17 aprile 2020

VIVERE PER STAMPARE: L’EDITORIA ITALIANA

Un quadro del nostro mercato editoriale grazie a Tiziana Elsa Prina e Alberto Bisi


Tremolada

In questi giorni di reclusione e noia si è parlato tanto – più del solito – del valore della cultura, dei libri e dei librai. Questi ultimi, in particolare, hanno finalmente ricevuto dal governo un segno simbolico della loro importanza, essendo stati inseriti tra le attività considerate “essenziali” e autorizzati a riaprire in tredici regioni a partire dal 14 aprile (quanto alla bontà al senso del gesto dal lato pratico, meglio chiederlo a loro).

Ma c’è un’altra categoria, un’altra colonna del nostro diritto di leggere, di informarci, di entrare in contatto con immaginazioni lontanissime da noi nel tempo e nello spazio, di cui si parla poco e che invece è preziosissima per chi, come me, è un tossicodipendente della carta stampata: gli editori.

L’editoria, in Italia e nel mondo, è andata man mano concentrandosi – come tutto nel sistema economico mondiale, nulla di nuovo fin qui – nelle mani di pochi gruppi giganteschi. Su Wikipedia esiste persino la voce “Concentration of media ownership”, cioè “concentrazione della proprietà dei mezzi d’informazione”, che, alla sezione 4.7.4: “Italy”, ci ricorda che l’ex premier Silvio Berlusconi era – e ancora è – azionista maggioritario non solo di Mediaset ma anche di Mondadori, la più grande casa editrice d’Italia – che oggi controlla anche RCS Media Group (Rizzoli, Bompiani, Fabbri, Sonzogno, Sansoni, Marsilio…), arrivando a coprire il 40% del mercato nazionale e guadagnandosi così il titolo di “concentrazione editoriale più grande d’Europa”. Complimenti vivissimi.

Forse queste notizie non vi scioccano, forse già le conoscevate. Per completezza, riporto qui di seguito anche una lista delle case editrici “inglobate” nel gruppo GEMS (Gruppo Editoriale Mauri Spagnol), il secondo maggiore gruppo editoriale italiano: Garzanti; Longanesi; Bollati Boringhieri; Salani; Vallardi; TeA; Corbaccio; La Coccinella; Guanda…

Ora vi invito a fare un esercizio: provate a pensare a un libro (edito in Italia, o il gioco si guasta) che avete letto, che non sia edito da una delle sopracitate case editrici. Quando ho provato io, non solo ho fallito; mi sono anche resa conto di non aver mai dato peso alla questione editoriale, di non aver mai pensato a chi stampava i tesori (e le schifezze) che mi ritrovavo a sfogliare in libreria. Di non averli mai considerati pilastri della mia libertà d’opinione e d’espressione, quali sono. Di non essermi mai resa conto che le mie scelte tra gli scaffali erano direttamente condizionate dalle loro scelte nei cataloghi, e che dunque volere tanti editori diversi, e soprattutto tanti editori bravi e appassionati, è un dovere – del lettore, se non del cittadino – quasi più che un diritto.

Ma torniamo a noi. Dunque, “Mondazzoli” (orrida fusione di Mondadori e Rizzoli, ndr) e GEMS controllano un’enorme fetta di mercato editoriale in Italia. E il resto? In Italia ci sono 4972 case editrici1, e siamo il 6° mercato editoriale al mondo2. Premettendo che anche le case editrici controllate da grandi gruppi possono mantenere una loro indipendenza, evidentemente un resto c’è, e contiene moltissime eccellenze. Due delle quali, Tiziana Elsa Prina e Alberto Bisi, entrambi editori “neonati”, hanno visioni molto diverse della situazione appena esposta, ma condividono lo stesso sogno, ormai realizzato: possedere e dirigere una casa editrice.

“Le Assassine” è un progetto unico, una piccola nicchia nella nicchia, come lo definisce la sua ideatrice, Tiziana Elsa Prina. La sua casa editrice ha tre particolarità: innanzitutto, pubblica solo gialli (nelle loro infinite sfumature: dal noir, al giallo piscologico, all’hard boiled…); inoltre, pubblica solo autrici donne; infine, nessuna di queste autrici è italiana.

Inizio dalla fine, e chiedo a Tiziana di spiegarmi una sua frase, ripescata da una sua precedente intervista: Un finale banale può compromettere, a mio avviso, anche un romanzo ben scritto. Tiziana mi risponde sicura, senza quel tono scherzoso che ci ha accompagnato durante la nostra conversazione, necessariamente telefonica:

Tiziana Elsa Prina: Io, quando leggo un libro per sceglierlo, mi metto sempre dalla parte del lettore; in quel momento non penso ai numeri o alla stampa – penso se quel libro mi sia veramente piaciuto o no. Trovare dei finali eclatanti non è sempre facile, ma per me è cruciale come finisce un libro: è come un cioccolatino o un bicchiere di vino – il retrogusto è quello che conta. Soprattutto in questo genere di libri.

La linea editoriale di Tiziana è, per una femminista come me, affascinante eppure insidiosa: perché solo donne? C’è forse una differenza nel loro modo di scrivere? Ci troviamo davanti a un caso editoriale di “quote rosa”? Ho approfittato del “campione” (un uomo, una donna, due cervelli) che mi trovavo davanti, e ho chiesto ad Alberto e Tiziana di rispondere alle mie domande.

Tiziana Elsa Prina: Il problema mi fu riassunto molto bene da un’altra scrittrice, credo canadese: a “parità” di romanzo, più che altro si pubblicizzano romanzi di uomini, e poi quel che rimane da investire lo si dedica alle donne. Noi partiamo da questo punto: riscoprire libri spariti (nella collana Vintage), o curiosare nella condizione della donna in altri luoghi (nella collana Oltreconfine). Da questo punto di vista, una delle cose più curiose che ho osservato è questa: molte scrittrici della collana Vintage, donne estremamente progressiste ed emancipate per i loro tempi, nella scrittura utilizzano i clichés più retrivi, come quello delle donne che ragionano con le emozioni e non con la razionalità.

Alberto Bisi: Qualche differenza la vedi nel “dove viene posato l’occhio”, cioè nella scelta di cosa prendere in considerazione… Solo quello! Poi la scrittura o è di qualità, oppure no. Non maschile o femminile.

Quando accenno alla parte economica, Tiziana ride di gusto. Prendete il prezzo di un libro (cioè, a grandi linee, il suo costo). Semplificando, lo si può dividere in tre “fette”: il 60% va al distributore, il 20-30% al libraio e il 10% all’editore – all’autore arriva una cifra intorno al 5%. In Italia la “fetta” della distribuzione è un po’ più grande che altrove, ma di fatto questa situazione si ripresenta nei maggiori mercati mondiali. Tiziana racconta:

Tiziana Elsa Prina: La prima limitazione, soprattutto per me, che compro i diritti dall’estero, è la quantità; mi chiedono: quante copie tiri? Ed è chiaro che davanti ai grandi editori, che stampano come niente, ho un bel dire che con la stampa digitale si possono aggiungere le copie mano a mano… La seconda limitazione è quella della distribuzione.

Piccola precisazione: la stampa digitale si differenzia da quella offset per due principali motivi: la qualità –questa appare a occhio nudo un po’ più “cheap” di quella offset – e la quantità – per stampare in offset e rientrare nei costi bisogna raggiungere grandi tirature, sulle 2000 copie. Considerato che in Italia, testuali parole di Tiziana, “se di un libro si vendono 800 copie è una conquista” e che “tra i cinque maggiori mercati editoriali europei, l’Italia è il paese con il più basso indice di lettura di libri tra la popolazione adulta”3, un’altra domanda sorge spontanea: a chi le vendono, i grandi editori, queste migliaia di copie?

Semplice: spesso e volentieri, le vendono a se stessi. Senza entrare nel dettaglio, mi limito citare il fatto indubitabile che Messaggerie Libri, il più grande distributore di libri in Italia, si sia fusa nel 2014 con PDE del Gruppo Feltrinelli, diventando così il polo distributivo più potente in Italia. E come fanno di cognome il Presidente e il Vice di Messaggerie? Mauri. Come la M del Gruppo GEMS. Sapendo che non è una coincidenza, ecco svelato il trucco: i grandi editori sono anche i grandi distributori; stampano migliaia di copie, delle quali molte restano invendute; i resi ovviamente vanno pagati al distributore; ma i grandi distributori sono anche i grandi editori, e così si chiude il cerchio.

Tiziana Elsa Prina: Ecco perché l’editore piccolo lo fa per passione, dato che è quasi impossibile guadagnarci. Questo a meno che non ti capiti un “super libro” (e.g. l’editore Keller con l’autrice Herta Müller, premio Nobel “a sopresa” nel 2015) che ti porta alla ribalta.

Quella di affidarsi a pochissimi libri, ma “super”, come li chiama Tiziana, è la linea di pensiero di Alberto Bisi, modenese che ha aperto, neppure un anno fa, la sua casa editrice: 21lettere, che pubblica solo sei titoli l’anno.

Alberto Bisi: Abbiamo scelto di orientarci tra gli autori in piena libertà alla ricerca del “bello”, senza una nicchia di riferimento. L’unico libro che abbiamo fatto “in tempo” a pubblicare prima dell’inizio di questa quarantena è “Space Opera” di Catherynne M. Valente, il nostro primo libro. Un’utopia in cui terrestri e alieni, anziché affrontarsi con guerre sanguinose, si combattono in un contest musicale simile ai celebri Eurovision, nel 2019 è stato finalista all’Hugo Award for Best Novel, uno dei più importanti premi per la fantascienza. Adesso stiamo lavorando a “La spia che amava”: lo traduce una ragazza in Germania, ad Heidelberg, e lo revisiona un’altra ragazza in Olanda.

Insomma, uno smart-worker prematuro. Che però, come mi racconta, preferisce lavorare a contatto con le persone, dentro la redazione di 21lettere, e affidarsi, per la scelta dei libri da pubblicare, un po’ al fiuto e un po’ alla fortuna.

Alberto Bisi: “La spia che amava” l’ho scoperto leggendo un quotidiano. Ero al mare, e mi sono ritrovato tra le mani un articolo al riguardo: la storia sembrava un film, incredibile pensare che fosse tutto vero. Così me ne sono interessato per i diritti cinematografici, solo per scoprire che erano già stati presi dagli Universal Studios. Poi ho scoperto che il libro non era edito in Italia, ed eccoci qua.

Alberto e Tiziana condividono la passione per l’editoria, ma non la frustrazione verso l’oligopolio dei grandi gruppi italiani.

Alberto Bisi: Nella fase iniziale, il primo libro sono stato io a distribuirlo nelle librerie, nelle cartolibrerie, persino nei cinema multisala. E, devo essere sincero, mi hanno accettato quasi tutti. L’unico ostacolo era, di rado, che una determinata libreria fosse parte di una catena e che fosse dunque necessario passare da un distributore… Ma, se le cose andranno bene, dovrò ringraziare molta gente: dalle grandi librerie in stile Mondadori Superstore, ai piccoli indipendenti che mi hanno accettato.

Di sicuro però, Tiziana e Alberto sono d’accordo su una cosa: le loro rispettive avventure editoriali non sarebbero state possibili senza i grandissimi avanzamenti tecnologici degli ultimi decenni.

Tiziana Elsa Prina: Sai, anni fa, vicino a Piazza Diaz a Milano c’era un signore che tutte le settimane era lì a vendere un suo libricino di poesie: allora chi voleva pubblicizzarsi non aveva che quell’angolo di strada! Adesso hai il mondo intero, se vuoi e se ne sei capace, tramite i canali social e il web.

Alberto Bisi: Io volevo partire 20 anni fa, ma non c’era la tecnologia. Intanto 20 anni fa si vedeva benissimo, da lontano, che avevi stampato in digitale. Eri costretto a pubblicare una tiratura importante di 2000 copie per starci dentro coi costi di stampa. Detto questo, al momento noi stampiamo in offset, a tiratura nazionale: preferisco rischiare ma lasciare un segno, un briciolo di bellezza.

Ma, se le tecnologie sono migliorate, il mercato dell’editoria è più in crisi che mai. Eppure “Le Assassine” e “21lettere” ci sono nate, nella crisi, e continueranno – grazie ai loro lettori, vecchi e nuovi – a conviverci.

Alberto Bisi: Quando sono andato ad auto-distribuirmi tutti librai mi dicevano: “Ci vuole un matto per aprire una casa editrice in questo periodo!”. Più vado avanti e più mi rendo conto del perché mi chiamano così, ma non importa…. La montagna era molto più alta di quello che pensavo, e allora? Per scalare ci vuole anche un po’ di incoscienza!

Elisa Tremolada

 

Siate incoscienti, sostenete l’editoria indipendente: potete ordinare online sia su www.21lettere.it che su www.edizionileassassine.it . Buona lettura!

1 Che abbiano pubblicato almeno un libro nel corso dell’anno. Fonte: Rapporto A.I.E. 2019, Sintesi.
2 Export esclusi. Fonte: Rapporto A.I.E. 2019, Sintesi.
3 Fonte: Ibidem.



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  1. Giampaolo BertulettiBuongiorno, a parte quelle tre righe nel wikipedia, esiste un rapporto un po' più dettagliato sull'editoria italiana, con la lista delle almeno 100 principali case editrici che non facciano parte dei 4 principali gruppi ? Grazie.
    22 aprile 2020 • 08:42Rispondi
    • Elisa TremoladaLe segnalo il sito dell’Associazione Italiana Editori, dove trova una mappa (quasi) completa delle principali case editrici italiane https://www.aie.it/Cosafacciamo/Cifreenumeridelleditoria/Mercatoeindaginidisettore.aspx
      22 aprile 2020 • 09:27
  2. Cesare MocchiAdelphi però mi sembra non faccia più parte di RCS, non è stata ricomprata da Galasso?
    22 aprile 2020 • 11:50Rispondi
    • Elisa TremoladaSì, pare che Calasso abbia ricomprato la maggioranza, ma la notizia è di ottobre e non se ne trovano altre più recenti. In ogni caso provvedo a correggere, grazie.
      22 aprile 2020 • 12:48
  3. Cesare MocchiCalasso, scusate, lapsus calami...
    22 aprile 2020 • 13:17Rispondi
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