14 maggio 2020

I VECCHI DIFETTI DELLA CITTÀ

C’erano già, il Covid-19 li ha fatti solo emergere prepotentemente


La resistenza del Comune a mettere mano ad una nuova visione della città meno attenta agli interessi immobiliari è fiaccata dall’arrivo del Covid-19 forse è finito il tempo dei “sepolcri imbiancati” (vangelo di Matteo, capitolo 23, versetti 27 e 28)

Fotografia di Elisa Tremolada

Fotografia di Elisa Tremolada

E’ stata lanciata l’operazione di consultazione della città per sollecitare suggerimenti sulla ripresa: Milano 2020 – Strategia di adattamento con l’intento di trovare risposte efficaci per mezzo di azioni immediate su mobilità, servizi, cultura ed economia. I problemi della città che si vogliono affrontare con tale documento, in quale misura sono generati da questa emergenza e quanto erano già presenti (e quindi ora solo accentuati) dalle conseguenze della pandemia?

Milano si è presentata davanti al Covid già con le sue proprie emergenze, ne cito solo alcune: polveri sottili sempre al di sopra dei limiti di legge, alti ritmi di consumo di suolo, 18 mq di verde per abitante (quasi la metà della media nazionale), periferie carenti di servizi, uno spazio pubblico limitato, conteso dalle auto e di qualità inversamente proporzionale alla distanza dal centro.

Ma anche, nel 2019: stipendi reali medi scesi del 13% (1), il 14% dei residenti a rischio povertà (2), sfratti in aumento vertiginoso (solo il 3,4% delle 25.000 famiglie in graduatoria ha avuto una casa), infine, un bilancio comunale già sotto grande stress tanto da dover ricorrere all’aumento delle tariffe del trasporto pubblico locale.

Milano, anche al netto di questa congiuntura, presentava dunque già allarmanti emergenze di carattere ambientale e sociale che il virus ha poi accentuato. E’ stato, infatti, nel frattempo dimostrato come contagi e inquinamento dell’aria abbia una certa correlazione e come il virus abbia colpito assai più nei popolari quartieri del Gratosoglio, Crescenzago, Bovisa, Affori, Comasina rispetto alle aree più benestanti del centro e semi-centro.

Bene dunque ora voler allargare i marciapiedi per i dehors, tracciare ciclabili di fortuna, organizzare i tempi del lavoro e incentivare lo smart-working. Ma davvero vogliamo pensare che una vera Strategia di adattamento non debba anche considerare un radicale cambio di direzione nelle politiche ambientali e di spesa e tassazione, rimettendo in discussione alcune scelte strutturali fatte in quest’ultimo quinquennio? In tal caso, cosa sarebbe utile fare per dare concretezza ai reali bisogni contingenti e di prospettiva della Milano che verrà?

Tre constatazioni e un paio di proposte.

  • E’ di circa un anno fa la dichiarazione di emergenza climatica del Comune di Milano, nel frattempo i promessi 3 milioni di alberi appaiono propaganda in assenza di una vera volontà di contenimento del consumo di suolo e di una politica ambientale non dipendente dal contestuale sviluppo immobiliare. I Piani Attuativi proposti dalle immobiliari (e generalmente passivamente accettati dal Comune) ci hanno ormai dimostrato essere generatori perlopiù di spazi pubblici e aree verdi frammentate e funzionali alla valorizzazione dei propri investimenti. E’ ormai evidente che la tanto citata “riforestazione” non la si fa con le biblioteche degli alberi o i pratoni di City Life interclusi fra le residenze di Zaha Hadid.Al contrario servono aree verdi ampie e continue, progettate per la loro funzione ambientale e non quale orpello di grattacieli e centri commerciali.
  • Le già esigue percentuali di Edilizia residenziale sociale (in particolari quelle a canone concordato o con patto di futura vendita) previste nei nuovi insediamenti appaiono più utili a rispondere ai bisogni del ceto medio impoverito che dei ceti popolari in cerca di un tetto dai costi accettabili alle proprie sempre più inadeguate risorse.
  • Le operazioni speculative immobiliari di Porta Nuova e City Life ad esempio, assai provvide per i bilanci dei proprietari delle aree, non hanno sortìto particolare effetto sui bilanci del Comune essendo i già ridicolmente esigui oneri di urbanizzazione spesi principalmente per riqualificare l’immediato intorno delle stesse operazioni; la stessa cosa avverrà con lo sciagurato progetto del nuovo stadio e con gli Scali Ferroviari.

Da queste constatazioni emerge come sia necessario rimettere mano agli strumenti di pianificazione e agli accordi adottati e in divenire: mi riferisco al Piano di Governo del Territorio, all’Accordo di Programma sugli Scali Ferroviari e da ultimo all’incipiente volontà di costruire un nuovo Stadio.

La contingenza da Covid ci dimostra infatti che i milanesi hanno ora (ancor più di prima) necessità di servizi pubblici di prossimità (in particolare nelle periferie), di spazio pubblico qualificato di adeguata ampiezza e qualità, di politiche abitative efficaci in grado di contrastare il crescente divario fra salari e costo della vita.

E’ soprattutto la citta consolidata, quella che già c’è, che dunque ha bisogno di cura e attenzione.

Quanto realmente rispondono alle necessità dei milanesi i faraonici progetti sulle aree libere degli Scali Ferroviari e di Piazza d’Armi fatti di volumetrie residenziali da capogiro e centri commerciali? (per inciso, è di questi giorni la notizia che Westfield ha cancellato dalla propria agenda il maxi progetto del più grande centro commerciale d’Europa che avrebbe inciso nell’area dell’est Milanese).

Sulla questione nuovo Stadio poi, per dirla con le parole di Paolo Pileri (3): “La pandemia ha fermato lo sport e svuotato gli stadi ma nessun politico ha approfittato per dire che non è più tempo per idee e progetti faraonici come il nuovo stadio San Siro e il suo ventre malato, zeppo di centri commerciali, alberghi e speculazioni immobiliari (un miliardo di euro).”

Occorrerebbe inoltre riflettere sull’opportunità di separare la pianificazione ambientale da quella strettamente edilizia; non sfugge certo che, essendo entrambe in capo ad un unico assessorato (quello dell’urbanistica) abbia sinora prevalso in quest’ultimo un’adesione di comodo alla logica sviluppistica cara agli speculatori (e facilmente veicolabile con magnifici render pieni di verzura su media compiacenti).

Una parte di risorse per una reale ed efficace riconversione ecologica e per riqualificare il patrimonio immobiliare comunale dovrebbero essere reperite innalzando in generale gli attuali esigui oneri di urbanizzazione e pretendendo la compartecipazione agli utili in caso di varianti urbanistiche applicando il DL 133/2014 (aprendo, se necessario, un contenzioso con Regione Lombardia) ma anche abolendo le ormai obsolete premialità legate al risparmio energetico (costruire edifici energeticamente efficienti dovrebbe essere regola per tutti e non eccezione). Si colpirebbe la rendita finanziaria immobiliare dei proprietari dei suoli e non il lavoro d’impresa.

Gabriele Mariani

(1) fonte: Ottavo rapporto di Deutsche Bank sui prezzi e gli standard di vita mondiali

(2) fonte: Sicet, Sindacato inquilini, casa e territorio

(3) Professore ordinario di progettazione e pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


  1. luigi gennaricondivido, in tutti i sensi!
    20 maggio 2020 • 08:51Rispondi
  2. Cesare MocchiCredo che la prima cosa che andrebbe rivista sia proprio il PGT. Nessuna valutazione sulla domanda abitativa non solvibile, nessuna valutazione sui nuovi servizi da realizzare (e sui relativi costi, a cui correlare la finanza pubblica: oneri, monetizzazioni, IMU, ecc.), nessuna individuazione dei beni architettonici da salvaguardare nelle aree periferiche, indici volumetrici eccessivi, nessuna chiara facilitazione per le attività produttive innovative... ce ne sarebbe da stare qui ore a d elencare. Quella è robaccia, da aggiustare prima possibile
    20 maggio 2020 • 11:30Rispondi
  3. Sergio BrennaFaccio solo rilevare che "i pratoni di di Citylife e Porta Nuova" appaiono reclusi tra gli edifici griffati che li circondano anche perché la loro quantità è veramente esigua: ancor meno dei già esigui18 mq/abitante minimi inderogabili (ma di fatto drogati) del DM del 1968, mentre le moderne città europee navigano attorno ai 40-50 mq/abitante. Quando i cittadini dei quartieri attigui hanno provato a sollevare la questione nei ricorsi amministrativi perché ciò danneggia a anche loro si sono sentiti rispondere di non averne interesse legittimo e condannato a rifondere pesanti spese legali agli investitori finanziario-immobiliari e a Comune e Regione che li spalleggiavano.
    20 maggio 2020 • 16:42Rispondi
  4. Sergio BrennaVolevo scrivere "di fatto derogati" ma per come vengono usati va benissimo anche il "drogati" inserito dal correttore:non tanto e solo la droga chimica, ma soprattutto quella del loro uso distorto
    20 maggio 2020 • 16:47Rispondi
  5. luigi caroliCesare Mocchi, che pontifica su tutto, ha mai sentito parlare del ponte Calatrava di Venezia? Legga il Corriere odierno e contribuisca alle spese.
    21 maggio 2020 • 11:55Rispondi
    • Cesare Mocchimi scusi, certo che conosco il ponte di Calatrava a Venezia, ma che c'entra?!?
      25 maggio 2020 • 12:10
  6. luigi caroliCalatrava per Venezia è stato un disastro economico. L'ha letto il Corriere? Voleva che facesse lo stesso disastro a Genova? Per il nuovo Ponte Morandi sono in corso le finiture. Lei non aveva nessuna ragione tecnica per criticare il lavoro di Piano preferendogli Calatrava.
    27 maggio 2020 • 17:58Rispondi
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema





16 maggio 2023

UN RICORDO DI LUIGI MAZZA

Gabriele Pasqui



21 marzo 2023

NOTTE FONDA SUI SERVIZI A MILANO

L'Osservatore Attento



9 novembre 2021

QUANTO TRAFFICO C’E’ A MILANO?

Giorgio Goggi



9 novembre 2021

MOBILITA’ IMPAZZITA, COLPE DI TUTTI

Ugo Savoia





Ultimi commenti