23 maggio 2020

MEDICINA SUL TERRITORIO: RIORGANIZZARE L’OFFERTA

Ripartire dal medico di base


Covid-19 ha più che mai evidenziato la necessità di un ripensamento strutturale dell’organizzazione della medicina sul territorio. Bisogna fornire al suo pilastro fondante, i medici di medicina generale, tutti gli strumenti tecnici, amministrativi e logistici per svolgere il loro compito nel modo più efficiente e contrastare questa ed altre epidemie.

peduzzieco

Il documento del Comune di Milano Milano 2020 – Strategia di adattamento – Documento aperto al contributo della città contiene alcuni riferimenti all’esigenza di riorganizzare l’offerta della medicina di territorio,garantendo misure adeguate ai soggetti più vulnerabili, e di preparare la città per un eventuale ritorno dell’epidemia.

Prima di procedere ad un contributo nel merito, è necessario essere consapevoli che un’analisi dell’impatto della pandemia da Coronavirus nella città di Milano non può prescindere dai gravi ritardi di segnalazione e allerta causati – a cascata e ciascuno per la propria parte di competenze -, dalle autorità cinesi, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal Ministero della Sanità, dalla Regione Lombardia.

Concentrando però la nostra attenzione sul ruolo della medicina del territorio nella città di Milano, è importante capire che cosa non ha funzionato in questi mesi, per apprendere dagli errori e dalle carenze e mettere in atto possibili interventi correttivi sull’organizzazione dell’offerta sanitaria sul territorio.

La prima osservazione è relativa al sistema di allarme, in grado di cogliere i segnali del possibile arrivo sul nostro territorio dell’epidemia di Coronavirus segnalata in Cina. La ricostruzione a posteriori dell’andamento dell’epidemia evidenzia un tempo di latenza di circa due mesi tra l’emergere dei primi casi di patologie “anomale” rispetto alla comune epidemia influenzale, propria dei mesi invernali. Due sono gli elementi da considerare. Primo, chi a livello di ministero e/o di assessorato alla sanità regionale aveva le conoscenze e le competenze per allertare le sentinelle del nostro servizio sanitario sul territorio, che sono i medici di medicina generale, non l’ha fatto. Secondo pare deficitario, rispetto al problema considerato, il sistema di sorveglianza/denuncia delle malattie infettive all’ATS che mette in moto, almeno per le patologie più gravi, specifici interventi di profilassi.

La seconda osservazione riguarda la mancanza sul territorio di una struttura di riferimento reattiva a cui il cittadino si può rivolgere in caso di bisogno nell’arco della giornata, senza ricorrere al pronto soccorso ospedaliero. Pronto soccorso ospedaliero che, come abbiamo visto in alcuni presidi della provincia di Bergamo, può diventare un punto di rischio per la tramissione delle infezioni, se utilizzato in maniera impropria senza un primo filtro territoriale. Tale struttura non può essere l’ambulatorio del singolo medico di medicina generale, orientato in questi anni ad un’attività di tipo programmato rivolta prevalentemente ai portatori di patologie croniche.

L’attuale organizzazione della medicina generale infatti, eccetto limitate esperienze legate all’iniziativa degli stessi professionisti, non garantisce agli assistiti che manifestano un problema sanitario con carattere di urgenza un’organizzazione che permetta di accedere in tempi brevi ad una prima valutazione diagnostica e all’eventuale avvio di un percorso di diagnosi e cura.

L’impatto dell’attuale pandemia ha reso evidente come, accanto all’approccio proprio della patologia cronica – che comporta l’attivazione nel tempo di specifici percorsi diagnostico terapeutici in cui assicurare continuità di cura e integrazione tra diversi professionisti e livelli assistenziali -, l’organizzazione dell’assistenza territoriale debba garantire un buon livello di reattività di fronte all’emergere di una sintomatologia riconducibile alle patologie infettive. È evidente come garantire l’attenzione ad entrambe le aree problema – patologie croniche e patologie infettive emergenti – richieda alla medicina generale un salto di qualità organizzativo, che non può prescindere da una forte iniziativa politica indirizzata a riorganizzare l’assistenza sanitaria territoriale.

In particolare, a Milano la rete territoriale delle cure primarie è composta da circa 900 medici di medicina generale e 130 pediatri di libera scelta, che operano prevalentemente in forma singola, con un minimo supporto amministrativo e, in rari casi, infiemieristico. Per evitare una marginalizzazione del proprio ruolo, su iniziativa di alcune organizzazioni professionali una minoranza dei medici di medicina generale, circa il 20%, partecipa a cooperative di servizio per accedere agli strumenti e ai servizi necessari allo svolgimento della professione (spazi, personale, attrezzature) in un’economia di scala, e per accedere ai bandi regionali per la presa in carico dei pazienti cronici, assicurando gli standard organizzativi e di prestazioni richiesti come requisiti.

In tale contesto di frammentazione della medicina generale, assistiamo al concorrere di due elementi, tra loro convergenti nel marginalizzare il suo ruolo e complessivamente nell’impedire un forte sviluppo autonomo dell’assistenza primaria. Da una parte la vigenza di Accordi Collettivi Nazionali (ACN) per la medicina generale e la pediatria di libera scelta che ne limitano lo sviluppo organizzativo, ponendo una serie di vincoli normativi ed economici. Dall’altra le politiche di Regione Lombardia volte a introdurre, anche nell’assistenza primaria, una logica di mercato; logica applicata in una prima fase nel settore delle cure domiciliari, aprendo un mercato in espansione agli erogatori privati e negandone l’accesso alle forme organizzative della medicina generale, e in una seconda fase alla presa in carico del percorso intra ed extraospedaliero dei portatori di patologie croniche, aprendo anche in tal caso l’erogazione dell’assistenza primaria agli erogatori pubblici e privati di prestazioni specialistiche.

Di fatto ci troviamo di fronte ad un’inerzia, apparentemente insormontabile, in cui l’ACN rappresenta, sia per la parte pubblica che per i medici di medicina generale, una sorta di “coperta di Linus”, che assicura sicurezza ad entrambi ma che blocca l’evoluzione della medicina generale verso un ruolo di protagonista di un’assistenza primaria adeguata ai bisogni epidemiologici della popolazione.

I contenuti del recente DPCM, che stanzia notevoli risorse per il potenziamento del servizio sanitario nazionale, evidenziano come la logica perseguita sia quella di aggiungere servizi e figure professionali sul territorio (USCA, infermiere di quartiere, assistenza domiciliare) senza che si metta mano, o perlomeno si intraveda, un disegno di un’organizzazione sanitaria territoriale più evoluta secondo una logica di assistenza primaria.

Una riorganizzazione del servizio sanitario territoriale non può prescidere dalla valorizzazione del ruolo del medico di medicina generale, a partire dal rapporto medico-paziente in tutti i suoi aspetti fiduciari, emotivi e razionali, in cui prendersi cura ed essere preso in cura si gioca su un delicato equilibrio tra competenza, sicurezza, responsabilità, tecnica, disponibilità ed empatia. Rapporto medico-paziente che, in un contesto epidemiologico complesso, ha bisogno di un ambito organizzativo in cui il medico possa confrontarsi con altri colleghi ed essere aiutato da professionalità e competenze diverse dalle sue.

Ambito organizzativo, in cui un team di professionisti (medici, pediatri, infermieri, amministrativi) sia messo in grado di rappresentare il primo riferimento per i problemi di salute della popolazione assistita, a cui assicurare, attravreso la disponibilità di spazi adeguati:

  • l’accesso alla consulenza e alle prestazioni di diagnosi e cura, in caso di bisogno, lungo tutto l’arco della gioranta e 7 giorni su 7;

  • interventi di promozione della salute e prevenzione delle malattie;

  • la presa in carico dei problemi di salute attraverso interventi di diagnosi, cura, riabilitazione e sostegno, valorizzando le diverse professionalità e competenze presenti nell’ambito del team, favorendo la partecipazione attiva degli assistiti, collaborando, in una logica di continuità del percorso di cura, con i professionisti degli altri livelli di assistenza.

È evidente il contributo che una tale organizzazione territoriale potrebbe offrire alla rilevazione e al contenimento delle situazioni epidemiche, sia in termini di sorveglianza epidemiologica che di primo filtro e livello diagnostico-terapeutico.

Nell’assumere la consapevolezza della distanza tra la situazione attuale della medicina generale a Milano e un modello evoluto di assistenza primaria adeguato alle attuali necessità epidemiologiche, il Comune di Milano può assumere un ruolo politico di stimolo e indirizzo rispetto alle politiche nazionalie e regionali, sollecitando i professionisti e i decisori ad una riflessione sull’esigenza di riorganizzare l’offerta “della medicina del territorio”. Accanto a tale ruolo, il Comune può offrire direttamente il proprio contributo per avviare nella città di Milano concrete esperienze di riorganizzazione dell’assistenza primaria, interagendo con l’ATS e i professionisti, e facilitarne l’avvio, anche attraverso i necessari supporti logistici quali la disponibilità di spazi adeguati e i processi di integrazione con gli aspetti socio assistenziali.

Paolo Peduzzi e Maurizio Pellegrini



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  1. annaA quando il geriatra di base considerato che gli ultrasessantacinquenni sono il doppio dei bambini sotto i 14 anni (pediatra di base) e che le loro patologie richiedono un approccio fortemente sistemico?
    27 maggio 2020 • 10:05Rispondi
  2. RosaQuando le soluzioni così bene espresse da Peruzzi-Pellegrini saranno ascoltati dai nostri governanti, troppo spesso proiettati a lavorare per i profitti personali più che per il bene comune, come richiederebbe una classe politica di alto profilo etico?
    27 maggio 2020 • 15:43Rispondi
  3. Fernando PorroCome medico operante in pronto Soccorso, ho visto da decenni e vedo tuttora (indipendentemente dall'epidemia attuale) quanto l'opera del medico di base sia spesso insufficiente a fronte di patologie che vanno poco al di là della normale routine. Questo non per demerito del medico di base, che si trova ad essere una figura sostanzialmente isolata e priva di mezzi tecnici e organizzativi per poter dare una risposta efficace in tempo reale al paziente. Il medico di base dovrebbe disporre: a) della consulenza di specialisti, b) di alcuni esami laboratoristici / strumentali c) dell'opera di infermieri in grado di operare a domicilio del paziente... tutto questo in tempi ragionevoli (24-72 ore). Chiaro che per organizzare qualcosa dl genere occorre tempo e una forte volontà politica. Perciò non si dovrebbe aspettare troppo per dare inizio ad un cambiamento.
    4 giugno 2020 • 09:34Rispondi
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