9 maggio 2020
“SVELARE” IL MISTERO DEL PONTE MORANDI
Perché la ricostruzione è andata spiccia? Una lezione per il futuro italiano
9 maggio 2020
Perché la ricostruzione è andata spiccia? Una lezione per il futuro italiano
La notizia c’è, non ci possono essere dubbi: non era mai successo nella storia della Repubblica che una complessa opera pubblica come il ponte Morandi fosse portata a termine in due anni, progettazione compresa.
Nel rimirare il “miracolo del ponte” si danno i giusti meriti ai protagonisti, s’individua la ragione nel Codice degli appalti disapplicato, si magnificano le “procedure commissariali” sconosciute ovviamente ai più e in realtà in gran parte consistenti nell’applicazione di metodi e norme additate fino a ieri e, non ne dubito, di nuovo da domani come la causa della corruzione e dell’imperversare della mafia, ma a mio avviso non s’individua la reale discriminante di merito del caso Morandi.
Un esperto azzeccagarbugli come l’avvocato-premier Conte, grazie alla sua profonda conoscenza dei meccanismi interni, ha fatto da usbergo verso il principale responsabile dei ritardi biblici di tutte le opere pubbliche, il Consiglio di Stato con i ricorsi sempre ammessi alla sua discussione poliennale; il commissario sindaco Bucci, il progettista Renzo Piano e la Salini Impregilo, vale a dire quanto forse di meglio disponibile nelle rispettive discipline e funzioni, si sono assunti l’onere delle decisioni e la responsabilità delle scelte senza nascondersi dietro procedure formali e “non è compito mio”, il mantra della burocrazia pubblica al momento di apporre una firma su un pezzo di carta che potrebbe essere “usato contro di me “ da parte di Anac, Anas, Aiscat per limitarci agli enti che iniziano con la lettera A.
La differenza di gestione con le decine di migliaia di appalti pubblici vaganti nel nostro paese sta principalmente in due parole che riguardano i protagonisti: competenza adeguata al ruolo e senso di responsabilità professionale e politica.
Non è una ricetta nuova per il nostro paese, è ancora quella del premier Amintore Fanfani e del primo amministratore delegato dell’Anas Felice Cova con l’autostrada del Sole o dell’ideatore della Protezione Civile Giuseppe Zamberletti e degli amministratori e sindaci nell’emergenza e ricostruzione per il terremoto del Friuli, caso studiato in tutte le business school del mondo come esempio per avere trasformato una catastrofe nel più riuscito progetto di sviluppo territoriale della nostra storia.
Se vogliamo trarre un’ulteriore conclusione generale da una prova positiva individuale di un pezzo di classe dirigente “glocale” (i genovesissimi Piano e Bucci hanno costruito la loro esperienza nel mondo e la Salini ha realizzato le sue più importanti opere in tutto il mondo) questa è nel prendere atto che la burocratizzazione spagnolesca e il pangiustizialismo amministrativo sono diventati il problema principale della nostra Pubblica Amministrazione.
La superfetazione legislativa e di controlli preventivi hanno avuto l’effetto di allargare ormai praticamente a qualsiasi attività economica l’applicazione del diritto amministrativo in luogo del diritto privato, con un’abnorme estensione non solo del potere d’intervento dei Tar, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, ma di avere moltiplicato organismi e autorità di revisione e controllo, dall’Anac agli Ova aziendali, che dopo brevi stagioni di innovazione (l’affiancamento Anac alla struttura Expo in fase di redazione degli appalti, per esempio) hanno finito rapidamente per sovrapporsi alle prassi e procedure degli organi esistenti.
E’ iniziata così la stagione dei Tar che giudicano nel merito e non la regolarità degli atti amministrativi, inserendosi nel campo dei tribunali civili; della Corte dei Conti che opina sulle ragioni delle decisioni degli organi politici e non sulla regolarità contabile, diventando quasi il braccio armato del Mise, vale a dire dell’esecutivo, per intimorire le assemblee elettive, vale a dire il legislativo; e l’Anac muoversi con la modalità delle procure, mettendo in perenne stato di pre-accusa la dirigenza pubblica spingendola a uniformarsi pedissequamente ai propri indirizzi diventati per effetto del Codice appalti di fatto disposizioni operative, ingerendosi così del campo di azione delle procure, che infatti si ribellano, come nel caso di Expo, riaprendo procedimenti bagatellari pur di riaffermare il proprio ruolo.
L’impalcatura procedurale risultante è tale da richiedere, esattamente come le grida manzoniane scritte in latinorum, l’intervento di una nuova “casta” di legulei che, senza la minima competenza gestionale e pratica, si dedicano alla raccolta seriale di consulenze, incarichi di amministratore “indipendente”, revisor dei revisori spesso poco cortesi, assidendosi in prestigiosi incarichi di presidente delle società pubbliche e municipalizzate, portando l’”expertice” fondamentale della consuetudine professionale e personale con i detentori del potere di ritardo, veto e trabocchetti amministrative.
La “lezione del ponte” in sintesi dovrebbe essere questa: non “derogare”, ma cestinare tutta la legislazione in materia di pubblica amministrazione ispirata dagli sceneggiatori di “Minority report”, che affidavano ai poveri “Precog”, versione fantascientifica degli sciamani ormai fuori moda, l’individuazione dei crimini in una fase talmente preventiva che i criminali stessi non avevano ancora fatto mente locale alla possibilità di commetterli, per sostituirla con una nuova semplice e per ciò stessa effettivamente “trasparente” per tutti basata sulle best practice definite in base al risultato finale.
La pretesa moralistico-inquisitoria di discriminare in questo fra seguaci della virtù pubblica e “colpevoli non ancora indagati” come dottrina Davigo insegna dovrebbe d’altra parte essere smontata in radice, dal momento che si basa sull’assunto che la nostra è la PA e la politica più corrotta e inquinata dalla mafia del mondo: se ciò è ancora vero dopo quasi trenta anni da Tangentopoli, vuol dire che questa macchina infernale di procedure e controlli non somiglia nemmeno lontanamente agli invocati “check and balance” delle democrazie invocate come modello e soprattutto non funziona.
Non è affatto vero che “non esiste altra via al di fuori del Tar”, che, infatti, non esiste in alcun grande paese al di fuori del nostro, né che l’alternativa sia l’assenza di controlli e il via libera al malaffare: contrariamente a quanto si vuol far credere, l’appalto del ponte di Genova è tutt’altro che poco controllato, grazie all’incrocio efficiente e costante degli organismi professionali di certificazione indipendenti, delle procedure di contratto digitalizzate e di tutto quel sistema di confronto e controllo che sono standard in tutte le economie avanzate meno che nella nostra.
Senza dimenticare che nessuno ha mai abrogato ma nemmeno inserito commi al settimo comandamento “Non rubare”, in ragione del quale un giudice in terra sarà sempre legittimato a intervenire contro i trasgressori, chiunque essi siano. Già, perché quella e non altra è la sua competenza e responsabilità.
Franco D’Alfonso
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