicatore economico, sia di metriche d’impatto climatico-ambientale. Gli investimenti riguardano: istruzione e formazione, rigenerazione capitale naturale (con particolare attenzione al restauro della biodiversità e alla protezione delle zone rurali), rigenerazione ‘green’ delle infrastrutture fisiche (con priorità al retrofit di efficienza degli edifici), ricerca e sviluppo su beni non rivali (quindi legati ai sistemi immateriali a rete) e tecnologie pulite, specie per quanto riguarda l’energia.

Dati per una nuova governance

Tale agenda implica un cambiamento nel modello di governance, che dovrebbe integrare le storiche funzioni di controllo e ottimizzazione con lo sviluppo di una mentalità ‘abilitante’, con lo scopo di creare e supportare le condizioni atte all’urgente rigenerazione del sistema.

Un cambiamento che richiede nuove capacità da parte di pubblici amministratori e burocrati, che dovrebbero essere orientati a: creatività, sviluppo di sistemi in rete aperti, attrattività, empatia, scaling up.

Perché questo si realizzi, occorre che le istituzioni escano “dal centro della sala da ballo e si mettano al balcone”, che con molta modestia si impegnino a imparare le nuove regole di governo imposte dalla complessità del momento, che lascino spazio alle forze innovative, che anche nella sventura del coronavirus sono emerse, perché, come sosteneva il sociologo Murray Bookchin “se non facciamo l’impossibile, dovremo affrontare l’impensabile”.

Giuseppe Longhi

* È raccomandabile la prenotazione al sito: www.mondohonline.com

** Nota al calcolo dell’impronta ecologica:

– la superficie bioproduttiva degli ex scali è data dalla superficie ‘a verde’ pari a 63 ha moltiplicata per il fattore di produzione biotica, che in questo caso è 1,38.

Da qui il risultato di 87 ha globali.

– il carico ambientale è dato dal numero di popolazione insediabile (33.750 persone) moltiplicato per l’impronta media (4,7 ha globali/abitante) = 158.625 ha globali (per avere un’idea di riferimento, ma non di confronto, la superficie totale della provincia di Milano è circa 157.500 ha).

La popolazione insediabile è calcolata secondo un indice di occupazione del suolo di 20 m2 /abitante, su un’area edificabile dichiarata di 67,5 ha = 33.750 persone

La supericie bioproduttiva richiesta dalle superficie edificabili degli ex scali è dunque di

158.625 ha globali – superficie disponibile in base alle convenzioni 87 ha globali.

La valutazione è fatta in base a ipotesi minime, poiché l’impronta media per il target di popolazione insediabile è più alto, così come non si tiene conto della popolazione in più attratta dalle attività commerciali.



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