11 aprile 2020
IL “MODELLO MILANO” NON È RESTAURABILE
Che fare? Tornano d’attualità le premonizioni di Carla Ravaioli
11 aprile 2020
Che fare? Tornano d’attualità le premonizioni di Carla Ravaioli
Non possiamo pensare a un rilancio del Modello Milano, anche se completamente restaurato. Del resto, come farlo quando “Il sistema mondiale dell’economia moderna” (Immanuel Wallerstein), quarant’anni fa stava precipitando verso una crisi cumulativa, ben di là dai crolli finanziari ricorrenti. Il whirl capitalism duro e impuro si apprestava a strangolare il mondo. Con l’avanzare del millennio la crisi diveniva incontenibile; ne parlavano tutti i giornali internazionali.
Secondo Carla Ravaioli (1923-2014), autrice di un ultimo saggio, “Ambiente e pace una sola rivoluzione”, il momento era propizio a un cambiamento della politica mondiale. La globalizzazione ha poi fallito e tutti noi cittadini paghiamo il prezzo dei danni con la continuità di una crisi economica e sociale universale superiore a tutte le precedenti. Il “giocattolo rotto” (sempre la nostra Carla) non è aggiustabile: potrà instaurarsi una nuova economia deglobalizzata, punto di partenza verso una trasformazione del mondo? Non lo crediamo.
Dinnanzi alla enormità e potenza della crisi e alla rovina del libero mercato, pensiamo a una “pura e semplice” rivoluzione. Ma, quali sarebbero le classi sociali numerose e forti in grado di promuoverla? La classe operaia, dispersa e povera, oltre che redditualmente, culturalmente e politicamente, non possiede più neanche la coscienza del ”per sé”, la borghesia produttiva si è ridotta alla speculazione finanziaria e fondiaria; se ne frega del bene comune e pratica essa, come ha sostenuto Luciano Gallino, la lotta di classe avverso i ceti subalterni e accumula ricchezza spogliandoli anche del minimo di risorsa vitale1.
Con tutto questo, come credere a un’“eccezione Milano”? Lo era, quando «capitale economica e morale» (si diceva) funzionava bene in ognuno dei suoi organi e nel loro insieme coeso, come un corpo sano. Era città madre della borghesia produttiva e della classe operaia: questa la singolarità milanese. Poi, diventata capitale della speculazione immobiliare e degli affari mafiosi, rifuggirà da tutte le funzioni indispensabili per la buona vita di abitanti, residenti o frequentatori…
Addirittura prima che questo avvenisse su scala nazionale le due classi locali antagoniste e protagoniste, ragione primaria dell’organizzazione urbana conveniente per la comunità, si sono sciolte. Al posto dei borghesi, non eredi dell’illuminismo ma illuminati, un ceto finanziario, proprietario, commerciale; al posto degli operai, impiegati (i nuovi operai?), negozianti, pensionati. Era città di industria caratteristica per diversificazione della produzione e della dimensione. Distrutte inopinatamente o dislocate le fabbriche, è diventata unicamente centro di due abnormi mercati improduttivi, quello della merce più preziosa, il denaro, e quello dei terreni.
Milano esibiva belle case della borghesia e anche del ceto medio allineate nelle eleganti strade dell’Ottocento e del Novecento e dignitosi quartieri popolari semiperiferici, specie dell’Istituto autonomo case popolari (Iacpm, oggi Aler per evidenziare che l’istituto è diventato una qualsiasi azienda). Architettura della città, questo volevamo riconoscere, preservare e consolidare: gli isolati, le strade, le cortine architettoniche uniformate dall’altezza, le piazze, i giardini interni.
Gli enti pubblici custodivano una parte del potere e non erano, come adesso, dipendenti in toto dai poteri economici. Tuttavia l’urbanità non deteneva forza sufficiente per resistere alla più smaccata deregolamentazione edilizia: violente alterazioni nel patrimonio esistente; costruzioni mostruose, specie in forma di grattacielo, laddove ci fosse un’area vuota di cui la fittizia urbanistica comunale, nemica della pianificazione, esigesse il riempimento edilizio privato anziché la destinazione a parco o altra precisa utilità sociale.
Dell’efficace ordinamento urbano era parte fondamentale la rete di tram, un mirabile sistema unico in Italia. In seguito, la politica municipale del trasporto, compiacente verso l’abuso dell’automobile, raggiungerà il traguardo, auspicato dai liberisti, dei tagli, della riduzione dei percorsi, dell’abolizione del collegamento più moderno, quello da periferia a periferia passando per il centro.
La città richiamava nuovi abitanti, fattore essenziale di un riequilibrio demografico necessario alla vita urbana. Oggi, dopo la perdita di residenti cominciata a metà degli anni Settanta, ne ha quasi mezzo milione di meno e solo l’arrivo di immigrati non comunitari ha prodotto l’inversione della tendenza, benché non abbia potuto finora ripianare il forte scompenso, causa di gravi distorsioni nel mercato del lavoro, nel mercato delle abitazioni e nei servizi sociali.
Il vecchio piano regolatore generale sancì la fine della pianificazione urbanistica. Presto cominciò a perdere i pezzi sotto la mannaia delle varianti pubbliche per favorire la ricostruzione privata della città tutta rivolta alla speculazione e non alla risoluzione dei problemi sociali. Milano, approdata al dominio dei capitalisti rentier, ha cambiato fisicamente se stessa qua e là, cambiando così anche la totalità; ha promosso l’erezione insensata di cubature edilizie enormi, avulse dai contesti urbani e dalla domanda sociale: volumi destinati in parte all’inoccupazione, tuttavia capaci di riprodurre plusrendita nel processo incessante di compravendita.
Accantonati gli spropositi edilizi del dopoguerra dovuti alla lassista legge sulla ricostruzione, Milano riusciva a superare gli errori anche mediante l’affermazione di un razionalismo meno schematico e l’avvento di opere dei giovani architetti succeduti alla generazione dei maestri. Non bastava: la parte di città storica compatta è stata sottoposta a molteplici vessazioni, compendio di vecchi e recenti neo-liberismi: in basso parcheggi sotterranei multipiano in spazi pubblici di alto valore storico e sociale; in alto sopralzi di ogni genere, uno, due e più piani sfruttando, anche capziosamente, la trasformistica legge regionale per il riutilizzo dei sottotetti anche dove non ne esistano e la demenziale «regola» della Tslp (Traslazione di superficie lorda di piano).
Intanto continua l’ “Invasione degli ultracorpi” dentro e fuori della cerchia spagnola, come vivessimo un tardo sequel del film datato 1956. Non baccelloni2, ma grattacieli firmati piuttosto che progettati dagli architetti internazionalisti, attenti servitori degli imprenditori di turno, ai quali garantiscono il perseguimento fino all’ultimo centimetro cubo della smisurata volumetria concessa dall’amministrazione comunale.
Il Comune ha accettato qualsiasi intervento; persino l’affastellamento di una miriade di grattacieli sul terreno di Manfredi Catella (in realtà Hines) che i milanesi ricordano destinato una volta ai «baracconi»: un complesso privo di spazi aperti, percorsi interni incerti, bui, come conducessero al nulla. Centinaia di terrazzi di calcestruzzo armato sporgenti, privi di piante da giardino nonostante sia evidente il tentativo di imitare il successo del Grattacielo Verde. Peggio dei «baracconi», la schifezza catelliana è ignorata dalla giunta comunale che l’aveva provocata e dai giornalisti milanesi.
Nella Milano d’oggi qui descritta si è re-introdotto un carattere che ho cercato di esorcizzare con lo scritto-guida: “Dov’è la bellezza di Milano” (ossia la bruttezza). Nove anni fa Valerio Onida, ascoltato in un’intervista a Radio Popolare, parve esagerare: “Non ci piace la Milano brutta, trasandata, lontana dagli standard di vivibilità delle metropoli europee”. Il passaggio del tempo non ha comportato una svolta quantomeno estetica? Semmai, se sono state le cosiddette Nuove Milano a dominare la costruzione della città, hanno vinto tutte le componenti peggiori del processo edilizio, strutturali e sovrastrutturali.
Che fare? Può Milano preparare e realizzare un proprio rivolgimento costitutivo in mancanza della rivoluzione? Ad ogni modo, la condizione spaventosa apparentemente causata del corona-virus riguarda il tutto, è la vita stessa, è perdita della vita. Dobbiamo ripartire dalla premonizione di Carla Ravaioli. Il “momento propizio” è quello che stiamo vivendo ora. Oltre che impossibile sarebbe sbagliato ricostruire ciò che è stato distrutto, del resto dove si troverebbero le risorse per farlo, peraltro ridotte in briciole se esistenti?
Dobbiamo cancellare qualsiasi ipotesi di riedizione del famigerato modello di un capitalismo pervenuto al massimo grado di sviluppo mangiando sé stesso come l’uroboro – il serpente che s’inghiotte imboccando la coda. Dobbiamo ricominciare retrocedendo nel tempo e nello spazio del mondo alla ricerca di un passaggio verso altre organizzazioni vitali. Secondo Marx la crisi sociale contemporanea avrebbe potuto terminare “con il ritorno alla proprietà comunitaria ‘arcaica’ e non si lascia spaventare dal termine ‘arcaico’”. Nella proprietà comunitaria collettiva (città e nazione dei comunisti) ritroveremmo rapporti sociali di ben più alto valore che nella proprietà privata. L’arcaismo da sperimentare costituirà esso la nuova modernità.
Lodovico Meneghetti
1 L. Gallino, “La lotta di classe dopo la lotta di classe”, intervista a cura di Paolo Borgna, Laterza, Roma-Bari 2012
2 Il fim di fantascienza “Invasione degli ultracorpi” racconta di una cittadina californiana invasa, appunto, da grandi baccelli (di fagioloni) extraterrestri che sinsinuano nei corpi durante il sonno. Così gli alieni si stanno impadronendo della Terra.3 vedi Città bene comune – Casa della cultura
4 L. Krader, Quando Marx studiava i primitivi, in «Rinascita», n. 10, 1978, p.21
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